| Poesia escatologica, questa di Claudio Battistich, che fra l’altro include esperienze non comuni: il soggiorno in Tibet presso i Monaci Lamaisti, il matrimonio indiano, la vedovanza, la morte del figlio Mosido Soleno. Una vita, la sua, dedicata alla medicina e all’esoterismo. Prima di tutto gnostico-cristiano-biblico-orientale tramato di neoplatonismo e di pitagorismo, poi la prova indo- tibetana. Appassionato del Grande Nord, non trascura gli aspetti etnici della sua Europa: egli infatti nasce a Fiume da madre Austriaca e padre Serbo, quest’ultimo di religione islamica, barbaramente trucidato dagli oltranzisti di allora (1947), tanto simili agli attuali! Profugo politico in Italia e apolide, ottiene la cittadinanza un anno prima della morte, su intervento della Regione Toscana e della Prefettura. Muore in questa città nell’inverno del 1988. Poiché di scrittura sapienziale si tratta, a parte alcune liriche immaginifiche collocate per ultime nella presente raccolta, ricordiamo un certo genere di filosofia, determinate conoscenze astronomiche, la pratica ininterrotta dell’esoterismo di tipo orfico-misterico, naturalmente aggiornato e sfrondato delle più vistose caratteristiche degli antichi.
Parlavo dei contenuti, ma la sintassi, spesso discorsiva, distesa, come una serie di ritornelli su ritmi e timbriche musicali, stranamente commuove e penetra nel profondo di quanti vogliano ascoltare questa voce solitaria, non epigonica, avulsa dalla storia della letteratura con i suoi molti ismi, protesa alla narrazione di cosmogonie e verità d’ordine metafisico. Efficaci le allegorie, tutte orientali o nordiche: l’etica impera in definitiva, pur se rappresentata, magari, nell’iconica orientale o nordica, in modo senz’altro antroposofico. E tuttavia, e per quanto pertiene i sentimenti da un lato o l’insopprimibile preveggenza della propria morte dall’altro, e i molti cominciamenti della vita, qualcosa di personale,quasi diaristico ritroviamo senz’altro, come nella storia del figlio, che spiritualmente lo rinnegò in quanto, in un frangente pericoloso, egli, il padre, preferì dare la precedenza nel soccorso ad un’intera famiglia di amici (fra l’altro molto numerosa) che al suo stesso sangue. Così era Claudio Battistich, oggettivo fino all’apparente freddezza, ma di per contro tenero, appassionato, l’ultimo dei “romantici” forse, questo abusato termine essendo da esemplificare in settori squisitamente socio-culturali. Non manca il gusto, quasi naif, della favola. né della saga popolare, elementi tolti appunto dal succitato Movimento. In bilico fra l’ardore, l’entusiasmo e il dramma, questa poesia è destinata a quanti credono ancora nei valori dell’esistenza. Ma la veridicità e la felicità dei concetti non devono ingannare, non possono e non devono prendere il sopravvento, stilisticamente parlando, sugli effetti lirici d’incomparabile immediatezza, pur nella controllata scansione del verso; infatti la nuda essenzialità della forma, aristocraticamente scevra d’ogni verbosità, si fonde con il contenuto in armonia d’espressione, e la parola – quasi prosciugata – è purezza stilistica finalizzata ad accogliere quel nettare d’essenza destinato a nutrirci. Questa poesia in quanto tale, è dunque verità completa e appassionatamente recepibile, sia nei fonemi che nelle significazioni.
Tratto dalla Prefazione di Duccia Camiciotti
Claudio Battistich nasce a Fiume (Rieka) il 7 Luglio 1930.
Fucilato il padre, e minacciati d'essere infoibati egli stesso e la madre, fuggono in Italia, dove lui studia Medicina presso l'Università di Roma. Ma ad un certo punto è inviato in India per tentare di rintracciare alcuni ex-prigionieri italiani dispersi dopo la fine della II Guerra Mondiale. Lì incontra Sarina Berm, professoressa di lettere, e la sposa. Da lei , che però muore di parto, ha un figlio, il quale, a causa della legge del levirato, è costretto a lasciare alla cognata Sarina Fiamm. (Molto più avanti negli anni, il giovane, anch'egli studente in medicina, morirà a Benares per lo scoppio di una bombola ad ossigeno).
Rimasto senza famiglia, già nei primi anni ‘60 Claudio Battistich ritorna in Italia dove si laurea, ma non può esercitare finché non ha ottenuto la cittadinanza italiana, essendo stato apolide. Esercita il suo lavoro di traduttore dalle lingue antiche orientali (aramaico, ebraico antico, sanscrito, etc.) nel “Centro Studi Orientali” da lui aperto a Firenze, dove si trasferisce da Roma, e dove insegna orientalismo in genere, filosofie comprese, assistito dalla seconda moglie, Adelaide Duccia Camiciotti Battistich.
Muore l'11 Febbraio del 1988. Di lui sono stati pubblicati due libri di narrativa: “Il tempo di Meg Dombrwskyi” e “La conchiglia del Nautilo” (coautrice la seconda moglie, Chegai Editore, Firenze).
Collana "Gli Emersi - Poesia"
pp.64 €12.00
ISBN 88-7680-137-5
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