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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
Pietro, lontano dall'uscio, ad ogni passo che udiva sperava che fosse Ghìsola; finalmente, la vide.
Non pronunciarono né meno una parola: c'era tra loro una specie d'ostilità rispettosa. Ella volgeva gli occhi attorno; ed egli seguitava sempre i suoi occhi che lo evitavano, quantunque paresse che lo vedessero lo stesso. Tuttavia, da poche parole che avevano dovuto dirsi, sentirono svanire il loro ritegno. Quando il tranvai si fermò, salirono. Ella aveva un cappello di paglia, con un solo nastro di velluto nero; una veletta chiara sul volto, i guanti di filo bianco. Pietro s'accorse di quell'eleganza grossolana; e perché se ne sentì commosso, le toccò una mano. Egli, certo, sposatala, l'avrebbe fatta vestire molto meglio. Ma tutti la guardavano; ed egli ne era contento per lei. Andarono in fretta dalla Piazza del Duomo alla stazione, perché c'era poco tempo alla partenza del treno. Nelle vie la folla li faceva sovvenire di se stessi e della loro decisione, come se trasalissero. E, allora, si guardavano negli occhi. Ma presero lo stesso il treno per Siena; quasi senza parlarsi mai. Soltanto quando il loro scompartimento fu più vuoto egli le disse: - Perché non t'alzi la veletta? E le soggiunse sottovoce: - Ti vedrò meglio. Ella obbedì; e si sederono l'uno di fronte all'altro. - Se ti vuoi riposare, vengo vicino a te. Vuoi appoggiare la testa su la mia spalla? - Non importa. Si sentivano legati dai loro sguardi, come dalle loro anime; che parevano pesanti. Tutta la campagna correva, correva troppo! Pareva a Pietro che lo sfuggisse e non lo volesse comprendere più; anzi, lo disapprovasse. E allora aveva più bisogno d'amare Ghìsola. Ma il giorno veniva meno come la sua esaltazione: la mattina, nel sole chiaro, gli era parso che i vagoni fossero per bruciare e fiammeggiare; ora, gli pareva, ad ogni stazione, che avessero paura di restare negli altri binarii, tutti intrecciati, dritti e curvi; che luccicavano una triste luce morta portandola con sé nell'oscurità delle lontananze diafane. La campagna si cambiava come i suoi stati mentali; ma non gli apparteneva. A Poggibonsi, un treno, allontanandosi, divenne a poco a poco più corto, finché non ne restò che l'ultimo vagone visto di dietro; e non si sapeva più se stesse fermo o se camminasse; come certe sue illusioni. I vagoni che andavano su e giù, trainati, con le ruote che giravano con movimento eguale l'una dopo l'altra su le medesime rotaie, e i vagoni di un treno merci verniciati di rosso, con le cifre in bianco, sigillati, pazienti, lo fecero quasi piangere. Tutti scuotevano la sua anima, la schiacciavano! Egli si sentì proprio solo e abbandonato e non si ricordò più di Ghìsola che, seduta dinanzi, lo guardava con acuta curiosità; e allora i suoi occhi avevano una immobilità affascinante. Quand'egli, dopo aver sospirato, glieli vide così, esclamò: - Oggi mi vuoi più bene! Ella lo fissò con disprezzo; ma abbassò in fretta le palpebre, per nascondere lo sguardo: se lo sentiva come portare via dall'anima. Il giovine, senza capire, attese che parlasse lei, ora. Allora Ghìsola lo fece sedere accanto; e si tennero per mano. La gente che saliva e scendeva dal treno, i segnali delle stazioni le aumentavano la noia. A Siena, ricusò di andare in casa della zia. - Ma perché non vuoi? - Vorrà sapere troppe cose da me: io agli altri non voglio dir niente di me. Ella ci riusciva a vivere come voleva! La sentiva forte e indipendente. Ma per assicurarsi che non lo faceva per nascondere qualche