Home Page  
Progetto Editoriale  
Poesia  
Narrativa  
Cerca  
Enciclopedia Autori  
Notizie  
Opere pubblicate: 19994

-



VII PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE AL FEMMINILE

MARIA CUMANI QUASIMODO

SCADENZA
28 APRILE 2023

 

 



 

 

 

Il libro più amato da chi scrive poesie,
una bussola per un cammino più consapevole.
Riceverai una copia autografata del Maestro Aletti
Con una sua riflessione.

Tutti quelli che scrivono
dovrebbero averne una copia sulla scrivania.

Un vademecum sulle buone pratiche della Scrittura.

Un successo straordinario,
tre ristampe nelle prime due settimane dall'uscita.


Il libro è stato già al terzo posto nella classifica di
Amazon
e al secondo posto nella classifica di Ibs

Se non hai Amazon o Ibs scrivi ad:

amministrazione@alettieditore.it

indicando nell'oggetto
"ordine libro da una feritoia osservo parole"

Riceverai tutte le istruzioni per averlo direttamente a casa.



Clicca qui per ordinarlo su Amazon

oppure

Clicca qui per ordinarlo su Ibs

****

TUTTO QUELLO CHE HAI SEMPRE VOLUTO
PER I TUOI TESTI

vai a vedere quello che ha da dirti Alessandro Quasimodo
clicca sull'immagine

Le opere più interessanti riceveranno una proposta di edizione per l’inserimento nella prestigiosa Collana I DIAMANTI
Servizi prestigiosi che solo la Aletti può garantire, la casa editrice indipendente più innovativa e dinamica del panorama culturale ed editoriale italiano


 
Info sull'Opera
Autore:
Pietro Aretino
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

DIALOGO tra Nanna e Pippa (II Giornata, 2 )

