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Info sull'Opera
Autore:
Pietro Aretino
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

DIALOGO tra Nanna e Pippa (II Giornata, 1 )

di Pietro Aretino

IN QUESTA SECONDA GIORNATA
DEL DIALOGO DI MESSER PIETRO ARETINO
LA NANNA RACCONTA A PIPPA SUA
LE POLTRONERIE DEGLI UOMINI INVERSO DE LE DONNE.

PIPPA. Lasciate che io vi conti il mio sogno, e poi vi ascoltarò.
NANNA. Contalo.
PIPPA. Spianaretemelo?
NANNA. Spianarottelo.
PIPPA. Stamane in su l'alba mi pareva essere in una camera alta larga e bella, la quale era parata di raso verde e giallo, e sopra i paramenti stavano appiccati spade indorate, cappelli di velluto ricamato, berrette con medaglie, brocchieri, dipinture e altre gentilezze. In un canto de la camera sedeva un letto di broccato riccio; e io badial badiale mi riposava in una sedia di cremisi tutta patacchiata di borchie d'oro a usanza di quella del papa: intorno a me si raggiravano buoi, asini, pecore, bufalacci, volpi, pavoni, barbagianni e merloni, i quali né per pugnerli io, né per bastonargli, né per tosarle, né per iscorticargli, né per iscardassargli il pelo, né per trargli le penne e maestre e de la coda, né per berteggiargli, non si movevano, anzi mi leccavano da capo a piei: sì che io vorrei che mi schiarisse la verità di cotal bugia.
NANNA. Questo sogno intendo io come Daniello, e te ne puoi ben tener buona: perché i buoi e gli asini da te punti e bastonati sono i miseroni che ci staranno se crepassero, le pecore e i bufoli significano i disgraziati che da le tue novelle lasciarannosi tosare e scorticare; le volpi fingo per i trincati che rifrustarai nel lor dar ne le reti; per i pavoni scodati piglio i ricchi giovani e belli; i barbagianni e i merloni son brigataccia le quali si perderanno solamente a vederti e a udirti favellare.
PIPPA. Dove lasciate voi l'altre cose?
NANNA. Adagio: la camera parata dinota la tua grandezza, le galantarie appiccate sono i furtarelli che invisibilium e visibilium trafugarai di mano a questo e a quello: la seggiola pontifica dimostra gli onori che tu arai da tutto il mondo. Sì che la andrà al palio.
PIPPA. Spettate, spettate: i pavoni che io ho sognati, guardandosi i piedi, non ischiamazzavano come sogliano fare. Che vuol dire?
NANNA. Ecco le mie profezie che ritornan vere: ecco che sarai savia, e perciò i rimasti ne le secchie di Barberia per tuo amore non si lamentaranno. Ora ascolta me e, ascoltandomi, suggella i miei discorrimenti: e Iddio voglia che le ammonizioni di tua madre ti bastino a guardarti da le astuzie uominesche. Oimè! io dico oimè in servigio di quelle poverelline che ci son chiappate bontà de le ruffiane, dei tabacchini, de le lettere, de le promesse, de l'amore, de la importunità, del commodo, dei denari, de le lusinghe, de le belle presenzie e de la mala ventura che le piglia per il ciuffo; né ti credere che riguardino puttane e non puttane: a tutte l'accoccano, a tutte l'attaccano. Ma perché io faccio conto che il mio ragionare sia un convito di più ragion vivande, non essendo mai suta scalca non so che darmiti nel principio; e benché gli antipasti sien fatti per aguzzar l'appettito, a me giova mangiando di cominciar dal migliore: e perciò venga via una traditoraggine de le più sforgiate che io abbia; che anco il bel visetto d'una donna è il primo a comparire dinanzi agli occhi altrui; e chi saria quello che si curasse di lei, avendo visto prima il suo esser cattiva spesa sotto panni, che il volto? anzi il veder prima il bel viso, fa spacciare il resto per buona robba.
PIPPA. Son pur nuove di zecca le similitudine vostre; or dite.