cosa, le disse: - Fai male: è la tua zia. - Se andassi ad un albergo? - Vedendoti sola penserebbero male di te. - E tu non sai ch'io sono tua? E insisté con tono di voce quasi infantile, con certe moine; battendogli il ventaglio sopra un braccio: - Sì: accontentami. Vuoi fare sempre a modo tuo. Non è vero che questa sera accontenterai la tua Ghìsola? Volevano decidersi, perché la strada fino alla trattoria era corta e già faceva oscuro. Videro, dietro la basilica di San Francesco, una sfilata bassa di nuvole come il fuoco. Qualcuno rallentava il passo per guardarli meglio, e allora camminavano più in fretta. Alla loro sinistra si scoprì una parte di Siena, con la chiesa della Madonna di Provenzano. Tutte le case sembravano troppo fitte. Ambedue, senza accorgersene, smisero di parlare. La Via Vallerozzi sembrava una scalinata di tetti larghi fino all'antica rocca dei Salimbeni; il cui sprone era coperto dall'ombra nera di un abete enorme. Di là da questa rocca, non si sa dove, la cima della Torre; e, più discosto, la cupola della Madonna di Provenzano, quasi rinchiusa dentro un'altra spianata di case. Mentre i tetti delle tre vie, che s'annodano insieme a Porta Ovile, scendevano, pendendo tutti da una parte; come se le case non potessero stare dritte. Un pezzetto d'una delle vie assomigliava a un baratro pietroso; e una donna, ferma, vi sembrava rinchiusa. Tutti quei tetti, ad angolo, s'appiattivano; e alla casa più bassa, all'ultima, s'appoggiava tutta la fila delle altre. Pietro, interrompendo la distrazione, la scosse per una mano e riprese: - Scusami se non voglio... Ma dài retta a me. Ella s'impazientì e si fermò un'altra volta. - Ascoltami... ho pensato di portarti a mangiare da mio padre. Io gli ho detto che andavo a Poggibonsi, dove ho un amico; e gli inventerò che ti ho trovata in treno. Ella aspettò che uno smettesse di guardarla, e poi rispose: - E crederà a noi? Già la curiosità dei passanti li impacciava con molestia, con tedio penoso. - Certamente! Ghìsola stette molto tempo a testa bassa, non per riflettere, ma per sforzarsi a non pensare ad altro: e poi rispose: - Mi piace poco. Tacquero perché si sentirono vicini a bisticciare; poi egli, dopo uno di quei silenzii in cui si odono tutte le cose, la prese a braccetto fino allo scalino della trattoria. Domenico, quando li vide entrare, salutò Ghìsola ma senza avvicinarsi; e credette lì per lì alla scusa di Pietro; che del resto non aveva mentito mai. Il marito di Rebecca, con un piatto in mano, si fermò e le disse: - A pena che avrò servito questi signori, avvertirò la tua zia. Ghìsola, vedendo come la parente le potesse esser di pretesto per esser venuta a Siena, lo ringraziò. Domenico, ch'era di buon umore, dopo averla guardata sorridendo, così irriconoscibile da quando stava a Poggio a' Meli, andò in cucina; e come se si fosse trattato di avventori, ordinò a voce alta da cena per Pietro e per lei. Ma disse anche per farsi intendere subito: - Questi non pagano! Ghìsola, disinvolta, si mise a ridere; e le dispiacque solo per orgoglio che Domenico la trattasse per quel che era; ma Pietro le fece rabbia. Non era punto furbo, e non contava proprio niente in casa sua! Per far vedere che non aveva bisogno di mangiare in trattoria, non voleva sedersi a tavola; ma Pietro la supplicò, sottovoce, di non insistere; e le disse che il giorno dopo le cose sarebbero state chiarite. Domenico, che veniva e andava dalla cucina alla stanza dov'erano essi, con le mani in tasca e con la testa bassa, senza guardarli mai, uscì e andò a sfogarsi dal suo amico droghiere; un figliolo non