di Pietro Aretino

NANNA. E non si accorgano del vituperio loro: perché eglino ci hanno fatte puttane e insegnatici le sporcarie; e cotali vertù son venute dai ghiribizzi di questo e quel puttaniere; e ne mente e stramente chi vuol dire che il primo che trovò lo adoperarci per maschi, assaggiandoci col piuolo, nol fece sforzatamente: ed è chiaro che i denari maladetti incantarono colei che fu la prima a voltarsi in là; e io che ne ho fatto la mia parte, e son suta de le più scelerate, non mi ci recava se non per non poter più resistere al predicare di colui che mi infradiciava tanto, che io gliene ficcava in grembo con dire: "Che sarà poi?".
PIPPA. Propio, che sarà poi?
NANNA. E che risa gli escano di gola nel vedercelo entrare e nel vedercelo uscire; e dando alcune spinte a schincio e certe punte false, par che tramortischino per la dolcezza del farci male. Talotta tolgano uno specchio grande grande, e ispogliatici ignude, fanno starci nei più sconci modi che si sappino fantasticare: e vagheggiandoci i visi, i petti, le pocce, le spalle, i corpi, le fregne e le natiche, non potrei dirti come se ne sfamano il piacere che ne hanno. E quante volte stimi tu che faccino stare i lor mariti, i lor giovani ai fessi perché vegghino ciò?
PIPPA. Sì, eh?
NANNA. Così non fosse. E quante volte pensi tu che a l'usanza pretesca faccino ai tre contenti? O abisso, apriti mai più, spalancati se vuoi! E ne ho conosciuti alcuni che hanno a tutti i partiti del mondo lusingate tanto le amiche, che le han cacciate ne le carrette in presenzia del carattiere e ne la via dove passa ognuno: godendosi, mentre i cavalli son messi in fuga da le fruste, di quel saltellare de la carretta, onde ricevevano spinte non più provate.
PIPPA. Che voglie.
NANNA. Alcuno altro pattovisce con la sua signora, sendo là presso a l'agosto, i dì piovaiuoli; e venuti che sono, bisogna che ella si colchi seco, e seco stia nel letto finché le burlate del piover durano: e pensa tu che fastidio sia quel d'un sano fatto stare fra i lenzuoli un dì e due, mangiando e beendo ne la forgia degli amalati.
PIPPA. Non ci potria mai durare.
NANNA. Che crepaggine è quella de una femina occupata nel piacere che si piglia alcuno di farsi grattare e palluzzare i granelli; e che passione è lo aver a tener sempre desto il rosignuolo, e tuttavia le mani su le sponde del cesso! Dicami un poco, un di questi perseguita-puttane, che denari potria pagare una così lorda e puzzolente pacienzia. Io non dico questo, figliuola mia, perché tu te ne faccia schifa; anzi voglio che sappi farlo meglio d'ogni altra: ma gli ho tocchi, i tasti, per mostrare che noi non furiamo gli avanzi che si fanno de la merce che si mercata per mezzo de l'onestade sbarattata da le nostre miserie. Io do l'anima a Satanasso quando siamo battezzate per mancatrici di fede: e con effetto la rompiamo spesso; e che è perciò? non siamo noi donne, se ben puttaniamo? ed essendo femine e puttane, è sì gran cosa il fregarla a la fede che si dà per via di due mani insensate? Il fatto sta nel fracasso che ne fate voi altri uomini da sarti, e non in quello che ne faciamo noi donne da scacchi, che per nonnulla la diamo e ridiamo e per nonnulla la togliamo e ritogliamo: e ciò nasce perché i nostri cervelli non seppero mai qual vivanda gli andasse più a gusto. Alcuno dice che le vivande del gusto nostro si condiscano con l'oro e con l'ariento: noi siam rifatte, se gli uomini vogliono farci più avari di loro; tu puoi contar col naso le donne che per aver denari tradischino le rocche, le città, i padroni, i signori e dominusteco; ma si anoverano ben con le dita, anzi con la penna, quelli che l'accoccano, hanno accoccato e accoccarebbono ai Padri santi, del mondo pastori.
PIPPA. Voi sète in vena, e perciò cappate le più belle del sacco.
NANNA. Lascia pur fare a <chi> fece, e dire a chi disse, e, tacendo fatti beffe di chi la squacquara rimoreggiando: "La poltroncionaccia puttanissima mi ha pur mancato de la sua traditora promessa"; e se pur vuoi rispondere, dirai ad alta voce: "Ella ha imparato da voi mancatori".
PIPPA. Gliene appiccarò con grazia.
NANNA. Che bel fargli rosso il sedere con una sferza di sovatto, quando ci tassano del non contentarci di .XXV. innamorati e ci dicano lupacce e cagnacce: non altrimenti che i luponacci e cagnonacci se ne stessero con una sola. Lasciando il fiutarne quante ne veggano, né gli bastando tutte, con ogni industria si cacciano a sbramar la lussuria fin coi guattari de le più sudice taverne di Roma; e se non fosse che si direbbe che noi vogliam male ai sodomiti perché ci tolgano i tre terzi del guadagno, te ne direi cose, dei gaglioffacci, te ne direi cose che te ne farei chiuder le orecchie per non udirle.
PIPPA. Vadinsi a sotterrare i tristi.
NANNA. A le rovinate da le imbriacature degli uomini scoscienziati.
PIPPA. A loro.
NANNA. Accadde che una non-ci-fosse-mai-nata, doppo il sofferimento de le rabbie, de le villanie, degli spregiamenti, de le bestemmie e de le busse con le quali due anni di lungo la combatté il suo bertoncione, tolse suso: e sgombrando da lui solamente se stessa, lasciandogli ogni mobiliuzza e datale da lui e fatta da lei, e ne l'andarsene fatto boto di non tornarci prima che ella diventasse cenere; e così si stava, e con ostinazion di femina ostinata si avventava con l'unghie al viso di qualunche le parlava di rimpiastrarsi con seco: onde egli ci messe amici, amiche, ruffiane, ruffiani e fino al suo confessore, né mai la poté convertire. È ben vero che le sue robbe non se gli rimandàr mai, perché pare a uno che ha perduta la sua donna averla a ritrovare per il mezzo de le cose rimase ne le sue mani: or sì pure. Il ribaldo pensando continuamente al modo di riaver costei, passati alquante stomane, il trovò e trovatolo parendogli già vendicarsi con il suo non aver voluto ancora ritornargli in casa, si infocò tutto ne l'ira: e che fece? Finse una febbre subitana e un mal di petto crudele, e lasciatosi cader là il rimor grande si sparse nel vicinato: e corsi a lui i servidori e le servidore, gli rammentarono l'anima, parendogli che il corpo, il quale non aveva male niuno, fosse spacciato.
PIPPA. Chi non si pon mente ai piedi inciampa.
