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Info sull'Opera
Autore:
Comunicati Stampa
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Gillian Wearing a Trento

di Comunicati Stampa

Gillian Wearing
Family Monument

progetto speciale
a cura di Fabio Cavallucci e
Cristina Natalicchio

Galleria Civica di Arte
Contemporanea di Trento
Via Belenzani 46
38100 Trento
Tel: 0461 985511/986138
Fax: 0461 237033
Info@galleriacivica.it
www.workartonline.net

24 marzo – 10 giugno

inaugurazione:
23 marzo 2007
PUBBLICAZIONE:
Numero 18 di “Work. Art in
progress”, rivista della Galleria Civica.





Quali caratteristiche ha la famiglia tipo dei nostri giorni? Da quanti
componenti è formata? Come vive? Che aspirazioni ha e come si prepara
al futuro? E soprattutto, come può l’arte, sempre pronta a toccare gli ambiti
più dibattuti dell’evoluzione della nostra società, porsi in relazione con
essa? È il tema che affronta l’artista britannica Gillian Wearing, che dal 24
marzo al 10 giugno 2007, presso la Galleria Civica di Arte
Contemporanea di Trento, per la sua prima personale in un’istituzione
pubblica italiana dedica a questa secolare istituzione un progetto specifico
e inedito, Family Monument.
Il lavoro, un work in progress che coinvolgerà per alcuni mesi lo spazio
espositivo della galleria e la realtà locale, mira a scegliere la famiglia
trentina cui dedicare un monumento, e verrà sviluppato mediante una serie
di candidature proposte attraverso la stampa regionale, sfruttando, ai fini
della selezione, anche dei videodocumenti televisivi. Non si tratta però di
una versione rivisitata della solita formula “reality show”, ma di una vera e
propria opera d’arte, un progetto di ricerca che si insinua nell’articolata
varietà delle famiglie contemporanee, osservate e valorizzate tanto nelle
componenti demografiche, quanto nelle dinamiche di relazione
interpersonale, per individuare, infine, il modello più aderente alla “famiglia
tipo” dei nostri giorni.
Il premio in palio per i vincitori? Un monumento in bronzo, appunto, eretto
in uno spazio pubblico della città, che ritrae le sembianze dei prescelti.
Gillian Wearing propone un lavoro basato su di un metodo di selezione
empirico (a partire cioè da casi realmente esistenti, le singole famiglie) per
ottenere un vincitore che rappresentanti una comunità specifica, quella
trentina. Ecco allora che il monumento finale, pensato per durare in eterno,
rivela l’ironia, e allo stesso tempo la malinconia di fondo su cui poggia
l’intero progetto, mentre la carica simbolica che normalmente investe il
soggetto rappresentato sfuma dietro l’estrema difficoltà di dare forma a
un’entità tanto dinamica e complessa quanto la famiglia contemporanea.
Negli spazi della Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento, per tutto
il periodo previsto, oltre alla documentazione del progetto in corso
troveranno spazio alcune opere precedenti dell’artista inerenti il tema della
famiglia. Il monumento che immortalerà i vincitori, ideato dall’artista in un
materiale classico, il bronzo, richiederà invece un periodo di realizzazione
più lungo e verrà inaugurato nel mese di settembre 2007.
Ad accompagnare il progetto sarà il n°18 di “Work. Art in progress”, che
dedica ampio spazio all’artista ed al suo lavoro.
Nata a Birmingam (Gran Bretagna) nel 1963, Gillian Wearing vive e lavora
a Londra. La sua attività si muove in campo antropologico, per mezzo di
media quali video, fotografia e televisione attraverso cui smaschera gli
stereotipi legati alla condizione umana, esplorandone la complessità,
rivelandone i traumi e le emozioni e andando a toccare temi scottanti quali
l’identità e l’autorappresentazione.
Nel 1992, ad esempio, l’artista realizza Signs That Say What You Want
Them To Say And Not Signs That Say What Someone Else Wants You To
Say (Cartelli che dicono quello che tu vuoi che dicano e non cartelli che
dicono quello qualcun altro vuole che tu dica), in cui ferma alcune persone
incontrate per la strada e chiede loro di scrivere una frase, qualsiasi cosa
passi loro per la testa in quel preciso momento, su di un foglio di carta,
ritraendoli quindi in una fotografia. Talvolta appare forte il contrasto tra
come una persona appare e ciò che sta pensando, come il business man,
vestito in modo sobrio ed elegante, che sceglie di scrivere “I’m desperate”.
In altri casi la frase che ne esce è di una innocenza sconcertante, come
quella della vecchina che, incrociata in un parco pubblico, candidamente
afferma “I love Regent’s Park”.
Nel 1993 invece, con Take Your Top Off, Gillian Wearing si mette in gioco
in prima persona, facendosi fotografare a letto con dei transessuali appena
conosciuti, mentre nel 1996, con Sixty minute silence, coinvolge attraverso
un video alcune dozzine di uomini e donne vestiti in uniforme poliziesca,
facendoli posare, per 60 minuti, in una sorta di ritratto di gruppo. Proiettata
su parete, l’opera domina un’intera stanza della Tate Gallery e i suoi
soggetti, inizialmente immobili, rendono l’immagine assai simile ad una
fotografia. In realtà, con il passare dei minuti, agli spettatori appaiono chiari
alcuni impercettibili movimenti, che tradiscono la vera natura del lavoro:
una sorta di test di resistenza, che riduce in cattività la tradizionale autorità
rappresentata dalle uniformi e si trasforma in un commento sulla natura
effimera del potere sociale. In Confess All On Video. Don’t worry You Will
Be in Diguise. Intrigued? Call Gillian (Confessa tutto in video. Non
preoccuparti, sarai mascherato. Incuriosito? Chiama Gillian), invece,
l’artista raccoglie le scabrose confessioni di alcune persone mascherate,
che proprio grazie a questo espediente, si sentono libere di confessare le
cose più turpi o assurde relative alla loro vita passata o attuale. Anche il
tema della famiglia, vero cuore del progetto trentino, trova già dei
precedenti nell’opera dell’artista, ad esempio con Sasha and Mum, del
1996, in cui l’artista mette in scena un’aggressione avvenuta fra le mura
domestiche, servendosi di attori e parti video e audio montate in loop, per
esplorare il sottilissimo limite tra amore e odio, cura e oppressione,
protezione e controllo. In 2 into 1, del 1997, invece, Gillian Wearing mette
in scena uno dei suoi “cambi di identità” attraverso una madre e due figli
che si scambiano la voce e le idee, riuscendo così a compenetrarsi e
comprendersi maggiormente gli uni con gli altri. Questo genere di
interazione/scambio prosegue anche con Album, 2003, in cui l’artista
indossa delle maschere raffiguranti i rappresentanti più stretti della sua
stessa famiglia, provando così in prima persona l’esperienza
dell’immedesimazione. Nel 2006 infine, l’artista realizza Family History, un
remake di The Family, produzione a metà fra fiction e documentario
prodotto dalla BBC negli anni Settanta, incentrato sul tema della famiglia.
Nel 2006 l’artista partecipa alla Quarta Biennale di Berlino, nel 2004 a
Manifesta 5, San Sebastian e alla Busan Biennale di Seoul, Korea, nel
2002 alla Biennale di Sao Paulo, Brasile, nel 2001 alla Biennale di Lione,
nel 1999 alla Biennale di Istambul, nel 1995 a Campo, Biennale di Venezia.
Nel 1997, infine, l’artista è stata insignita del prestigioso Turner Prize.
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