NANNA. Un barone romanesco, non romano, uscito per un buco del sacco di Roma come escano i topi, essendo in non so che nave, fu gittato con molti suoi compagni da la bestialità dei venti pazzi al lito di una gran cittade de la quale era padrona una signora che non si può dire il nome: e andando ella a spasso, vidde il povero uomo sceso in terra molle, rotto, smorto, rabuffato, e più simile a la paura che non è a la furfantaria le corte d'oggidì; e peggio era che i villani, credendolo qualche grande spagnuolo, gli stavano intorno per far di lui e dei compagni quel che in un bosco fanno i malandrini di chi senza armi ha smarrito la strada. Ma la signora, cacciategli a le forche con uno alzar di testa, se gli fece incontra: e con aspetto grazioso e con atto benigno, lo confortò; e adagiatolo nel suo palagio fece ristorar la nave e i navicanti più che signorilmente, e visitato il barone, il quale s'era tutto riavuto, stette a udire il proemio, la diceria, il sermone e la predica che le fece, dicendo che egli si scorderia de la sua gentilezza quando i fiumi correranno a lo insù (uomini traditori, uomini bugiardi, uomini falsi), e mentre frappava romanescamente, la meschina, la poveretta, la sempliciotta se lo beeva con gli sguardi: e rimirandogli il petto e le spalle, stupiva, fornendosi di traboccar di maraviglia nel contemplare l'alterezza de la sua faccia; i suoi occhi pieni di onore la facevano sospirare, e i capegli di niello anellato, perdersi a fatto a fatto. Né si potendo tòrre dal vagheggiar la sua gentil persona, né da la grazia datagli da quella porca de la natura, stava tutta astratta ne la divinità de la sua cera: che maladetta sia la cera e il mèle.
PIPPA. A che proposito maladirla?
NANNA. Elle tradiscano bene spesso, elle ingannano il più de le volte: e me ne è testimonio la presenzia del barone, la quale fece diventar corriva la signora che io dico. Ella, in meno che non si muta di fantasia una donna, fece apparecchiar le tavole, e sendo in punto la realissima cena, si pose a sedere, con il messere allato e gli altri suoi e de la terra di mano in mano, secondo l'ordine di Melchisedeche. Intanto la magnificenzia dei piatti d'ariento carichi di vivande son portati inanzi agli affamati da la moltitudine dei servidori: e finito di saziar l'appetito, il barone presentò la signora.
PIPPA. Che le diede egli?
NANNA. Una mitrea di broccatello che sua Santità portava in capo il dì de la Cenere; un paio di scarpe con lavori di nastro d'oro, le quali teneva in piedi quando Gian Matteo gliene basciuccava; il pastorale di papa Stoppa, volsi dir Lino; la palla de la guglia, una chiave strappata di mano al sanpietro guardiano de le sue scale, una tovaglia del tinello secreto di Palazzo e non so quante reliquie di santa santorum, le quali la sua proposopea, secondo lo sbaiaffar suo, aveva scampate di mano dei nimici. In questo comparse un valente ribichista: e accordato lo stormento, cantò di stranie chiacchiere.
PIPPA. Che cantò, se Iddio vi guardi?
NANNA. De la nimicizia che ha il caldo col freddo e il freddo col caldo; cantò perché la state ha i dì lunghi e il verno corti; cantò il parentado che ha la saetta col tuono e il tuono col baleno il baleno col nuvolo e il nuvolo col sereno; e cantò dove sta la pioggia quando è il buon tempo e il buon tempo quando è la pioggia; cantò de la gragnuola, de la brina, de la neve, de la nebbia; cantò, secondo me, de la camera locanda che tiene il riso quando si piagne, e di quella ch<e> tiene il pianto quando si ride; e in ultimo cantò che fuoco è quello che arde il culo de la lucciola, e se la cicala stride col corpo o con la bocca.
PIPPA. Bei secreti.