NANNA. Il frate venne, e con "Iddio vi renda la sanità" si gli pose a sedere allato; e confortatolo a star di bona voglia, gli entrò nei peccati grevi e mortali: e domandògli se aveva ammazzato o fatto ammazzare. Il taccagno gittò fuora le lagrime, dicendo: "Io ho fatto peggio; e questo è il tradimento usato da la mia perversità a madonna..."; e proferito tanto del suo nome che il frate lo intese, fece vista di venir meno: onde lo "aceto, aceto" s'udì per tutto; e bagnatigli i polsi con esso, si riebbe in un tratto. E ritornato a la confessione, con parole affannate disse: "Padre, io moio, io sento bene io ciò che io ho, e perché l'anima ci è, ed ècci anco l'inferno, io lascio il tal podere a colei che io vi ho detto: fategnele intendere come da voi, e caso che io migliori punto, farò distenderlo dal notaio nel testamento"; e qui stroncossi la confessione. Assolvéllo la sua Reverenzia, e andossene di lungo a trovare madonna, la quale tirò da parte e dissele lealmente de la lascita.
PIPPA. Eccola rovinata.
NANNA. Come ella sentì il suono del podere cominciò a ballarci suso col core, il quale gli galluzzò subito, ma storcendosi un poco, dimenava il capo con certi crolli e strigner di labbra che parea lo sprezzasse; e aprendo appena la boccuccia, disse: "Io non mi curo di poderi né di lascite". Onde fe' stizzare il padre; e se le voltò dicendo: "Che materia è la vostra? Hassi a beffeggiar la robba donatavi per dominum nostrum a questa forgia? E poi qual paterina giudea sofferirebbe che si perdesse una anima? Recatevi la mente al petto, figliuola mia spirituale, e vestitivi adesso adesso e andatevene in un baleno a lui che mi pare udir buccinarmi ne le orecchie "egli guarirà s'ella vi va"". Pippa, egli è il diàscane il sentir toccarsi da le redità: e per questo si crocifiggano insieme i fratelli, i cugini; e perciò la infregiata da sua Paternità trottò via: e giunta a l'uscio, lo bussa con quella sicurtà che lo picchiano le padroni dei signori de le case ne le quali vanno. Tosto che si udi il tocche ticche, il messere, che si stava come morto in letto non avendo nulla, le fece aprire; ed ella, saliti gli scaloni in due passi ed avventatasigli a dosso, l'abbraccia senza dire altro: perché il pianto, il quale non era in tutto finto né in tutto da vero le impediva la favella.
PIPPA. Chi ne saperà più?
NANNA. Lo scariotto, lo scariotto ne seppe più, dormendo, che non fece ella vegghiando; e perciò, come la sua venuta lo avesse risuscitato, si levò suso: e posto nome a la sua visita "il miracolo", mostrò la sua sanità in quattro dì. Onde le disse: "Andiamo al podere che io ti lasciava morendo; perché te ne faccio donagione, poiché per tua bontà son ravisolato". Ella vi andò: e quando credette entrare in possessione de le terre, fu data per merenda a la fame di più di quaranta contadini i quali, per essere la festa di San Galgano, si stavano ragunati in una casaccia senza finestre e mezza rovinata: e chiacchiaravano appunto del farlo a le cittadine e a le puttane grandi, quando la manna gli cascò fra i denti.
PIPPA. Adunque la fraga si gittò in bocca a l'orso?
NANNA. Così fu; e se io ti volessi fare una simiglianza dei cotali rugginosi che gli spuntar fuora de le brache, trovarei altro che le corna de le lumache: ma non è onesto. Neanco debbo dipignerti gli atti i quali facevano mentre davano il bottaccio de l'acqua al molino; basta che scotevano il pesco a la contadina e, secondo che la tradita da la esortazion fratina ebbe a dire, che la puzza del sudiciume di che essi ulezzavano, i rotti di radici che tra<e>vano, e con le coregge appresso, le fu di più noia che non furono li strazi del suo onore.
PIPPA. Crédovelo.
NANNA. Saziati quei contadini, che la fecero diventar botte de l'olio loro, mentre ella scarmigliata si graffiava tutta, fu lanciata drento una coperta coi manichi, e balzata dai medesimi trentunieri sì alta, che stava un terzo d'ora e ricaderci giuso, e la camiscia e i panni che nel volare suo si gavazzavano col vento, le facevano mostrare la luna al sole: e se non che la paura le mosse il corpo, onde la coperta e le mani attaccateci si invernicarono, ella si balzarebbe ancora.
PIPPA. Balzato sia il capo a chi il consentì.
NANNA. E perché gli pareva che il trentone l'avesse grattata e la coperta spassata, fece tòrre un fascettino di vincastri e levarla a cavallo in su le spalle d'un traferfero, il quale la teneva sì forte che aveva agio di inaspare col dimenarsi e col trar di calcio; ma ella adoperava al suo arcolaio una matassa d'accia troppo scompigliata: e perciò, dimenatasi un buon pezzo, si beccò sul culo tante vincastrate quanti dì ella si aveva fatto pregar di venire a lui; e perché non mancasse nulla a la neronaria del tristo doloroso, gli tagliò i panni intorno a la centura e lasciolla andare con la sua benedizione.
PIPPA. Lasciato sia egli a discrezion del maglio, quando il manigoldo l'alza per mozzare il collo a chi il merita meno.
NANNA. Si disse, e fu vero, che mentre ella andando volse coprirsi la vergogna con mano, che uno sciamo di api l'entrar fra le cosce, credendosi che ivi fosse la fabrica loro.
PIPPA. To' su il resto.
NANNA. Sono schiava a una giovane de le scaltrite puttane di Roma, la quale fu alettata da trecento ducati lasciati a lei in un testamento fatto da uno che ne moriva. Ella si accorse come egli fingeva di star malissimo, e che il testamento, il qual cantava dei trecento, era per farla correre e per darle a vedere che pur poteva sperare secondandolo. Sai tu ciò che ella fece?
PIPPA. Io non lo so, ma vorrei ben saperlo.
NANNA. Gli diede un bocconcillo di tosco e mandollo al palegro: e così il testamento sborsò i contanti.
PIPPA. Io vo' dir la corona per lei; e voglio, per mezzo dei miei paternostri, che Domeneddio da Imola lasci stare il fiorir de le zucche, perdonandole un così galante peccato.
NANNA. Ma uno spino non fa siepe, né una spiga manna: e se quella seppe le sue, questa drizzò i papaveri nei gambi; e avendo a torto e a peccato ricevuto un fresciaccio dal suo amante più cotto che crudo, un fresciaccio di sette punti, per parecchi lagrimucce che egli gittò e per non so quanti sospiri, sotto la fede dei falsissimi giuramenti, avendo ancora la fascia al viso, non pur consentì a non gli voler male, ma si ridiede a dormir con seco quasi ogni notte; e quando si credeva di avere in ristoro del danno qualche gran presente da lui, si trovò una mattina peggio che la buona memoria di don Falcuccio: egli le nettò suso fino a un ditale di ariento, e lasciolla a darsi tanti pugna nel petto e tante pelature di capegli, che più non se ne danno le figliuole nel serrar gli occhi de la madre.
