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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
VI
"Mostri di donne!" non cessava dal ripetere Demetrio, dopo questa scenaccia, stringendosi il capo nelle mani. Di queste scene, piú o meno rumorose, ne scoppiava una o una e mezzo quasi ogni settimana, e non ci volle che la testarderia del chirurgo per resistere agli strilli, alle lagrime, all'odio, che la cura suscitava nella vittima. Quando non ne poteva piú, stava a casa e si faceva desiderare per tre o quattro giorni. Subito arrivava un bigliettino, o veniva Arabella in persona a rabbonirlo, a chiamarlo indietro sul campo di battaglia, dove, quando non si moriva di disperazione, si moriva di fame. E questa vita durò tutta la quaresima, una vera quaresima di Galeazzo! Da una parte era un continuo studio per risolvere il problema dei bisogni quotidiani - quelli del pane e della minestra, - e per avviare la famiglia sopra un sistema razionale e possibile. Dall'altra invece era uno sforzo segreto e continuo di distruggere, di contraddire, di nascondere, di trafugare roba. La conseguenza era un odio crescente tra questi due partiti, che sarebbe stato pur tanto pietoso se avessero potuto intendersi, compatirsi, aiutarsi. Beatrice dovette ad ogni modo cedere, cedere sempre, e ricevere le bastonate da quella mano di ferro, che ogni mattina portava in casa il pane per i suoi figliuoli. Quando si sentiva soffocare, correva a sfogarsi da Palmira, che era sempre pronta a compatirla, a darle ragione, a suggerirle nuovi espedienti. «Oltre a non volere che io porti il lutto per mio marito, pretende che mangi quello che non mi va giú. Se c'è un pesce marcio o del formaggio che cammina da sé, pur di risparmiare un quattrino, lui ce lo porta a casa. Non vuole nemmeno che tenga una donna di servizio. Devo fare da Marta e da Maria e guai se non avessi Arabella! ma vedessi com'è ridotta a quest'ora la povera ragazza! una candela.» «Tuo padre permette? non dice niente?» chiedeva Palmira, che s'interessava con una certa furia sdegnosa a queste miserie. «Mio padre scrive continuamente di trovargli un capitale per finire una lunga causa contro l'Ospedale. Demetrio, non è vero?, potrebbe aiutarlo, ma non vuole. Quando fosse finita questa causa, io potrei ritirare la mia dote che è di quarantamila lire e ricuperare la mia indipendenza....» «E ci vuole una somma grossa?» «Ma no, trecento o quattrocento lire.» «Vuoi che ne parli a mio marito?» «Ma guai se Demetrio lo sapesse!» «Non gli faremo saper nulla. Vorrei esser io ne' tuoi panni, guarda! tu sei troppo buona. Io non ho figli, ma se ne avessi, sento che sarei una iena, una tigre....» La magra e nervosa Pardina fece tintinnare co' suoi fremiti tutti i braccialetti e tutte le catenelle d'argento e di ferro, di cui aveva cariche le braccia. Non aveva cattivo cuore, e messa sul puntiglio di farla dire ai signori uomini, non ebbe requie, finché non trovò la persona caritatevole e prudente disposta ad offrire le tre o quattro centinaia di lire che occorrevano per rimettere in moto la causa. Questa persona non fu Melchisedecco, che era troppo facile a ciarlare, ma un signore molto rispettabile. La Pardi andò un giorno a trovare apposta questa brava persona in casa sua e fece presente il caso della povera Beatrice... «Lo conosco: so di che cosa si tratta... Guarda un po', povera signora...» disse il buon benefattore, raccogliendo il pensiero in una delicata riflessione, che gli faceva stringere le labbra e tentennare il capo. E dopo avere riflesso ben bene, soggiunse: «Sicuro che è il caso di continuare, di fare qualche sacrificio, molto piú che non si tratta di una gran somma. Se non ci fosse di mezzo quest'altro, potrei trovare anch'io il mezzo... Se si potessero fare le cose in gran segretezza. Capisce, mia cara, io sono il capo, egli un subalterno, e le convenienze d'ufficio....» «Beatrice ha tutto l'interesse a tener segreta questa congiura.» «Bene, m'informerò prima, parlerò coll'avvocato: e vedrò se è possibile far del bene a quella poverina... Spiace sempre di vedere una bella donna a piangere.» Si combinò cosí bene il pasticcio, che qualche giorno dopo Palmira portava in una busta in gran segretezza