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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
Ghìsola, lusingata perché aveva capito subito quanto Pietro l'amava, invece di rispondergli con un'altra lettera, andò lei stessa a trovarlo. Non poteva darsi che la sposasse da vero? E allora sarebbe tornata a Siena non contadina, ma padrona.
Quand'ella arrivò, Pietro stava in camera con un libro in mano, ma senza studiare; arrotolava con le dita i lembi delle pagine. Invece di due esami ne aveva dato uno solo; e pensava a Ghìsola. No; egli non doveva andare agli esami! Doveva fare in quel modo! Quand'ella aprì l'uscio senza aver né meno bussato, il cuore gli fece un balzo. Ed esclamò: - Vieni! Ti aspettavo! Ella, un poco seria, si sedé, alzando la veletta fino al cappello ornato di violette finte; ed egli le disse: - Lèvatelo. Egli non aveva mai detto così a nessuna donna! Ella, quasi che lo sapesse o lo sentisse dalla voce, sorrise di buon umore; e dopo aver esaminata con affettata diffidenza tutta la stanza, andò allo specchio, sfilò lo spillo, se lo mise in bocca, lo posò con il cappello sul marmo del canterano. Averla sposata subito! Com'era bella! Si sederono a faccia, provando egli un piacere impacciato a sorriderle, ed ella badando a fare come lui. Poi avvicinarono le mani insieme sopra il tavolino, ed egli le pigiò ad uno ad uno le dita, in silenzio; come per convincerla che non c'era niente di male. Il sole faceva doventare rosse le stecche della persiana chiusa. Egli si alzò e la baciò; ed ella socchiuse gli occhi. Ma nello stesso tempo avrebbe voluto rimproverarla dicendo: «Ti puoi fidare; ma se io non ti amassi così da vero?». E le teneva strette le mani, per provarle che l'amava; piacendogli il suo odore di sudore. Ghìsola abbassava la palpebre tutte le volte che incontrava il suo sguardo; ma gli sorrideva, quasi invitandolo a capire e a smettere di amarla a quel modo, con la pretesa di non esser mai stata di nessuno. Poi tossì e appoggiò il dorso alla sedia per stare più discosta. Ella, dunque, era sua! Ma che le dava in cambio di tanta gioia? E perciò le chiese: - Puoi amarmi anche tu? Ghìsola tacque, piegando la testa. Egli insisté per farsi rispondere; con una dolcezza che voleva fosse apprezzata. Allora ella lo baciò per la prima volta, come se non sapesse baciare; strofinandosi poi il fazzoletto alla bocca, quasi fosse pentita; e disse lesta: - Bisogna che torni a casa. Pietro pensò: «È bene in fatti che non stia molto tempo qui!». E le chiese il permesso di ribaciarla. Ghìsola allora finse di rimproverarlo, perché non glielo aveva chiesto anche prima; mortificandolo, senza ch'egli sapesse quel che rispondere: il nero delle sue pupille aveva quella lavatura, che pigliano le cose quando stanno in fondo all'acqua. Ma nel mettersi il cappello, si bucò con lo spillo un dita. Poteva farsi male anche se egli era lì! Le afferrò la mano, guardando la stilla di sangue che ingrossava sempre di più; e quando fu per cadere, la succhiò. Ella lo lasciò fare, incuriosita. E gli sorrise come a un ragazzo; già con una dolcezza ch'era più confidenziale e più buona. Pietro inebriato, le disse: - Me ne ricorderò sempre! In Piazza Beccaria, e gli alberi mossi dal vento pareva che non ci dovessero entrare più, il fazzoletto le cadde di mano. Egli lo raccolse, e lo tenne finché non si lasciarono. Il fazzoletto era quasi la stessa cosa con il vestito di lei. - Quando torni? Ghìsola non sapeva se il suo amico le avrebbe fatto far subito da vero quel che voleva. - Non lo so... Pietro si sforzò di capire se ne dovesse pensare bene o male: certo, gli parve impossibile ch'ella se ne andasse. - Domani? Ma gli dispiacque insistere, non