PIPPA. Diàcene, che io non sappi uscir del buio, andandomi voi inanzi con il doppiere acceso?
NANNA. Pippa, ricorditi egli quando tu solevi levarti a pisciare mentre io dormiva?
PIPPA. Sì, madonna sì.
NANNA. Non sai tu che, nel voler ricolcarti, il più de le volte non ritrovavi il letto, e più andavi a tastoni, più ti perdevi, né mai ti ci saresti imbattuta se non mi avessi desta?
PIPPA Vero è.
NANNA. E perciò, se fin ne le cose minime non puoi far senza me, fà anco che ne le grandi io ti sia a candellieri, e in ogni tuo andare ricorditi di me, odi me, ubi<di>sci me e tienti a me: e non dubitare, se lo fai, dei giganti, non che dei nani. E certamente bisogna stare in cervellissimo, perché noi siamo come giocatori: i quali, se si vestano del carteggiare e del dadeggiare, non se ne calzano; e sia pur qual puttana si voglia, e ricca e favorita e bella, che tutto si assimiglia a un cardinale vecchio cascato, il quale non è papa perché la morte gli dà la sua boce.
PIPPA Voi favellate cupamente.
NANNA. Io esco dei solchi per volergli far troppo diritti: e questo interviene anco a coloro che acoppiano le parolette come si acoppiano l'uve duràcini. Io vorrei tirarti a credere che la più felice e la più contenta puttana è infelice e scontenta: lascia pur treccolare a chi treccola e ciarlare a chi ciarla, che ella è così. Soleva dire lo scalco di Malfetta che la felicità e la contentezza d'una puttana erano sirocchie carnali de le speranze di quel cortigiano il quale tiene in mano lo avviso del tale che si more: e poi guarisce appunto in quello che ha ottenuto i suoi benefizi. Ma dicanmi, quelle che se ne fanno belle: è felice una la quale, come ti ho narrato, se sta, se va, se dorme e se mangia, bisogna, o voglia o non voglia, che segga con l'altrui chiappe, vada con gli altrui piei, dorme con gli altrui occhi e mangi con l'altrui bocca? è contenta colei, la quale mostrano tutti i diti per bagascia e per femina del popolo?
PIPPA. O è femina del popolo ogni puttana?
NANNA. Sì.
PIPPA. Come sì?
NANNA. Ognun che spende da contentarsene, dee montar suso, sia pur ricco in fondo e pelacane e plebeo a sua posta: perché i ducati tanto lucano ne le palme dei famigli quanto dei padroni, e sì come gli scudi d'uno acquaruolo, rimescolati con quei d'un caca-spezie, son de la medesima valuta, e chi gli piglia non vantaggia questi da quelli, così, essendoci la pecunia, tanto si dee aprir al re quanto al servo. Per la qual cosa ogni puttana che vuol denari, e non ispade e bastoni, è pasto del popolo.
PIPPA. Non si pò dir meglio.
NANNA. Dimandinsi i pergami, non pure i predicatori, se noi siamo felici e contente. Eglino si recano lassuso, e dannoci drento: "Ahi! scelerate concubine del cento-paia, spose dei foletti, sorelle di Lucifero, vergogna del mondo, vitupero del sesso de lo in mulieribus: i dragoni de lo inferno vi divoraranno l'anima, ve l'abbrusciaranno, le caldaie del zolfo bollente vi aspettano, gli spedoni infocati vi chiamano; i graffi dei demoni vi squartaranno, voi sarete carne degli uncini loro, e sarete scudisciate dai serpi: in eternum, in eternum". Ecco poi il confessore: "Ite in igne, in igne dico, ribaldacce, valige da peccati, rovinatrici di uomini, maliarde, streghe, fatucchiaie, spie del diavolo, luponacce"; e non ci vogliono pure udire, non che assolverci. E venendo la stomana santa, i Giudei, i quali conficcarono in croce il nostro Signore, son meglio visti di noi; e la coscienzia ci rimorde, e dicici "Andatevi a sotterrare in un monte di litame, e non comparite fra i Cristiani". E perché siamo condotte a sì rio partito? Per amor degli uomini, per sodisfare a loro, e perché ci hanno così fatte.
PIPPA. Perché non si grida agli uomini come a noi altre?
NANNA. Questo voleva dire io: doverebbe la paternità de la Reverenzia di messer lo predicatore voltarsi a le loro Signorie, dicendogli: "O voi, o spiriti tentennini, perché sforzate, perché contaminate, perché piegate le donne puracce, le donne lascele-stare, le donne balocche? e se pur le colcate donde vi pare, a che fine svaligiarle? a che proposito sfregiarle? e a che far bandirle?". Il frataccio doveria far sì, che quei serpenti, quelle caldaie, quelli spedoni, quelle fruste di bisce, e i graffi, gli uncini e i satanassi si spedissero inverso le lor magagne.
PIPPA. Forse lo faranno.
NANNA. Non ci pensare, non te lo credere, non ci far disegno; perché tristo a chi manco ci può: e perciò gli uomini son grattati non isgridati, dai frati. Ora al farci pagare da chi ci trassina per in giù e per in sù.
PIPPA. Mi par che me ne abbiate favellato.
NANNA. Non è vero; e poi le imbasciate che importano si replicano due e tre volte. Pippa, io vorrei saper da quelli belli-in-banca, i quali ci apongano solo perché cerchiamo il nostro utile facendoci pagare dei servigi che facciamo a chi ci comanda, per che conto, per qual ragione aviamo a servire altrui per i loro begli occhi. Ecco il barbiere ti lava e rade: e perché? per i tuoi denari; i zappatori non ficcarebbono zappa in vigna, né i sarti ago in calza, se i quattrini non gli balzassero nei borselli; amàlati e non pagare, e vedrai il medico doman da sera; togli una fante e non le dar salario, e farai tu l'ufficio suo; và per la insalata, và per le ramolacce, và per l'olio, và per la salina, và per ciò che tu vuoi senza denari, e tornarai senza: si paga la confessione, la perdonanza...
PIPPA. Non si paga più, fermatevi.
NANNA. Che ne sai tu?
PIPPA. Me lo ha detto il penetenzieri quando mi diede con la bacchetta in sul capo.
NANNA. Può esser; ma pon mente al prete, o a chi ti ha confessato: quando non gli porge, vederai i<l> bel viso che ti fa. Ma sia che vuole, le messe si pagano; e chi non vuole esser sepellito nel cemiterio o longo le mura, paghi il chirieleisonne, il porta inferi e il requiem eternam. Non te ne vo' dir più: le prigioni di Corte Savella, di Torre di Nona e di Campidoglio ti tengano rinchiusi e stretti, e poi vogliano essere strapagate. Infino al boia tocca i tre e quattro ducati per i colli che attacca e per i capi che mozza: né faria un segno ne le fronti ladre, né tagliaria un naso ghiotto, né uno orecchio traditore, se il senatore o il governatore, il podestà e il capitano non gli desse il suo dovere. Vattene a la beccaria e abbi quattro onciarelle di pecora più: e se ti son lasciate se non ci aggiugni il danaio, di che io non sia dessa. E infino ai pretacchioni che benediscano l'uova tolgano la rata loro. Sì che, se ti par lecito di dar tutto il tuo corpo e tutte le tua membra, tutti i tuoi sentimenti per un "gran mercé madonna", fà tu; e se ai mercatanti, i quali non guardano niuno in viso se non ne cavano usura, ti vuoi dare in dono, datti.