le prime lire cento da parte di una persona influente, una vera capacità amministrativa, della quale disse il nome in un orecchio. Beatrice fu contenta di sentire che un uomo di tanta autorità trovasse che suo padre aveva ragione, e lo incoraggiasse a continuare nella sua causa per rivendicare i suoi vecchi diritti: anzi dava i primi denari, che essa mandò subito a Melegnano. Demetrio non si accorse di nulla. Giorno e notte il suo pensiero era in caccia di nuove economie, o d'un nuovo ripiego per far argine alla vita. Un giorno il cavalier Balzalotti lo prese in disparte e gli disse: «Senta, Pianelli: c'è un mio amico di Novara che deve passare a Milano tre o quattro mesi pei lavori del Censo e mi scrive di trovargli una stanzetta o due, in una posizione centrale, dove ci sia un letto, un cassettone, un tavolo, quattro sedie; non ama dormire negli alberghi, e sarebbe disposto a pagare venticinque o trenta lire al mese. M'è venuto in mente che forse si può combinare in casa di sua cognata.» «Altro che!» esclamò Demetrio, a cui sorrise subito l'idea delle venticinque o trenta lire al mese. Era un mezzo anche questo per alleggerire la barca, per otturare dei piccoli buchi. «Altro che! anzi la ringrazio infinitamente, signor cavaliere, d'aver pensato a noi. C'è modo di fare un ingresso separato, e le stanzette non potrebbero essere piú allegre.» «Benissimo, io scriverò subito al mio buon amico di Novara. Se devo anticipare qualche cosa....» «Che, che, che... mi canzona....» «Va bene» disse il cavaliere, che pareva un poco sopra pensiero. E dopo un momento soggiunse: «È lei che mi aveva raccomandato un ragazzo per l'Orfanotrofio?...» «Cioè, sarei ben contento se ci fosse un posto.» «Faccia la dimanda. Diavolo, se c'è un caso degno di considerazione è il suo. Faccia la dimanda e l'appoggeremo. Sono anch'io del Consiglio.» «Davvero? questa è una carità.» Demetrio accolse tutti questi avvenimenti come altrettanti segni della Provvidenza. Il buon uomo, abituato a vivere in una soffitta, era lontano le mille miglia dall'immaginare quel che sa fare l'arte di stare al mondo. A questa combinazione, cioè che si potevano appigionare due stanze e trarne qualche profitto non ci aveva ancora pensato. Se gli riusciva poi di mettere un ragazzo nell'Orfanotrofio, era un altro peso di meno. Certo che per riuscire nelle cose bisogna muoversi e non aspettare che il bene venga a trovarti a casa. E un'altra buona massima è di tener da conto la gente, specialmente i superiori, che hanno il mestolo di tante minestre in mano. La superbia è il cavallo dei ricchi: la povera gente è fin troppo onore quando va a piedi. VII Anche Arabella in mezzo alle scosse della sua casa usciva quasi trasfigurata. Non piú bambina oramai, perché aveva già troppo sofferto, e non abbastanza donna perché non aveva ancora sofferto abbastanza, la sua figura pareva diventata piú grande nella malinconia, gli occhi chiari si riempivano ogni momento di pensieri, una piccola ruga guizzava spesso nell'infossatura dei sopraccigli e la meschina era sempre in sospensione, in attesa, in paura o di qualche nuova disgrazia, o di una baruffa, o di un brutto incontro. Il piangere, senza lasciarsi scorgere, il mangiare poco e male fingendo d'averne abbastanza, il dormire affannoso, e quando non dormiva, quel continuo rotolare nel letto, quel sobbalzare improvviso a un improvviso abbaiamento... Quante volte le pareva di udire la voce di Giovedí lamentarsi sulla scala! e insieme un'altra voce d'uomo che cerca la carità, che si raccomanda! Per quanto lo zio Demetrio avesse cercato di attenuare la triste impressione del fatto, velando e negando molti particolari, pure essa non aveva piú dubbio che il suo babbo si era ucciso lassú in quell'orrido solaio, tra quelle travi nere sotto il tetto, dietro quell'uscio massiccio che il vento scoteva spesso la notte, riempiendo la casa di terrore. Nel buio essa non vedeva che quell'apertura nera spalancata davanti come una tetra voragine, piena di ragnatele e di sordidezze nefande: e guai se sfinita di forze si addormentava nella lugubre immagine di quelle travi incrocicchiate! Un grido la faceva trasalire; balzava sul letto al suo stesso grido, colla fronte in sudore, col