doveva portarsi in casa le amanti, sia pure che facesse bene a fare il comodo suo ora che era giovine. Ma il droghiere rise della sua collera e gli disse che lo lasciasse divertire, giacché si trattava di una bella ragazza. Ghìsola, mangiando, non alzò mai la testa; e pareva che avesse poco appetito. Ma Pietro le pestava leggermente i piedi e le diceva qualche parola perché dissipasse il malumore. Poi la lasciò nella trattoria a chiacchierare con la cugina Rosaura, accanto alla dispensa, dov'era meno luce. E Ghìsola accompagnata da lei andò a trovare la zia, raccontandole una filza di abili menzogne, con l'aria più ingenua che ci fosse. Rebecca le disse: - Per stasera, non ho da darti da dormire qui. Dormirai con la tua cugina, se il padrone è contento. Ghìsola ridiscese ed entrò nella bottega, curiosa di vedere come sarebbe andata a finire! Già era prossima la mezzanotte; e le tavole della trattoria sparecchiate. I cuochi sonnecchiavano appoggiati al ceppo del tagliere. I fornelli si spegnevano: come se anche la brace s'addormentasse. Tutti i lumi abbassati; e la trattoria piena di quell'odore ripugnante di tante vivande insieme. In un corbello vicino all'acquaio, le bucce delle frutta e gli avanzi. Improvvisamente la notte si fece più oscura e piovve alcuni minuti: una di quelle piogge che fanno notare subito il nostro malumore, come quelle che ribollono l'immondizie ammucchiate in mezzo ai campi. A Ghìsola, presa dalla stanchezza e dal sonno, parve che piovesse nella sua anima, ma non riesciva a togliere tutte le cose che c'erano. Si sentiva soffocare lo stesso. Qualche lampo, silenzioso, s'accese tra le nuvole. Allora, ella credette che avrebbe risentito quella pioggia in qualche sogno. Evitava di pensarci, per essere attenta a quel che accadeva intorno a lei e a quel che le dicevano. Domenico, svegliatosi dal canapè dove da qualche tempo dormiva almeno due ore prima d'andare a letto, ordinò: - Chiudete le porte. Era evidente la sua scontentezza; tanto che Rosaura non gli disse volentieri: - Io salgo in casa a trovare le lenzuola per Ghìsola. Domenico non disse né sì né no; e si volse dalla parte opposta quando Ghìsola passando rapidamente vicino a lui, quasi provocandolo, lo salutò. La camera di Rosaura era così bassa che, stando sdraiati su uno di quei letti, si poteva toccare una trave. Una finestra strettissima, nel muro più grosso di un metro, dava in una corte angusta e umida anche d'estate. Messe le lenzuola, Ghìsola togliendosi la giacchetta domandò: - Dove dorme Pietro? - Nella stanza solita di quando era piccino. Ma vorresti andare a vederlo? Che braccia grosse tu hai! - Senti come sono ingrassata! Si fece pizzicare un fianco, e poi andò. Riconoscendo bene la casa, si avanzò quasi a tastoni, attraversando la stanza d'ingresso e poi il salotto meno buio perché c'era la luce elettrica della strada. L'uscio della camera di Pietro era aperto perché vi doveva passare Domenico per andare nella sua. Ella vide il tavolino con i libri, il canterano con lo specchio che luccicava. E proseguì verso il letto messo ad una parete: Pietro dormiva. Allora si chinò e cominciò a baciarlo su la bocca. Egli, senza finire di destarsi, sentì un brivido; ed esclamò a voce alta: - Sei tu, Ghìsola! Pietro non sapeva spiegarsi certi odii di Ghìsola, che parevan capricci, contro i parenti. E se ne dolse con Rebecca, consigliandola di rimproverare la nipote. Le disse anche: - Bisogna che impari a leggere, almeno; me l'ha promesso. Ma Ghìsola sapeva far dimenticare una cosa mettendone fuori un'altra. S'imaginò che si fosse offesa di Domenico, della