PIPPA. Non io che non voglio.
NANNA. E perciò intendimi bene; e intesa che tu mi hai, mette in opra i miei avvisi: e se lo fai, gli uomini non saperanno guardarsi da te, e tu ti saprai guardar da loro. Lasciagli pure civettare da le finestre de le camere rispondenti in quelle de la tua, con le collane in mano, coi zibellini, con le perle, con le borse piene, facendo sonare i doppioni che vi son drento col percuoterle con la mano. Baie, cacabaldole, arzigoghelarie e giuochi da puttini sono cotali zimbellamenti; anzi arti per dileggiar coloro che ci porgano l'occhio: e tosto che si avveggano che ci fai l'amore credendoti che te le voglia donare, ti squadra le fica dicendo: "Togli queste, carogna, scrofa, cioncola".
PIPPA. Se mi fanno di cotali cilecche, le vendette non si lasciaranno a fare ai miei figliuoli.
NANNA. Pàgati ancora dei pignatti e dei pentolini di pece che ti avventano a le finestre per ardertele e per isconguazzartele, con la giunta dei panni incerati coi quali ti disgàngarono la porta rivoltandola col capo in giuso. E per condir ben la fava menata, ci vogliono essere i rimori, i gridi, i fischi, le baiacce, le villanie, le coregge, i rotti, le bravate che usano per destatoio quando dormi ed eglino ti fanno la processione intorno a la casa, bandendo i tuoi difetti ne la forgia che si doverebbono arcibandire i loro.
PIPPA. Che gli venga il mal del petto.
NANNA. Uno uccel perde-il-giorno trovò una solenne fantasia, anzi la più sciocca che mai si trovasse amante bugiardo, falso e alocco.
PIPPA. Che fantasia fu la sua?
NANNA. Per parere di vivere in isperanza de l'ottenere la donna de l'amor suo, e perché ella intendendolo cominciasse a far pensiero di contentarlo, si vestì tutto tutto di verde: la berretta verde, la cappa, il saio, le calze, il fodero, il puntale, il manico de la spada, la cintura, la camiscia, le scarpe; e fino al capo e a la barba pare a me che si facesse far verde: il pennacchio, la impresa, i puntali, le stringhe, il giubbone e tutto.
PIPPA. Che erbolata!
NANNA. Ah! ah! ah! Egli non mangiava se non cose verdi: zucche, cidriuoli, melloni, minuto, cavolo, lattuche, borace, mandorline fresche e ceci; e perché il vino paresse verde, lo poneva in un bicchiere di vetro verde; e mangiando geladia succhiava solamente le frondi del lauro intermesseci drento; faceva fare il pane di ramerino pesto con l'olio, perché tenesse di lega verde; sedeva su gli scanni verdi, dormiva in un letto verde, e sempre ragionava di erbe, di prati, di giardini e di primavere. Se cantava, non si udiva se non speranza inalborata nei campi da metere; e ingioncava i versetti con le pergole, con le pimpinelle e con le caccialepri; e mandando lettere a la diva, le scriveva in fogli verdi: e credo che il suo andar del corpo fosse verde non altrimenti che la sua cera e la sua orina.
PIPPA. Che matto spacciato.
NANNA. Matta spacciata era colei la qual si credeva ciò farsi per le sue divinitadi, e non per le cattivanze sue. Vuoi tu altro, che egli finse tanto la speranza e tanto la predicò, che la buonaccia, la quale non la voleva far mentitrice, ci si lasciò còrre, parendole che il trovato del verde fosse a le sue bellezze un bel che: e il merito che le ne rendette il verderame fu il lasciarla svaligiata de la coltrice del letto.
PIPPA. Ghiotto da forche.
NANNA. Una certa monna Quinimina sgraziatella, a la quale la natura aveva dato un pochetto di viso e un poco di bella persona per farla fiaccare il collo e per più suo disfacimento, a l'usanza di colui che sa tanto giocacchiare che gli basta a perdere, sapeva tanto di lettera che intese una lettera mandatale da un ciarlone. O Domenedio, dove diavolo si trova egli che Cupido colga la gente al buio? e come è possibile che un cacasi-sotto tiri l'arco e ferisca i cori? Egli ferisce il gavocciolo che venga a noi femine, da che diam fede a le ceretanarie, credendoci avere gli occhi di sole, la testa d'oro, le gote di grana, i labbri di rubini, i denti di perle, l'aria serena, la bocca divina e la lingua angelica: lasciandoci accecare da le lettere che ci mandano i gabba-donne nel modo che si lasciò gabbare la sfatata che ti dico. Ella, per dar da favellare a la brigata del suo saper leggere, ogni volta che poteva furare il tempo, si piantava in su la finestra con il libro in mano: onde la vidde un gracchia-in-rima, e avvisandosi che potria esser molto bene che per via di qualche cantafavola scritta d'oro gnele accoccaria, tinse un foglio con il sugo di viole a ciocche, di quelle vermiglie, e intignendo la penna nel latte di fico, scrisse come ella faceva disperare con le sue bellezze quelle degli angeli, e che l'oro toglieva il lustro dai suoi capelli, e la primavera i fiori da le sue gote, facendole anco stracredere che il latte si fosse imbucatato nel candido del suo seno e de le sue mani. Ora stimalo tu se ella peccò in vanagloria udendosi millantare.
PIPPA. Balorda.
NANNA. Quando ella ebbe finita di leggere la sua disfazione, da la quale si senti dar più lalde che non si dà al laudamus, si rintenerì tutta quanta, e vedendosi scongiurare de la risposta, si gittò ne le braccia di quel "solo e segreto", il quale gli ingannatori fanno ne le lor dicerie a lettere di scatole, acciò che noi gli porgiam l'occhio al primo; e ordinato il suo venire il terzo dì, perché in quella ora il suo marito andava a la villa, si stava spettando il tempo.
PIPPA. Ella aveva marito, che?
NANNA. Sì, in malora.
PIPPA. E in mal punto.
NANNA. Avuto che ebbe il messer fa-sonetti il sì, trovò non so quanti sconquazza-carte e stiracchia-canzone, dicendo: "Io vo' fare la serenata a un puttanino maritato, assai gentil cosetta, la quale gualcarò tosto tosto; e che sia il vero, eccovi qui la posta manu propria". E mostrategli alcune righe scrittegli da lei, se ne risero un pezzo insieme; poi, tolto un liuto, accordandolo in un soffio, stroncò una calata assai contadinescamente; e doppo uno "ah! ah! ah!" a la sgangarata, si messe sotto la finestra de la camera de l'amica, la quale rispondeva in un borghicciuolo dove passava una persona l'anno; e appoggiato con le rene al muro, adattatosi lo stormento al petto, porse il viso in alto; e mentre ella balenava lassuso, biscantò questo cotale:

Per tutto l'or del mondo,
donna, in lodarvi non direi menzogna,
perché a me e a voi farei vergogna.
Per Dio che non direi
che in bocca abbiate odor d'Indi o Sabei,
né che i vostri capelli
de l'oro sien più belli,
né che negli occhi vostri alberghi Amore,
né che da quelli il sol toglie splendore,
né che le labbra e i denti
sien bianche perle e bei rubini ardenti,
né che i vostri costumi
faccino nel bordello andare i fiumi:
io dirò ben che buona robba sète,
più che donna che sia;
e che tal grazia avete
che, a farvelo, un romito scapparia.
Ma non vo' dir che voi siate divina,
non pisciando acqua lanfa per orina.

PIPPA. Io per me gli arei gittato il mortaio in capo, gliene arei gittato per certo.
NANNA. Ella, che non è cruda, come non sarai anche tu, se ne tenne ben bona e ben grande; e non pur aspettò il dileguarsi del marito: ma il dì seguente se ne fuggì con seco in casa d'un fornaio amico del frappatoraccio, al quale diede in serbo una cosa da cinger donne. Come il messere vidde la cintura, disse infra sé: "Gli ambracani saranno buoni per farmene una maniglia al braccio, e le galluzze d'oro per empirmi la borsa"; e questo dicendo, se ne andò a la zecca, e trasformò il metallo senza conio in metallo coniato: .XXXVII. ducati larghi ebbe dei paternostri che tramezzavano l'ambragatta, i quali giocò allora allora. E venendosene senza essi a casa del fornaio, entrato in una di quelle rabbie che entrano ne la testa di coloro che son rimasti in asso bontà de l'asso, colta a la fegatella la cagion del petorsello (o "prezzemolo" che lo chiamino le savie sibille), la ruppe tutta col bastone, e poi con una precissione di pugni la sospinse giù per la scala.
PIPPA. Buon pro.
NANNA. Ora ella se ne stette in una stanzetta di non so qual lavandaia una notte senza dormire oncia; onde ebbe agio di pensare a la vendetta: e ci pensò nel modo che io ti dirò. La cinta guasta da la mala persona, fu trafugata dal suo uomo di quella casa, là dal cardinal de la Valle, la quale arse non è troppo: ed ella gliene robbò fuora d'un cofano. Ora, vedendosene rimasta senza, per vendicarsi contra colui che la pestò ben bene, non pensando a quello che ne potesse riuscire, andò al padrone de la casa abbrusciata, e gli disse come il tale aveva la sua cintola. Il gentiluomo, saputo il tutto, fece dar di grappo a chi gliene imbolò, e credendosi il capitano di Corte Savella per cotale indizio, che egli avesse furate de l'altre zaccare, gli diede parecchi strappate di fune. E così la pecorella con danno <e> vergogna sua e del marito si rimase; e quello che l'aveva trattata a suo modo, se ne uscì per il rotto de la cuffia.
PIPPA. Ben gli sta a chi ci si lascia còrre.
NANNA. Ma io fino a qui ti ho mostro gli acini del pepe, del panico, de l'agresto, del grano e de le melagrane; ma ora ti spiego le lenzuola per in giù e per in su: e con una sola, ne la quale non è borra, ti mando a spasso. E perciò ascoltami: e se puoi astenerti di piagnere, astientene.
PIPPA. Che, sarà qualche donna ingrossata e poi cacciata a le forche?
NANNA. Peggio.
PIPPA. Qualcuna tolta a la mamma e al babbo, e poi bastonata e abandonata nel mezzo de la via?
NANNA. Peggio che sfregiata, mozzole il naso, lasciata in camiscia, svergognata, franciosata e mal concia più che si possa.
PIPPA. Dio aiutici tu.
NANNA. Così va chi s'infregia a credenza.
PIPPA. Certo la cosa dee venire dai poeti, ai quali volete che io apra e me gli tiri a dosso.
NANNA. Cotesto non ti ho detto io; io voglio che gli accarezzi senza dargnele mai fetta: e questo si fa perché non ti dileggino con la baia de le lor laude, e acciò che, beffeggiandoti con la poltroneria del biasimo, non paia che dichino a te.
PIPPA. Così ci si pò stare.
NANNA. Io non mi ricordo di quello che io ti voleva dire.
PIPPA. Né io.
NANNA. E perciò non mi romper la favella in bocca.
PIPPA. Bisogna pure che io badi al fatto mio.
NANNA. Io l'ho atinta: un re! Un re, e non un dottoruccio, né un capo di squadra, un re ti dico: costui, con un mondo di gente a piedi e a cavallo, se ne andò a campo nel paese d'uno altro re suo nimico; e saccomannatolo, arsolo e disfattolo, si pose intorno a una grama città, dove colui che nol poté mai placare per via di accordo niuno, con la moglie e con una sola figliuola che aveva, s'era fuggito. Ora, durante la guerra, il re che voleva pigliar la città si poteva dibattere: perché era sì forte che il signor Giovanni di Medici, iddio Marte, non l'averebbe presa, sbombarda, scoppietta, archibusa quanto sai. Ma che accasca? Il re che la combatteva faceva cose di fuoco ne le scaramucce: a chi fendeva il capo, a chi spiccava un braccio, a chi mozzava una mano, e chi gittava, d'uno incontro di lancia, in alto un miglio; di modo che amici e nimici ne avevano che dire. Onde la fama prosuntuosa, fattasegli guida, menatolo pel campo trionfalmente, se ne andò drento; e trovò la figliuola del re sventurato, e le dice: "Viene in su le mura, e vederai il più bello, il più valente e il più bene armato giovane che nascesse mai". Appena gnele disse, che ella ci corse sopra: e conosciutolo a le penne terribili che svolazzavano in sul cimiere e a le sopraveste di tela d'ariento le quali abagliavano i razzi del sole mentre lo splendor suo ci feriva drento, uscì di se stessa; e vagheggiandogli il cavallo, l'armadure e i gesti, eccolo fino in su le porte: e nel brandire la spada per uccidere un soldato che gli arancava inanzi, si ruppe la coreggia de l'elmo e sbalzogli fuor di capo. Per la qual cosa ella vidde quella faccia di rose, fatte tutte vermiglie nel combattere: e il sudore che ci spruzzava la fatica, simigliava la rugiada che le bagna quando l'alba incomincia ' aprirle.
PIPPA. Scortiamola.
NANNA. Ella se ne infiammò così fattamente, che ne divenne cieca; e senza più curarsi di quel che avesse fatto o volesse fare al padre, più lo amava che egli non odiava chi la ingenerò: meschina, che sapeva pure che tutto quel che luce non è oro. Come si fosse, amor la fece si animosa, che una notte aprì lo sportello segreto del suo palagio; il quale sportello era fatto per i bisogni dei tempi, e potevasi andare e venire senza esser veduto: ella che aveva le chiave di cotale uscietto, sbucò fuora e sola sola si condusse dinanzi a lo ingordo del sangue suo.
PIPPA. Come trovò ella la via al buio?
NANNA. Dicano che il fuoco del suo core le fece lume.
PIPPA. Ti so dire che ella ardeva come si dee.
NANNA. Ella ardeva di sorte che, senza altro rispetto, non pur si diede a conoscere al perfido e disleale, ma giacque con lui, lasciandosi sciloppare dal suo dire: "Ecco, signora, io vi accetto per moglie, e voglio per mio socero e signore il padre vostro: con questo patto, che a me che, non per nimicizia, ma per brama di gloria, guerreggio con sua Maestade; apriate le porte de la città; e subito che arò vinto il tutto, gli farò dono d'ogni mia vittoria e del mio reame ancora".
PIPPA. Come ella svolse lui, ed egli lei, sarebbe stupendo a udirlo da lor medesimi.
NANNA. Pènsate che ella, avvertita, consigliata e mossa da lo amore, formò, ritenne e disse tutto quello che le concesse formare, ritenere e dire; e si dee stimar che paresse non fanciulla inesperta e vile, ma donna cauta e ardita: usando ogni parola che rintenerisce i cori gentili, mescolando tra i detti alcune di quelle lagrime e alcuni di quei sospiri asinghiozzati e di quelle accoratagini per il mezzo de le quali si ottiene ciò che si desidera. E si dee anco credere che l'amico, pietoso di fuora e di drento crudele, il quale tanto more quanto vive suo padre, inzuccarasse la chiacchiara: e con giuramenti e con promessioni la conducesse a spalancargli quelle porte che la scempia gli spalancò. Onde il traditore la prima cosa prese il vecchio e la vecchia del quale seme ella nacque, scannando l'una e l'altro in sua presenzia.
PIPPA. E non morì?
NANNA. Non si mor di doglia.
PIPPA. Avemaria.
NANNA. Morti loro, cacciò fuoco a le case, a le chiese, ai palagi e a le botteghe; e parte del popolo lasciò abbrusciare, e parte mandò a fil di spade: non facendo differenzia da piccini a grandi, né da maschi a femine.
PIPPA. Ed ella non si impiccava?
NANNA. Non ti dico io che amore l'aveva accecata e tolta di sé per ogni verso? e perciò come insensata ferneticava nei lamenti: e ogni volta che ella affiggeva gli occhi al suo più nimico che marito, non altrimenti che gli avesse obligo lo contemplava.