cuore in frantumi, stava a sentire, le pareva che qualcuno passeggiasse leggermente per la stanza, girando intorno al letto, rimestando nei cantucci, inquieto, bisognoso di qualche cosa, finché una voce sommessa, o, per dir meglio, un fiato d'anima errabonda le traversava il corpicciuolo, lasciandovi i brividi della morte. Se ella avesse potuto dare tutto il suo sangue per arrestare quell'anima in pena, per far tacere quella voce che, sibilando, le parlava di cose incomprensibili nel buco delle orecchie, non avrebbe esitato un minuto. Aspettava con ansietà il giorno della sua prima comunione. Forse Dio in quel dí avrebbe avuto pietà di lei, avrebbe ascoltato i suoi voti. Se fosse stata piú grande, avrebbe voluto rinunciare subito alle cose del mondo, farsi tagliare i capelli - quella bellezza di capelli -, vestirsi di nero, andare negli ospedali, nelle missioni, dovunque insomma si può fare del bene, non per sé, ma per dare un sollievo a quell'anima vagabonda, che non trovava requie. A furia di pensarci, fu essa che persuase zio Demetrio a pagare il debito verso il Martini e a rivolgersi per questo al signor Paolino delle Cascine. Col tempo avrebbe pagato col suo lavoro quel debito. E quasi subito le parve che la povera anima fosse piú sollevata. Forse ella aveva indovinato ciò che andava da lungo tempo sussurrando e se ne consolò; a poco a poco imparò ad ascoltarla e le parve di capire un'altra volta che aveva bisogno di una messa. Cosí si abituò ad averne meno paura. Un prete le aveva detto che un atto di pentimento sincero in extremis può salvare l'anima del piú feroce assassino, e che le buone opere dei vivi sono tante leve per i poveri morti. Dunque c'era speranza che l'anima del suo papà potesse salvarsi: per lui essa offriva a Dio il bene, che avrebbe potuto fare e godere quaggiú. Una domenica, coi denari prestati dal signor Paolino, si presentò insieme allo zio all'uscio del Martini, che abitava una modesta casa in via Larga. Strada facendo, mentre si attaccava al braccio dello zio, non si scompagnò mai da quello spirito che l'immaginazione eccitata e quasi ossessa trascinava con sé dappertutto, anche in mezzo alla folla e in piena luce di mezzodí. Piú d'una volta dovette fare un gran sforzo di volontà e di raziocinio per non voltarsi a guardarlo. Demetrio, tutto chiuso e conturbato ne' suoi pensieri per il difficile passo che stava per compiere, non sentí due o tre volte il braccio di Arabella guizzare sul suo e tutta la sua personcina vibrare come un filo preso dalla corrente. Quasi non vedeva due passi innanzi, come se la soggezione e la vergogna d'incontrarsi col Martini facessero una nuvola davanti agli occhi. Pensava a quel che egli avrebbe potuto dire, senza riuscir mai a mettere insieme due mezze parole in un'idea. Solamente la coscienza in fondo pareva dire brontolando: "Si fa presto ad ammazzarsi: la vergogna e la penitenza toccano a chi resta." «C'è il signor Martini?» chiese Demetrio a una vecchietta, che venne ad aprire con in braccio una bambina di pochi mesi. Erano la madre e la figliuola del disgraziato. «Che cosa desidera?» chiese la vecchina con un fare cerimonioso, invitandoli a entrare. «Avrei del denaro da consegnargli» balbettò Demetrio. «Vengano avanti. Vado ad avvertirlo.» Rimasti un momento soli in anticamera, Demetrio disse ad Arabella: «Lasciami andar innanzi solo. Aspettami qui....» E a quell'uomo coraggioso tremavano le gambe. Quando tornò la vecchia, Arabella stese le mani alla piccina, e con quel diritto, che ogni donna ha sui deboli, la tolse in braccio nel suo guancialetto e andò a sedersi presso la finestra per contemplarla bene negli occhi. Essa aveva molte cose a dire a quella piccina. Appoggiò il viso al visino e nascose cosí le lagrime. Demetrio intanto era passato di là. La vecchia Martini, contenta delle carezze che la ragazza dava alla sua piccina, venne a fare delle confidenze. La sua Mimi era nata sotto cattiva stella: la mamma morí nel metterla al mondo, e ora il governo mandava via il papà lontano, fino in Sardegna. Era un trasloco senza promozione, senza miglioramento di stipendio, per colpa d'un birbone che l'aveva tradito, sotto la maschera dell'amicizia... «Ne ha passate quel povero