NANNA. Già la Signoria de la signora, che udì il cantare come odano il chirieleisonne i morti, si era imbriacata de la ciarlia e de la galantaria del suo oste; e parendole tanto vivere quanto egli ciurmava, cominciò a entrare nei papi e nei cardinali; doppo questo venne a supplicarlo che gli piacesse contare in che modo l'astuzia pretesca si lasciò incappare ne le unghie di male branche. Allora il barone, volendo ubidire ai comandamenti de la sua supplica, traendo uno di quei sospiri che malandrinamente escano del fegato d'una puttana che vede una borsa piena, disse: "Da che la tua Altezza, signora, vuole che io rammenti quello che mi fa portare odio a la mia memoria che se ne ricorda, io ti narrarò come la imperadrice del mondo diventò serva di gli Spagnuoli, e dirotti anco quel che io viddi di miseria: ma qual marrano, qual todesco, qual giudeo sarà sì crudele che racconti cotal cosa ad altrui senza scoppiar di pianto?"; poi soggiunse: "Signora, egli è ora di dormire, e già le stelle spariscano via; pure, se la tua volontà è di sapere i nostri casi, se bene mi rinovano i dolori a dirgli, cominciarò". Così dicendo entrò ne la gente che, per avanzar dieci ducati, fu cassa, poi venne a la novella che udì Roma dei lanzi e dei giuradii i quali ne venivano a bandiere spiegate per farla coda mundi. Onde diceva l'uno a l'altro: "Toglie garabattulo tuo e ambula": e certo ognuno la dava per le magesi se quel bando traditore de lo "a pena de le forche" non andava. Egli contò come doppo il bando la gente avilita si diede ad appiattar i denari, gli arienti, le gioie, le collane, i vestimenti e tutte le cose di valuta; contò come i capannelli e i cerchi degli uomini sparsi e raccolti in qua e in là dicevano di chi era cagione de la lor paura quello che gli pareva. Intanto i rioni e i caporioni, e la peste che gli giunga, andavano zanzeando co le fila dei fanti: e certo se la valenteria fosse stata nei bei giubboni ne le belle calze e ne le spade indorate, gli Spagnardi e i Toiescardi erano i malvenuti. Contò il barone come un romito gridava per le strade: "Fate penitenzia, preti; fatela, ladri; e chiedete misericordia a Iddio: perché l'ora del vostro gastigo è presso, ella è giunta, ella suona"; ma la lor superbia non aveva orecchie: e perciò gli scribi e i farisei apparsero a la croce di Montemari (diceva egli), e dando il sole ne l'armi loro, il lume bestiale che ne usciva faceva tremare i merloni, corsi su per le mura, con altro spavento che non fa il balenar dei tuoni, talché questo e quello non pensava più al modo di rompere chi gli veniva contro, ma adocchiava le tane per nascondersi. In questo il romore si lieva al monte di Santo Spirito, e i nostri belli-in-piazza nel primo assalto fecero come un che s'imbatte a fare una cosa che mai più la fa sì buona: dico che ammazzàr Borbone; e guadagnati non so quante banderiuole, le portarono a Palazzo con un "viva, viva" che assordava il cielo e la terra; e mentre gliene pareva aver vinta, ecco rotte le sbarre del monte: e fatto pasticcio di molti che non avevano né colpa né peccato ne le battaglie, scorsero in Borgo. Onde alcuni dei nimici passarono il ponte e, andato fino in Banchi, ritornarono indrieto; e dicesi che la buona memoria di Castello, nel quale era scampato l'amico, non gli sbombardò per due conti: uno per miseria di non gittar via le pallottole e la polvere; l'altra per non fargli adirare più che si fossero; attendendo a mandar giù corde, tirando in sacrato i gran baccalari i quali avevano la stipa al culo. Ma ecco venir la notte; ecco le botti guardiane di ponte Sisto che si sbarrattano, ecco lo essercito che di Trastevere si sparpaglia per Roma: già i gridi si odano, le porte vanno per terra, ognun fugge, ognun si asconde, ognun piagne. Intanto il sangue bagna lo spazzo, la gente si ammazza, i tormentati raitano, i prigioni pregano, le donne si scapegliano, i vecchi tremano: e volta la città coi piedi in suso, beato è quello che muor tosto o, indugiando, trova chi lo spaccia. Ma chi potria dire il mal di così fatta notte? I frati, i monaci, i cappellani e l'altre ciurmaglie, armati e disarmati, si appiattavano ne le sepolture più morti che vivi: né ci rimase grotta, né buca, né pozzo, né campanile, né cantina, né lato alcuno secreto che non fosse subito pieno di ogni sorte di persone. Erano tambussati gli spettabili viri e, con i panni stracciati indosso, dileggiati e sputacciati. Né chiese, né spedali, né case, né altro si riguardava; e fino nei luoghi dove non entrano uomini, entrarono coloro: e per dispregio cacciarono le lor femine dove si scomunica ogni femina che vi va. Ma la compassione era a vedere il fuoco ne le logge d'oro e nei palagi dipinti; il cordoglio era a udire i mariti che, fatti rossi dal sangue che gli usciva da le ferite, chiamavano le mogli perdute con una voce da far piangere quel sasso di marmo del Coliseo il quale si atiene senza calcina. Il barone contava a la signora ciò che io ti conto; e volendo entrare nel lamento che faceva il papa in Castello, maladicendo non so chi che gli aveva rotto la fede lasciò scapparsi tante lagrime dagli occhi che l'ebbero ad affogare: e non potendo più isputar parole rimase come muto.