PIPPA. La sua era pazzia e non amore.
NANNA. Dio ne guardi i cani, Pippa, Dio ne scampi i Mori da così fatti casi; certissimamente amore è una bestial novella: e credilo a chi lo ha provato, credilo figliuola; amore, ah? Io per me vorrei prima morire che stare un mese nel tormento d'uno il quale non ha più speranza di riavere la donna che egli adora. Febbre a suo modo, il non si trovare un soldo, non è nulla; nimicizia, ciance: crudeltà si può chiamare quella d'un che amando non dorme, non bee, non mangia, non sta fermo, non siede e con la fantasia sempre fitta a lei, si stracca in pensare come i suoi pensieri non si straccano nel pensamento.
PIPPA. E pure ognuno si innamora.
NANNA. È vero; ma ne cavano quel viso che, del puttanare, le mandre, gli stuoli e la infinità de le furiose. E sì come de le cento le novantanove puttane son di prospettiva (diceva Romanello), e il puttanesimo tutto insieme simiglia una speziaria fallita in segreto, la quale ha le sue cassette a l'ordine, i suoi vaselli in fila, con le lettere che dicano "treggea", "anisi" "mandorle confette", "noci conce", "pepe sodo" "zafferano", "pinocchiati"; aprendo poi quelle e questi non ci è drento covelle: perché le catenuzze, i ventaglini, gli anelletti, le vesticciuole e i cuffioni de le più profumate, sono le scritte dei vaselli e de le cassette vote che io ti dico. Così, per uno innamorato che riesca a bene de lo innamoramento, ce ne son millanta che ci si disperano.
PIPPA. Tornate ormai a la leggenda, se non volete che si dica che la vostra accia sia liccio.
NANNA. Non si dirà miga: perché le donne son donne, e quando contrafanno la lor naturalità, ponno dire a chi le riprende: "Voi ve lo beccate". Orsù, la tradita fanciulla se ne va con colui che ha spianato il suo paese e ucciso il padre e la madre sua; e andandosene con seco, ecco venir il tempo che ella, gravida di lui, vuol partorire: intendendolo il dispietato comandò che fosse gittata ignuda sopra una siepe di spine, acciò che le lor punte stracciassero lei e il suo parto. Oimè che ella, assicurata ne la disperazione, si spogliò da se stessa, con dire: "O ingrato, è questa la mercé de la mia fede? pàrti che una reina meriti così fatta morte? u' si udì mai che il padre ammazzassi il figliuolo prima che peccasse e che nascesse?".
PIPPA. Misericordia.
NANNA. Dicendo ella tai parole, le spine, rintenerite per ciò, le fecero luogo: onde l'erbe verdi e fresche, cresciute sotto le spini, la riceverono in grembo; nel quale fece un bambino che aveva tutte le fattezze di chi lo acquistò. In questo eccoti un servo con viso di demonio che piglia la creatura pel braccio e dice: "Il re mio vuole che io l'uccida, acciò che finisca in un tratto il suo odio, la tua vita e il seme vile"; ciò ditto, il coltello che mi passò il core aperse le membra non rassodate ancora; e lo spiritello il qual vidde prima il Cielo che il sole, sciolse lo stame del vivere appunto nel far del nodo. E questa è la morte più dolce che la vita: il morire quando altri non sa ciò che si sia vita, è simile a la beatitudine dei santi.
PIPPA. Ve lo credo; ma chi sopporta così crude crudeltà?
NANNA. Doppo questo ella fu rivestita, e nel volere sfogarsi col piagnere, ecco in un bacin d'oro il laccio, il veleno e il pugnale. Quando la sciagurata ode dirsi "Eleggi uno di questi fini, i quali per tre vie ti traranno di impaccio l'anima e il corpo", non si sbigottendo e non si movendo, preso la corda, il tosco e il coltello, isforzossi di tòrsi la vita con tre morti in un tratto: e non potendo, si dolse del Cielo il quale non consenti che in un tempo potesse e impiccarsi e avelenarsi e ferirsi.
PIPPA. O Iddio mio.
NANNA. Ella si cinse il collo con la fune: e attaccatela, si gittò giuso, e quella si ruppe, e non poté morire; bevve l'arsenico, e non l'offese: perché, sendo bambina, suo padre le aveva dato i ripari contra il tosco; e pigliando il pugnale, alzò il braccio per trapassarsi il core: e in quello che volse ficcarci la punta, Amore entrato tra il ferro e il seno, gli mostrò il ritratto del suo idolo falso, il quale aveva di varia seta ricamato nel petto; onde le cadde il colpo di mano, avendo più riguardo a la sua imagine dipinta che egli non aveva a la sua vita.
PIPPA. Mai più non si udì cose sì stranie.
NANNA. Né ti credere che egli, che per esser lei del sangue del suo nimico la odiava più che la morte, per la pietà mostrata inverso la sua effigie diventassi compassionevole; anzi la fece avventare nel mare vicino: e le sue dee la riportarono a la riva sana e salva.
PIPPA. Voglio accendere a le dee che dite due candele.
NANNA. Come il serpente la vidde su la riva, chiamò uno uomo terribile e disse: "Isfodera cotesta spada e mozzale il collo"; egli è ubidito: la spada è in aria, la piomba giuso, e la nostra Donna l'aiuta.
PIPPA. Come?
NANNA. Col far che la colga di piatto.
PIPPA. Lodato sia Iddio.
NANNA. La non finisce qui: anzi il crudelaccio fece appicciare un gran fuoco e trarvela drento per forza: ma non abbrusciò, perché in quello che ella ci fu per cader sopra, il cielo che ne ebbe misericordia, oscuratosi in un tratto, versò tanta acqua che aria spento le fornaci de lo inferno, non che un capannello di scope e di frasconi.
PIPPA. Ciel da bene, ciel pietoso.
NANNA. Tosto che la fiamma, che si voleva col fume levare in alto, fu spenta, il popolo disse col grido: "Deh! signore, non volete quel che non vuole chi sta colassuso; deh! perdonate a la inocente, la quale pur troppo vi ama: e il suo troppo amarvi vi ha fatto vendicare e vincere".
PIPPA. E non si piegava a simili prieghi?
NANNA. Piegansi gli immetriati ai bisogni dei vertudiosi?
PIPPA. Pacienzia.
NANNA. Tolta del luogo spento dal piovere, a onta di coloro che pregavano per lei, fu messa dove si stava rinchiuso un lione: e fu pure il vero che egli appena la fiutò, e lo fece per aver rispetto a la nobiltà sua, e anco per non degnarsi con donna sì misera.
PIPPA. Dio gli faccia di bene.
NANNA. Hai tu mai visto uno cane arrabbiato, il qual morde fino a le sue zampe?
PIPPA. Sì ho.
NANNA. Se tu l'ha visto, vedi il diavolo incarnato manicarsi le mani per la disperazione del non poter saziarsi de la morte sua: egli la prese per le trecce e strascinolla in un fondo di torre, e la fece stare ivi otto dì senza voler che niuno le desse mangiar né bere: ma ella mangiò e bevve a suo marcio dispetto.
PIPPA. A che modo?
NANNA. Dimandane il duolo e il pianto suo, i quali ti diranno in che modo gli diventarono pane e vino. Ora, aperta la prigione e ritrovatasi viva, il mastino rinegato ne diede col capo per tutti i muri; e poi che se l'ebbe rotto in dispregio di se stesso, la legò di sua mano al busto d'uno albero, e la fece saettare con gli archi. Ma chi crederà che il vento, per la compassione che ne aveva, alontanava i colpi da lei, e dividendo il nuvolo de le frecce, la metà ne cadeva di qua e la metà di là?
PIPPA. Vento gentile.
NANNA. Ora ne viene la crudeltà: perché egli, gonfiato di quel tosco che gonfia colui il qual non pò sfogare il fuoco che drento al petto gli ha acceso la stizza, comandò che ella fosse gittata de la più alta torre; e così fu presa e portata lassuso; ma vedendosi legar le mani, gridò: "Adunque le nate dei re hanno a morire come serve?". La torre toccava quasi il cielo coi merli; e non era niuno dei manigoldi che l'avevano a trar giuso, che gli bastassi l'animo di mirar la gente, la quale con le ciglia tese aspettava il volo che suo malgrado doveva far colei che, in migliore stato, tutta si racapricciava guardando ogni poco di profondità. Il sole che a quella otta luceva in tutta bellezza, per non vederla rovinare si nascose fra le nugole; ed ella, datasi a piagnere, fece con gli occhi un Tevere e uno Arno. Ma non piagneva per la paura de lo avere a fiaccarsi e a rompersi cadendo: ella si vergognava di riscontrare lo spirito di suo padre ne l'altro mondo; e già le pareva che, in presenzia de l'anima de la madre, le dicessi: "O Cielo! o abisso! ecco colei che mi spogliò quella carne con la quale io la vestii".
PIPPA. Io son commossa.
NANNA. Non ti sbigottire anco. Ella sentendosi sospignere da mano crudele, alzò la boce dicendo: "O voi che rimanete doppo me, scusatimi con chi è e con chi sarà, che io errai più d'ogni altra per amare più d'ognuna"...