sapendo se sbagliava. - È troppo presto. Tra cinque giorni. Ella sorrise soltanto per prendere tempo. - Pensa che t'aspetto... Non mi credi? Dimmelo che mi credi... - Lo so. E sorrise un'altra volta. - Ti posso scrivere?... Ma sai leggere? - No. E avrebbe invece voluto mentire, guardandolo più volentieri con alterigia; ma arrossì, abbassando il volto. - E chi ti leggerà le lettere? Una donna, non è vero?... Bada di fartele leggere soltanto da una donna. - Da una donna: c'è bisogno che tu me lo dica? E arricciava con una mano il labbro di sotto; Pietro la guardava rapito; poi, per rassicurarsi che non fosse costretta a mentirgli, chiese: - Quella che vidi quando venni a trovarti? Ma Ghìsola se ne accorse e rise; rispondendo: - Un'altra. Non venire più oltre. Egli disse: - Torna presto. Ed ebbe questa riflessione istantanea: «Perché l'obbedisco? Ma ciò mi procura un senso di piacere e d'orgoglio!». Ella se ne andò, senza voltarsi mai. Ed egli stette a vederla sparire dietro una piegata, dov'era un cipresso ritto sopra un muro; come un'estranea che non sapesse né meno niente del loro amore; mentre quel che aveva provato gli pareva più reale di lei stessa. Una foglia, staccatasi dall'albero di un giardino, gli rasentò il volto; se fosse stato a Poggio a' Meli, l'avrebbe presa. Ghìsola, a pena distante, le parve di aver perso tempo e basta. Tutti i giorni Pietro l'attese: la rivedeva lì con le braccia sul tavolino. Ma la sensazione d'averla trovata soltanto e di non amarla cresceva. E non andava agli esami, quantunque ci pensasse continuamente e s'imaginasse, come in una allucinazione che lo spaventava, d'essere interrogato e di non rispondere. Andò invece a cercare Ghìsola, con un'impazienza che lo faceva perfino piangere. Ella stessa aprì l'uscio; e Pietro fu sorpreso di amare proprio lei nel momento che le chiese: - Mi aspettavi? Ella, per tenerlo a bada, rispose: - Forse. Allora, quantunque provasse una specie di contrarietà anche a parlare, gli venne detto: - Non potremmo stare insieme nella strada? Sei sola? Ghìsola rifletté; e poi rispose: - Aspettami dinanzi alla Badia. Pietro non ne provò nessun piacere, perché il senso disagevole d'una menzogna indefinibile l'opprimeva. L'aspettò soltanto per non mancare a ciò che egli stesso le aveva chiesto. Tirava vento; ma c'era dovunque il sole ardente e di luglio. Per la strada di Bisarno, alcuni cipressi si movevano in fondo alla svolta. E pareva che la luce fosse continuamente cambiata dal vento. Olivi, in fila, sporgevano con i rami lungo un muro. E le loro chiome, d'un verde tenero, vi sbattevano sopra. E anche le loro ombre parevano chiome: a pena si distinguevano da quelle vere. Ella venne a passi rapidi. Era senza cappello e portava al collo una catena con un cuoricino d'oro. Pietro temette d'esser ridicolo dicendole che doveva tornare a Siena. Ma, infine, ella gli chiese, dopo aver camminato in silenzio, mentre egli le guardava sempre le mani: - Quando vai via? - Domani. - Non ci vedremo più, dunque! Egli, sorpreso di quella calma un poco scherzosa, chiese sospirando: - Penserai sempre a me? Allora Ghìsola rispose, con convinzione, quasi con ubbidienza: - Sempre. Poi lo guardò e vedendo la sua scontentezza, rispose: - Tu pensi ch'io ti ami poco. Egli, quantunque fosse vero, rispose: - Mi fido di te. Ghìsola, tenendo la testa bassa, risorrise; ma questa volta la bocca s'indugiò nell'atto piacevole. Quella strada, dove il vento sollevava qua e là nembi di polvere bianca, senza farsi sentire, era così solitaria come non ci fosse mai passato nessuno. Ghìsola gli pareva bella in un altro modo, e più grassa. «Sì, anche così è vestita bene!». Ma egli non poteva levare gli occhi da quel