PIPPA. Come può essere che egli piangesse il mal del papa, essendo nimico dei preti?
NANNA. Perché noi siamo pur cristiani, ed eglino son pur sacerdoti: e l'anima dee pur pensare al fatto suo. E perciò il barone venne quasi in angoscia: talché la signora si levò suso, e pigliatelo per mano, con istringergliene due voltarelle, lo accompagnò fino a la camera; e lasciatolo con la buona notte, se ne andò a riposare.
PIPPA. Voi avete fatto bene a stroncarla, perché io non poteva più udirvi senza doglia.
NANNA. Io te ne ho racconto uno straccio a calzoppo, e dettane una parolina in qua e l'altra in là: che, a dirti il vero, io ho dato la memoria a rimpedulare; e poi non se ne verria mai a capo tante crudeltà furono nel sacco. E se io ti volesse dire le rubarie, gli assassinamenti e gli sforzamenti di quelli ne le case dei quali si credette salvar chi vi fuggì, portarei pericolo di nimicarmi con alcune persone che si credano che non si sappia come assassinarono gli amici.
PIPPA. Lasciate andar le verità e datevi a le bugie: e metteracci più conto.
NANNA. Io lo farò un dì a ogni modo.
PIPPA. Fatelo, e nol dite.
NANNA. Tu 'l vedrai. Ora a noi: la signora, presa a la pania di che amore imbrattò la presenzia e la maniera del barone, era tutta di fuoco; e il suo core le brillava in seno non altrimenti che fosse di ariento vivo; e pensando al grandissimo onore de la generazion sua e a le prove che ella stimava che egli avesse fatto in cotal notte, giostrava per il letto come persona che ha uno aghiadato e cocente martello; e standole fitto nel pensiero la faccia e le parole del cicalone, faceva poco guasto del sonno. Già il dì seguente con i colori di messer Sole aveva dato il belletto a le gote di monna Aurora: onde ella se ne andò a la sorella, e doppo il contarle uno sogno a strapiè, le disse: "Che ti pare del peregrino giunto a noi? Vedestù mai il più bello aspetto del suo? Che miracoli devé fare con l'arme in mano mentre si combatteva Roma! Non pò essere che non sia nato di gran seme: certamente se io, da poi che la morte mi furò il primo consorte, non avessi fatto boto di vedovanza, forse forse che io mi sarei volta a questa colpa e a costui solo, e certo sorella, io non mi ti nascondo, anzi ti giuro per la nuova affezione che io porto a la nobiltà del forestiero, che poi che egli morì, il mio core è stato scarsissimo d'amare, e ciò mi avviene per conoscere i segni de la fiamma antica, la quale mi consumò tutta in un tratto e non poco a poco. Ma prima che io faccia disonestade alcuna, aprisi la terra e inghiottiscami viva viva o saetta dal cielo mi subissi nel profondo; io non son per istracciar le leggi de l'onore: colui che ebbe l'amor mio se lo portò seco ne l'altro mondo, e là ne goderà in seculorum secula" e qui fornendo il favellare, si diede a piangere che parea battuta.
PIPPA. Poveretta.
NANNA. La sorella che non era ipocrita e pigliava le cose pel dritto, facendosi beffe del suo boto e del suo pianto, le rispose con dire: "È possibile che tu non voglia imparare quanto sieno dolci i figliuoletti e quanto sieno melati i doni di madonna Venere? Che pazzia è la tua, se ti credi che l'anima dei morti non abbino altri pensieri che de le mogli che si rimaritino o no: ma voglio che tu abbia questa vittoria di non ti esser piegata a tòrre uno di cotanti prencipi i quali ti hanno voluta. Vuoi tu contrastare con quella fraschetta di Cupido? matta nol fare perché ne andarai col capo rotto; oltra di questo, tu hai tutti i vicini per nimici: sì che sappi conoscere la ventura che ti ha messo il crine in mano; e caso che il nostro sangue si mescoli con il romano, qual cittade aggiugnerà a la nostra? Ora faciam fare orazione a tutti i monasteri acciò che il Cielo ci conduca a bene; in questo mezzo noi averemo agio di ritardarlo qui: e forse lo averà di grazia per essere sfracassato e deserto, e anco per l'asprezza del freddo che esce del cor del verno". Tu vai cercando, Pippa: ella le seppe sì ben cantare il vespro, che ella diede la stretta ai boti e a la onestà; e gittatasi l'onor drieto le spalle, se sta, se va, vede e ode il barone. Vien la notte e quando fino ai grilli dormano, ella vegghia: e scagliandosi da questo a quel lato, favellando di lui seco stessa, arde con uno affanno solamente inteso da chi si corca e leva secondo che il martel che lavora vuol che altri si corchi e levi. E per chiarirtela, ella che aveva l'animo in compromesso, fece con l'amico le maladette fini: ella le fece, figlia.