Così detto, i gridi intronarono il capo a l'aria, ed ella: "Oimè Pippa! oimè figliuola! Un coltello, olà, presto, tagliatele gli aghetti, acqua da spruzzarle nel viso, aiutatemi a porla in sul letto". A cotal rimore due fanti che aveva la Nanna, riebbero la Pippa: la quale venne meno ne lo scagliarla giù de la torre con le parole, come una che non pò sofferire il sangue uscito de le reni ai Genovesi, la notte del venardì santo, quando che drieto al crocifisso si conciano male con la disciplina. Ma ritornata in sé, la Nanna, per non darle più alterazione, non le finì la novella contata in punta di pantufole: che ben sapeva dire, quando le toccava il grillo; e mentre faceva portare da confortarsi, ecco la Comare e la Balia che tempestano la porta a scigurtà; e aperta che fu, vennero suso; e fatte le abbracciate con lei e con la figliuola, disse la Comare: "Noi vogliamo, Nanna, domani che è mezza festa, e più tosto si guarda che no, venire a goderci il tuo orto; e ho caro che tu intenda se io metto in su la buona via la Balia, che vuol darsi al ruffianesimo". "Appunto costì ti voleva io" rispose la Nanna, "e spiacemi fino a l'anima che non aviate sentito ciò che ieri e oggi ho racconto a Pippa mia del suo saperci esser puttana, e circa i tradimenti che a le puttane e a l'altre fanno gli uomini; e sì come io non ho pare (e nol dico per vantarmi) ne l'arte cortigianesca, così tu non hai chi ti stia a petto ne la ruffianesca: sì che venite a ogni modo, perché la mia tata, la mia putta, la mia pincina oda; e odendo impari, non a ruffianare, ma a sapersi reggere con le ruffiane". Non si disse né rispose altro fra loro; ma vennero secondo l'ordine, e assettatesi a sedere sotto il pesco, a la Comare toccò lo stare in mezzo de la Balia e de la Nanna, e la galante Pippa al riscontro de la Comare. In questo una pesca grossa, la quale sola era rimasa nel pesco, cadde in sul capo de la Comare; onde la Balia disse ridendo a più potere: "Tu non puoi negare che il farti dar le pesche non ti sia piaciuto"; "Cotesto no" rispose ella, "anzi in quelle poche o assai volte che mi son sute date, mi è parso andare a la giustizia; ma se i denari fanno e ponno il tutto, che miracolo se ci fanno voltare in là?". Doppo le risa che ivi si fecero per la caduta de la pesca, la Pippa a bocca aperta si recò ad ascoltare in un modo che pareva che si volessi ber con le orecchie le parole de la Comare; le quali cominciarono...

Fine de la seconda giornata.

Segnala questa opera ad un amico

Inserisci una nuova Notizia
Notizie Presenti
Non sono presenti notizie riguardanti questa opera.