cuoricino: glielo voleva portar via, perché se no l'avrebbero guardata di più proprio nel petto. Ghìsola se ne accorse e aspettava. Egli, allora, quando vide che se n'era accorta, le disse: - Perché lo tieni? Ella arrossì e parve che volesse proteggere il cuoricino. - L'hai comprato tu o ti è stato regalato? - Regalato. - Dimmi chi. Dimmelo subito. Egli si soffermò dinanzi a lei, e l'obbligò a fare lo stesso. - La mia sorella Lucia. - Quanto tempo è? - Anno, quando venne a trovarmi. - E ti vuol bene? - Lei sì, ma io no. - Perché? - Non lo so... - Perché? Dimmelo. Se non lo dici a me! - Non lo so. Non ci assomigliamo di carattere. Egli pensò che potesse esser vero, perché erano completamente dissimili anche di persona; e ne ebbe piacere. Ma nondimeno era geloso lo stesso anche della sorella. E le disse: - Te ne comprerò uno io, e porterai il mio. Ossia il tuo, perché niente è più mio. Sei contenta? Ella aveva voglia da vero di ridere; ma, certo, non era il momento. Invece tornò indietro senza dir nulla. E siccome si mise a camminare lesta lesta come se avesse fatto tardi, egli chiese: - T'aspetta quella donna? - Sì, siamo stati imprudenti. - Ma perché dici così, se io ti amo da vero? Tu non devi preoccupartene. Ella sorrise, ed allungò il passo senza rispondergli. Pietro lasciò che arrivasse sola nella piazza; poi, facendo finta d'aspettare qualcuno, camminò lì d'intorno. Ma non c'era nessuno! Vide un cane che scappava con la groppa ossuta, ad arco. Per la strada di Grassina, guardò la collinetta d'un verde pallido e sbiadito, tutta oliveti; con cipressi qua e là, mescolati, sottili. Arrivato da quella svolta un tranvai, egli vi salì. Quando alzò gli occhi era già dentro Firenze, passato di poco la Barriera, sul Lungarno biancheggiante, e vide da quel punto tutti i campanili insieme. Pietro si commoveva fino a pensare: «Se anche fosse disonesta per necessità di non patire la fame, io non potrei approfittarne. Piangerei. L'aiuterei a fare in modo che si cambiasse. Qualcuno, allora, potrebbe stimarla e sposarla. Ma me lo avrebbe detto. Perché non me lo dovrebbe dire?», E, per contrasto al dubbio, gli pareva d'una purità mirabile. Allora ne era geloso e piangeva. «Deve esser mia! Voglio amarla io! Perché non dovrei amarla?» Non era anche il suo dovere morale? Ma come trovare il modo di star meglio che in casa del padre? Ghìsola gli aveva detto: - È ricco; dipende tutto da lui. Ma egli non vorrà di certo. Domenico, quando Pietro, tornato da Firenze, gli disse ch'era innamorato di Ghìsola e che, se fosse stato contento, aveva deciso di sposarla, non gli rispose né meno; ma si sentì aizzato contro di lui come la volpe quando le hanno accesa la paglia dentro la tana. Degli esami tacquero ambedue. Pietro per non fargli sapere la verità, e Domenico per tentare che non ci pensasse più, ma con la voglia di sbatterlo nel muro come un cuscino. Pietro tornava solo da lunghissime passeggiate in campagna, dopo essersi consigliato anche con l'aria. Talvolta gli era parso impossibile che Ghìsola avesse amato qualcuno, perché sarebbe stato una contaminazione della sua bellezza. Piuttosto era lui un geloso! Talvolta si diceva: «Sono proprio a Siena? Non mi pare la stessa. Certamente, il suo cielo ora è più azzurro di prima: non era così una volta». Notò che d'estate, verso sera, nella Piazza del Campo rimane una luce pallida e tepida, un avanzo del meriggio; simile alla luce d'una lanterna, che illumini soltanto là dentro; mentre le persone, che attraversano quello spazio, sembrano lontane nel tempo, con un silenzio indefinibile. «Quando ci sarà anche Ghìsola, le dirò quel che provo.» Tutte le mattine si svegliava con un sospiro. E come si ricordava bene dei