| GABRIELLA GHERMANDI
REGINA DI FIORI E DI PERLE
Postfazione di Cristina Lombardi-Diop
Collana Fiabe e storie, pp. 258, € 21,00
«Quando ero piccola, me lo dicevano sempre i tre venerabili anziani di casa: “Sarai la nostra raccontatrice”. “Guardatela!”, bisbigliava il vecchio Yacob, mentre sorrideva, spalancando la bocca vuota con quell’unico incisivo superiore. “Tienila stretta quella curiosità e raccogli tutte le storie che puoi. Un giorno attraverserai il mare e porterai le nostre storie nella terra degli italiani”».
Italo-etiope-eritrea, Gabriella Ghermandi è nata ad Addis Abeba nel 1965, e si è trasferita in Italia nel 1979, dove vive a Bologna, città originaria del padre. Seguendo l’arte della metafora tipica della tradizione culturale etiope, scrive e interpreta spettacoli di narrazione che porta in giro sia in Italia che in Svizzera. Conduce laboratori di scrittura creativa nelle scuole, sulla ricerca della «identità unica di ciascun indivuduo» da contraporre alle «identità collettive» come percorso di pace. E’ stata per due anni direttrice artistica del Festival Evocamondi, rassegna di narrazione e musiche dal mondo, organizzato dalla rivista El Ghibli, a Bologna. La sua intensa attività teatrale e teorica sul tema della multidentità e della scrittura è da anni oggetto d’interesse per molti studiosi anche all’estero, e la portata di recente a compiere un tour tra alcune delle più significative Università degli Stati Uniti.
Ha detto di sé: «Per i bianchi non ero bianca e per i neri non ero nera. Mia madre ha vissuto e subito il colonialismo e voleva che io e i miei fratelli ci sentissimo il più possibile italiani. Voleva cancellare la sua identità e la sua lingua: oggi io parlo benissimo l’amarico e lo capisco meglio di lei... La nostra era una vita mista, fatta di quattro lingue diverse: l’amarico e l’italiano erano quelle di tutti i giorni, il bolognese e l’eritreo erano le lingue della festa. Mio padre appena incontrava un emiliano si esprimeva in stretto dialetto bolognese, quando invece arrivava la nonna si parlava tigrino».
Il romanzo: Debre Zeit, cinquanta chilometri da Addis Abeba, 1980: una grande famiglia patriarcale; un legame speciale tra il vecchio Yacob e Mahlet, la più piccola di casa. Lui la conosce meglio di chiunque altro: la guarda negli occhi, mentre lei divora le storie che lui le narra. Così, un giorno si mette a raccontarle del tempo degli Italiani, venuti ad occupare quella terra, e degli Arbegnà, i fieri guerrieri che li hanno combattuti, di cui lui ha fatto parte.
Quel giorno, Mahlet fa una promessa: da grande andrà nella terra degli Italiani e si metterà a raccontare...
Un lungo viaggio nel tempo e nello spazio, in cui scorrono la vita e le vicessitudini di una famiglia etiope nel periodo della dittatura di Mengistù Hailé Mairam, e nel decennio successivo della emigrazione. Un romanzo che percorre oltre cento anni di storia, dal tempo di Menelik ai giorni nostri. Una narrazione che, come scrive Cristina Lombaardo nella postfazione, “non riguarda solo la dimensione del passato etiopico, ma è anche un modo di interrogarsi sull’idendità della memoria coloniale italiana”.
A cavallo tra lingue ed etnie, tra nazioni e continenti, tra occupazioni militari e guerre fratricide, si dipanano le mille storie di questa Shahrazade dei nostri tempi, fiera delle sue origini etiopi ed eritree, e insieme capace di usare la lingua italiana con l’intensità e la precisione di un bisturi.
Donzelli editore
Tel. 06 4440600 – fax 06 4440607
a.sarandrea@donzelli.it
www.donzelli.it
|