trattoria e di tutto il resto; e che volesse trovare il modo d'allontanarsene subito. Già gli aveva risposto la mattina dopo dell'arrivo: - E tu credi ch'io voglia stare con tuo padre, anche se mi ci vuole? Pietro sentì che non aveva niente da prometterle e disse: - Quando egli si sarà convinto, come me, che tutto quello che hanno detto è falso, ti rispetterà. Perché non ti deve rispettare, perché non deve permettere che tu sia la mia moglie? E la teneva per un braccio; ma ella sapendo che era sempre più impossibile, rispose: - Mi odia. E non vuole che ci vogliamo bene. Non ti ricordi che mi fece mandar via da Poggio a' Meli quando s'accorse che anche allora ci volevamo bene? Tutti i suoi progetti gli doventavano ridicoli, come una volta erano parsi serii, l'uno più dell'altro; e Pietro convenne che avrebbe dovuto lasciarla andare dove voleva: sentire rimorso di mandarla a Radda! E non osò più né meno tenerle il braccio. Ghìsola, sapendo che non avrebbe potuto trattenersi più di due o tre giorni, non prendeva sul serio niente; e fece subito sapere a Domenico che se ne sarebbe andata. Accompagnata da Pietro, andò a Poggio a' Meli, dai nonni; e così non rimise più piede nella trattoria. Gli olivi avevano messo una bella trama bianca, che s'illuminava di lucciole. Mentre, su i poggi neri del Chianti, i lampi apparivano e sparivano come una luce liquida ma densa. Ghìsola stava sola sul murello dell'aia. Masa e le altre donne degli assalariati, al chiaro di luna, aumentavano la sua collera. E le pareva che il chiaro di luna rimanesse attaccato alle loro vesti e se lo trascinassero seco movendosi. Lontana da loro, senza che né meno si ricordassero che viveva, quelle donnucce sporche come era stata anche lei! Si sdraiò sul murello; con un tremito convulso. Fissò una stella più grande delle altre; e le parve che girasse a cerchio e poi saltellasse in qua e là; sentendosi, a seconda di quel moto, strappare le tempie. Credendo d'impazzire, scosse vivamente la testa e si stropicciò gli occhi. Poi le donne rientrarono in casa; e allora si rimise a sedere e guardò verso gli usci: nell'ombra stava quasi la metà del piazzale fino al pozzo, ed una entratura ad arco sotto il quale era un carro; ma le pareva che fossero soltanto colori di altre ombre. Il murello era quello stesso quando, con qualche compagna, giornate intere, si chiappava le mosche su le ginocchia. Che risate insieme, a pena nella strada passava qualcuno! Il pozzo le fece paura; come se tirasse giù, dentro l'acqua, lei e tutta la luna. Poi pensando che quel lume era anche sopra la sua faccia, se la nascose entro le mani e rimase così. Dopo poco udì qualcuno che camminava sull'aia verso di lei: certo, era scalzo. Ma ella non si mosse; s'imaginava di non potersi muovere; per quanto sapesse che non era vero. Allora, Carlo le si mise a sedere accanto; tossì prima, e dopo un altro secondo le posò una mano sul petto. Ella alzò la faccia senza guardarlo, fece una risata ed entrò in casa. Carlo ebbe l'impressione di aver visto quella risata, e non la ragazza. Pietro giunse poco dopo al cancello aperto; e, prima d'entrare da Giacco, si soffermò a guardare la luna che pareva escita allora allora dalle finestre dalla parte di dietro della casa. Pensava anche che gli assalariati avrebbero ammirato il suo amore per una contadina, per una che era di loro. Egli e Ghìsola andarono per la strada del campo, che dall'aia menava a quel ciliegio vicino al quale s'erano parlati molti anni innanzi. Il ricordo pareva ancor lì, sotto le fronde. Ghìsola era nervosa e pronta a darglisi tutta. Stava per dirgli: «Perché non te n'accorgi?». Ma Pietro era in un'estasi che aumentava. Quasi parevagli di camminare sognando. Diceva: - Perché non guardi sempre me? Infatti ella gli si volgeva soltanto di sfuggita, e lo avrebbe lasciato lì solo volentieri. Ma, dominandosi come quando s'era stesa con la schiena sul murello, contraffacendo la voce di lui, si fermò a guardare il cielo. Egli, credendole, esclamò: - Una notte così non la vedremo mai più! Le stelle scintillano anche dentro i tuoi occhi. Te le vedo io! E la baciò lungamente. Ella scosse il capo, discostandosi. Era pazzo? La faceva soffermare ancora; gridava di gioia. Ghìsola, fuori di sé dalla voluttà, era come un'anfora che alla fine s'apre tutta secondo una sua incrinatura. E non si tenne dal dirgli: - Se tu fossi un uomo! Pietro le rispose come a se stesso: - Io ti voglio bene! E siccome anche la sua estasi doventava sensuale, volle tornare a dietro: Ghìsola non doveva accorgersene né meno! Masa attendeva in cima alla strada, con le mani su i fianchi, inquieta per tutte le insinuazioni allegre degli assalariati seduti attorno all'aia. Giacco s'era rincantucciato in casa, malcontento di dover tenere acceso troppo il lume ad olio, contro il quale si buttava una farfalla con un corpo grosso quanto un dito. Il rumore delle sue ali, che di quando in quando si dibattevano, gli faceva alzare la testa e poi guardare dall'uscio scostato. Pietro e Ghìsola allentarono il loro abbraccio, rasentando l'aia; mentre Masa disse sottovoce: - Non andate lontani. Gli assalariati si chetarono a posta; anche per riguardo al padroncino; e si vedevano i loro volti che parevano senza linee nel chiaro di luna. Lo stollo del pagliaio era rimasto inclinato verso un tiglio. A Poggio a' Meli ci si divertiva! Fuori del cancello, i due giovani si ripresero per mano. Le lucciole, innumerevoli tra le chiome pallide degli olivi, sembravano aumentare continuamente: le lucciole che, talvolta, s'appiccicavano alle mani come se fossero state gommose. Cominciarono a baciarsi, ella appoggiandosi alla cancellata di legno, ed egli stringendosi a lei; nascosti nell'ombra della siepe. Ma, ad un tratto, Pietro s'accorse che faceva movimenti troppo voluttuosi con tutte le anche: si discostò e la rimproverò. Masa, sempre più intollerante, dopo essere stata in mezzo all'aia, turandosi la bocca per non rispondere agli assalariati che ascoltava a suo malgrado, chiamò proprio in quel mentre; e Pietro e Ghìsola andarono a casa. Qualche assalariato, invaso da una giocondità intrattenibile, si grattava forte la testa. Carlo, curvo con le mani su le ginocchia, sghignazzava tutte le volte che aveva dato uno sguardo verso Masa; e dentro una mano gli pareva di tenere quel che aveva toccato. Le chiacchiere, che se ne fecero, durarono più di un mese. Carlo rimase un po' di tempo a spiare dal suo uscio quando s'avviassero, perché non gli pareva vero d'andare a letto senza aver parlato con Ghìsola. Ma Ghìsola propose alla figliola di un assalariato di riaccompagnare con lei Pietro fino al borgo; così, dopo, tornando, non avrebbe dovuto far la strada da sola. Camminarono a braccetto; mentre l'altra ragazza, non osando avvicinarsi troppo, si teneva a distanza. Ma, volgendosi, la vedevano sorridere attenta e agitata; e, poi, quasi convulsamente. Prima di lasciarsi, si dettero altri baci. Allora la ragazza, che s'era coperta la faccia con ambedue le mani, guardandoli tra le dita, si buttò nel mezzo della strada e si rotolò nella polvere. Poi gridò, come se fosse stata sola: - Oh, oh, che faccio!
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