sogni! Ma senza Ghìsola non poteva vivere; e, verso la metà d'agosto, decise d'andare a prenderla, perché tornasse a Radda ad aspettare il loro matrimonio; un anno forse, un anno e mezzo al più. Perché non avrebbe avuto il consenso? Intanto, facendola stare a Radda, si sentiva più sicura di lei. Da Rebecca si fece prestare il denaro per il viaggio. Ma a Firenze, in quelle poche ore, gli pareva d'esser sempre a Siena, in cima alla via di Camporegio, dove era andato tutti i giorni quando faceva la scuola tecnica. È breve la distanza tra la mole rude e rossiccia di San Domenico e le case che s'arrampicano alla rinfusa, un'altra volta, in ogni direzione attorno al Duomo, fermandovisi sotto a pena che lo toccano; ma, a guardare di lì la profondità vuota di Fontebranda, ci si sente mozzare il respiro. L'Ospedale, alto su le mura, rosso sangue, lo vedeva doventare del colore della terra bruciata; il turchino del cielo, bigio. E poi le prime stelle, qua e là, così sparse che gli facevano angoscia. I vicoli, simili a spaccature e a cretti enormi, s'anneravano. Tra i giardini e gli orti, l'uno più alto dell'altro, chiusi dentro i muri rettangolari, che spesso hanno a comune, nelle insenature o nelle sporgenze delle colline, e seguendo i loro pendii diseguali, il barlume della notte gli sembrava che cadesse come quando piove a dirotto. Un briaco cominciava a cantare e poi smetteva. La Costaccia come il parapetto d'un abisso, e il Costone quasi a picco; con il suo arco greve e largo che lo tiene fermo perché sopra ci passi un'altra strada, salgono di squincio verso le case. Non due tetti della stessa altezza, anche se accanto. Grumoli piccoli e grandi di case che s'allungano parallelamente obliqui e storti: alcune volte le case stanno a due e tre angoli l'uno dentro l'altro, a cerchio, a nodi, serrate insieme, mescolate, aggrovigliate, con curve rotte o schiacciate, sempre con improvvisi cambiamenti; obbedendo alle forme delle colline, ai pendii e alle svolte delle vie, alle piazze che dall'alto paiono buche. Ad un tratto, uno stacco tra due case, e poi le altre che s'afferrano e si tengono ancora, con forza, pigiandosi e abbassandosi e poi risalendo e girando per sparire leste leste dietro quelle che hanno un movimento affatto diseguale e che vengono incontro dalla parte opposta; salite su; ma anche queste s'interrompono quasi subito per doventare una raggiera più larga, irregolare, tutta piana oppure contorta; dentro la quale si mettono e s'avventano case, di sghembo, a traverso, come riescono e possono; spinte da altre che fanno l'effetto di volersi accomodare meglio ed assestarsi, ciascuna per conto proprio. Le case, bassissime, quasi per affondare nella campagna, da Porta Ovile, da Fontebranda, da Tufi, sorreggono quelle che hanno a ridosso, le trattengono dalla loro voglia di sparpagliarsi più rade; i punti più alti sono come richiami alle case costrette ad obbedire per non restare troppo sole. Nei rialzi sembra che ci sia un parapiglia a mulinello, negli abbassamenti le case precipitano l'una addosso all'altra; come frane. Oppure si possono contare fino a dieci file di tetti, lunghe lunghe, sempre più alte; di fianco, altre file che vanno in senso perpendicolare alle prime. La Torre del Mangia esce fuori placida da tutto quell'arruffio. E attorno alla città, gli olivi e i cipressi si fanno posto tra le case; come se, venuti dalla campagna, non volessero più tornare a dietro. Ma gli pareva d'essere inseguito da suo padre, pur sentendosi rasserenato dal campanile di Giotto, da Santa Maria del Fiore, da quelle strade che conosceva, già percorse in quella specie di perdizione sempre più accanita. Aveva voglia di riparlare con qualcuno dei suoi