PIPPA. Saviamente.
NANNA. Anzi pazzamente.
PIPPA. Perché?
NANNA. Perché dice il canto figurato che

Chi s'alleva il serpe in seno
le intervien come al villano:
come l'ebbe caldo e sano
lo pagò poi di veleno.

Ti dirò ben poi del traditore. Tosto che la signora ebbe messe le corna a la buona memoria de lo andato a porta inferi un tempo prima, la fama cicala, la fama scioperata la fama malalingua l'andò bandendo per tutto: talché i signori che la avevano chiesta in matrimonio, ne diedero l'anima a Satanasso con le maggior braverie del mondo, e dissero del Cielo e de la fortuna mille mali. Intanto il gaino, il qual si vede sfamato rivestito e rifatto a suo modo, chiama i compagni e gli dice "Fratelli, Roma mi è apparsa in visione, e mi comanda da parte d'ogni santi che io mi parta di qui; perché io sono deputato a rifarne una altra molto più bella: perciò mettetevi a ordine queti queti; e mentre farete ciò che io vi dico, trovarò qualche destra via da licenziarmi da la signora". Ma chi po' gittar la cenere negli occhi degli innamorati, i quali veggano quello che non si vede e odano quello che non si sente? Prima ella vidde le cose sottosopra, onde si accorse che la buona limosina voleva fare con la sua nave il leva eius: e posta in furor per ciò senza lume e senza animo correva per la terra come insensata e giunta inanzi al barone col viso smorto con gli occhi molli e con le labbra asciutte, snodò la lingua ingroppata nei lacci de la passione lasciandosi cader di bocca cotali voci : "Credesti disleale, trafugarti di qui senza mia saputa, ah? E ti basta la vista che l'amor nostro, la fede promessa e la morte a la qual son disposta non possa ritenerti del partir deliberato? Ma tu sei pur crudele ancor inver te stesso, da che vuoi navicare or che il verno è ne la maggior furia de l'anno, dispietato che non solamente <non> doveresti cercare i paesi strani, ma non ritornare a Roma per tali tempi, se bene ella fosse più in fiore che mai: tu fuggi me, crudo; me fuggi, empio. Deh! per queste lagrime che mi si movano dagli occhi, e per questa destra che dee por fine al mio martire, e per le nozze cominciate da te e se per le dolcezze in me gustate merito nulla abbi pietà del mio stato e de la mia casa che, tu partendo, cade, e se i preghi che piegano fino a Iddio hanno luogo nel tuo petto, spogliati questa volontà di partire: già per essermiti data in preda son venuta in odio non solo ai duchi, ai marchesi e ai signori dei quali refutai il matrimonio, ma mi hanno a noia i propi miei cittadini e vasalli; e mi par tuttavia esser prigiona di questo o di quello. Ma ogni cosa si potria sopportare se io avessi un figliuol di te; il qual giocando mostrassi ad altrui le tue fattezze e la tua faccia propia". Così ella gli disse singhiozzando e piangendo. Il simulatore, il maestro de le astuzie, ostinato ne l'albagia del sogno fatto, non batte punto gli occhi, né si volge al pregare né al piangere suo: simigliando un avarone miserone al tempo de la carestia, il qual vede morire i poveri per le strade e non vuol dare un boccone a la fame che gli manuca. A la fine, con poche parole disse che non negava gli oblighi che aveva seco, e che sempre era per tenergli ne la mente, e che non pensò mai di partirsi senza dirgnele; negando con volto invetriato di averle promesso di torla per moglie, dando la colpa del suo andarsene a celi celorum: e le giurò che l'angelo gli era apparito e comandatogli gran faccende. Ma predicava ai porri, perché ella già lo guardava con occhio contrario; e la rabbia, che fuor del cor di fuoco gli moveva il giusto sdegno e il duolo le usciva per gli occhi e per la bocca. Per la qual cosa se gli voltò e dissegli: "Tu non fosti giamai romano, e menti per la gola di essere di cotal sangue: Testaccio, uomo senza fede, ti ha creato di quei cocci di che si ha fatto il monte, e le cagne di quel luogo te han dato il latte: perciò non hai fatto niuno atto compassionevole mentre ho pregato e