martire in questi quattro mesi!» continuò la vecchietta intenerendosi «ne ha patite piú che Gesú in croce. Il governo ha riconosciuto la sua buona fede, la sua innocenza, sta bene; ma ci vuole un esempio, e il meno che possono fare è di mandarlo via per qualche tempo collo stesso soldo. Ma i denari perduti ha dovuto rimetterli: e ora non può condurre una vecchia e una bambina fino in alto mare. Dovrà fare due case; lasciar me colla piccina e colla balia, e andarsene solo colle sue malinconie... Questo si guadagna a fare il galantuomo.» Mentre la buona donna sfogava il suo corruccio, contando per la centesima volta una storia che non poteva levarsi dal cuore, Arabella tuffava sempre piú il viso nel guancialetto, a cui si stringeva colle braccia come se cercasse un appoggio per non cadere. Demetrio passò in un salottino, sparso di roba in disordine, dove trovò il Martini tutto occupato a riempire delle casse. I due uomini s'incontravano per la prima volta. «Ho il piacere...?» mormorò il padrone di casa per avviare una presentazione. Aveva ragione la sua mamma: i colpi della vita avevano dimezzato il disgraziato. Demetrio, dopo aver fissato gli occhi in un angolo in terra, come se cercasse la parola, disse parlando al muro: «Io sono..., io sono il fratello di Cesarino Pianelli, vengo a pagarle un debito che....» E per finire la frase trasse il portafogli, ne levò due biglietti da cinquecento, che collocò sopra alcuni libri della scrivania, agitando la testa sotto la violenza di piccoli scatti nervosi. Il Martini, che non si aspettava quella visita, còlto all'improvviso, assalito in mezzo alle sue dolorose preoccupazioni da una folla di piú dolorose rimembranze, non seppe sul momento che cosa dire. «La cosa... veramente... Io non so se devo...» balbettò. «Non possiamo pagare il danno morale, questo no: ma se lei può perdonare a quel poveretto, anche per la pace de' suoi figliuoli, fa un'opera di carità.» Un urto di passione soffocò le sue parole, che finirono in un gesto lento e supplichevole. Il Martini chinò il capo e socchiuse gli occhi. Stese la mano e strinse fortemente quella di Demetrio, parlandogli vivacemente cogli occhi negli occhi. Sapeva che anche Cesarino aveva lasciata la famiglia in gravi imbarazzi ed esitava ad accettare; ma Demetrio lo persuase a non dir di no, non tanto per la cosa in sé, quanto per la pace dei vivi e dei morti. Poi soggiunse: «C'è qui una sua figliuola che vuol essere quasi perdonata per il riposo di una pover'anima. Se permette....» Andò all'uscio, fe' un segno ad Arabella, che sulle prime non ebbe la forza di muoversi. Alzò il viso inondato dal guancialetto, e, sentendosi chiamare, si alzò, consegnò la bimba alla vecchietta, che la guardava con un senso di meraviglia, e dopo tre o quattro passi involti e legati, sul punto di varcare la soglia, si sentí come presa alla vita e vivamente trasportata dalla forza invisibile che l'accompagnava. Corse, quasi volò incontro a quel signore pallido vestito di nero, gli gettò le braccia al collo con affettuoso abbandono, si attaccò a lui con tutta la forza, rovesciando indietro la testa, socchiudendo gli occhi, sospirando: «Ci perdoni....» La vecchierella sull'uscio crollava il capo nella sua cuffietta bianca, col guancialetto dimenticato sulle braccia. Lo zio e la nipote, senz'altre spiegazioni, uscirono da quella casa piú consolati, e strada facendo l'una si attaccava al braccio dell'altro con un senso di piú domestica intimità. Non si dissero una parola fino a casa: ma due persone non avevano mai parlato e non s'erano mai capite tanto. Prima di andare a letto, quella stessa notte, Arabella si chiuse nella sua stanza e scrisse una lunga lettera a Paolino delle Cascine, suo benefattore. Finiva col dirgli: "Non cesserò mai di pregare il buon Dio e il mio Angelo custode, perché possano essere esauditi tutti i voti del suo cuore. Ella ha fatto una grande carità a me, a' miei fratellini, alla mia disgraziata mamma, al mio povero papà". E mentre scriveva il nome del suo povero papà, le parve di udire un fruscío nella stanza e vide la fiamma della candela piegarsi da una parte quasi mossa da un sottile alito di vento.
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