compagni, di spiegare a loro l'equivoco avuto, e come si fosse perso per una ragione che non sapeva dire; per quanto gli dispiacesse tenere segreti anche ora che sentiva la necessità squisita d'aver qualche cosa da nascondere; una cosa che forse era come la sua anima stessa. Un venditore di limoni, sotto un ombrello verde con le stecche di legno, era seduto al principio del Ponte alle Grazie. Qualche facchino e qualche persona indefinibile sonnecchiavano appoggiati al muricciolo dell'argine. Un'allodola volò dagli alberi di San Miniato, verso le Cascine, come una cosa scintillante. Andando verso la Piazza della Signoria, fresca e annaffiata, si cominciava a rivedere la gente: più fitta in Via Calzaioli e nella Piazza del Duomo. In fondo a Via Cavour, il poggio di Fiesole; alto e verde. A Badia, quando scese dal tranvai, Pietro arrossì quantunque non ci fosse nessuno. E scrutò sotto le persiane, per scorgervi qualche viso che guardasse nella strada: soltanto piante di geranii polverosi. Apertogli l'uscio proprio da Ghìsola, che però non lo fece entrare, egli subito si dolse che non fosse già andata a Radda; ed ella rispose che aspettava lui e voleva prima esser sicura che i suoi genitori l'avrebbero volentieri ripresa in casa. Gli era inspiegabile la sensazione di trovarsi con lei già da tanto tempo. - E perché no? Sono cattivi con te? - Io non ci sto volentieri. Gli fece caso che rispondesse proprio a quel modo e non altrimenti. L'accarezzò, pregandola: - Tu non mi devi rispondere di no; deve aspettare a casa tua. Mi farai piacere. Poi pensò: «Perché le domando di fare così?». - Se tu vuoi... Visto ch'ella era per ubbidire, chiese: - Vieni a Siena con me, allora. Ella sorrise e gli fece cenno di tacere. Era convinto che dovesse provare una gran dolcezza ad ubbidirgli; ma Ghìsola, che aveva voglia di scherzare più che d'altro, gli chiese: - Ti piaccio meno? - Perché dovresti piacermi meno? E le accarezzò tutta la faccia: ella si discostò e gli guardò la punta delle dita. - Perché non vuoi? Ti aspetto nella strada, verso la Badia. - Verrò. Ora vattene. Le baciò ambedue le mani, tenendogliele insieme, mentre ella si tirava a dietro, quasi chiudendogli l'uscio in faccia. Ed egli pensava, scendendo le scale: «Ha sofferto. Soffre perché deve stare in una casa che non è sua. I genitori, forse, non le hanno più scritto; i parenti la invidiavano. M'è parsa più sensuale; ma io devo rispettarla lo stesso, anzi di più; dopo, la odierei». Invece non gli fece caso che potesse venirsene via così a pena glie ne aveva parlato. Il signor Alberto s'era impigliato in un processo di fallimento; e da una quindicina di giorni non si faceva più vedere da nessuno, né meno da lei, che andava a trovarlo, di rado, qualche mezz'ora, nello studio d'uno dei suoi avvocati dove ormai passava tutto il suo tempo. Egli l'aveva pregata di tornare a Radda, soltanto finché il processo non fosse finito; anche perché i parenti della moglie, ch'erano tra i testimonii, non soffiassero nella brace. Denari non li dava più; e, più d'una volta, Ghìsola aveva dovuto cominciare a contentarsi di pane mangiato soltanto con qualche frutta. Ma, non volendo tornare a casa e non avendo dove andare, aspettava prima di decidere qualche cosa. Così non aveva, dunque, dopo l'arrivo di Pietro, che da incaricare Beatrice di salutare il suo amico, pregandolo che non la dimenticasse. Tuttavia, per farle ricordare che Pietro l'aspettava, ci vollero le altre persuasioni di Beatrice; alla quale, evidentemente, il padrone aveva ricorso anche per questa faccenda. La donna l'abbracciò piangendo; con una tenerezza che la fece sorridere, lacrimando.
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