pianto. Ma dinanzi a chi contarò io i miei casi, poiché lassuso non par che ci sia niuno che risguardi i torti con dritta ragione? Certamente oggi non è più fede alcuna, e che sia il vero, io ricolgo costui sconquassato dal mare, io gli faccio parte d'ogni mia cosa, io me gli do e dono: e non basta a far sì che egli non mi abandoni tradita e vituperata, e per più strazio mi vuol far credere che il messo gli sia venuto dal Cielo riferendogli i secreti di Domenedio, il quale non ha a far altro che pigliare i tuoi impacci. Ma io non ti tengo: và pur via e seguita le pedate dei sogni e de le visioni che certo certo tu rifarai il popolo d'Israelle, ma ho speranza se vai, che ne patirai le pene tra gli scogli, onde chiamarai il mio nome, augurando la gentilezza e la bontà mia più di sette volte, e io ti seguirò come nimica, e con fuoco e con ferro farò le mie vendette, e quando sarò morta ti perseguitarò con l'ombra, con l'anima e con lo spirito...", non poté dire, perché la passione le serrò la via de le parole, talché lasciò il parlare nel mezzo e come inferma, perduta la vista, non potendo tenersi in piei, si fece letto de le braccia de le sue donzelle: le quali la portarono a giacere, lasciando il barone non senza la faccia vituperata dal rossore de la vergogna del tradimento che faceva a la meschina..., tu piangi, Pippa?
PIPPA. Che sia ucciso il poltrone!
NANNA. E squartato possa essere, poiché egli doppo il lamento de la signora si dispose a la partita. E menando le sue genti la nave a riva, parevano formiche le quali si forniscano di semi pel verno: alcun di loro portava acqua dolce, altri rami con le frondi, altri i guai che lo piglino.
PIPPA. Che faceva la sventurata in quel mentre?
NANNA. Gemeva, sospirava, si pelava tutta quanta; e ne l'udire i gridi dei marinai sfamati e il rimescolamento de la ciurma e de l'altra brigata, spasimava, scoppiava e moriva: ahi amor crudele, perché ci crocifiggi tu sì aspramente e per tante vie? Ma ecco la signora che, avendo anco un poco di speranza, parla con la sorella dicendole: "Sorella, non vedi tu che <e>gli se ne va via, e già la nave si acconcia per moversi? Ma perché, o cieli ingrati, s'io potei sperare cotanto affanno, nol posso io patire? Pur, sorella, tu sola mi aiutarai, poiché quel traditore ti fece sempre segretaria dei suoi pensieri e sempre fidossi di te: onde và e parlagli, e parlandogli cerca di umiliarlo, con dirgli per mia parte che io non fui compagna di coloro che col nome di accordo posero in rovina la sua patria; e che io non trassi de la sepoltura l'ossa di suo padre: e se così è, piacciagli di ascoltarme quattro parole prima che io moia; diragli che faccia a me che l'adoro sventuratamente questa sola grazia, che non se ne vada ora, ma quando il camino sarà più navicareccio. Io non gli voglio esser moglie, poiché mi disprezza, né meno che resti qui, ma un poco d'indugio che sia spazio al duolo: e ciò desidero per imparare a sopportarlo". E qui si tacque lagrimando.
PIPPA. Il cor me si spara.
NANNA. La misera sorella sua, Pippa mia, riporta le parole, il pianto e la disperazione in su e in giù; ma il crudo non si rinteneriva punto, anzi pareva un muro percosso da le palle a vento: a la fine la signora, risoluta de la sua partita, provò di fargli uno incanto, ancora che ella se ne avesse sempre fatto coscienza.
PIPPA. Giovolle?
NANNA. Appunto! Ella chiamò streghe, fantasime, demoni, versiere, fate, spiriti, sibille, lune, sole, stelle, arpie, cieli, terre, mari, inferni e altri diavolamenti; sparse acque nere, polvere di defunti, erbe secche a l'ombra; disse parole intrigate, fece segni, caratteri, visi strani, bisbigliò con seco medesima: e non fu mai santo che mostrasse di aver cura degli amanti falsi. Era mezzanotte quando incantava a credenza: e i gufi, gli alocchi e le nottole dormivano sonnacchiando; solo ella non poteva carpire il sonno con gli occhi, anzi amore tuttavia la tormenta più. E doppo lo esser stata un pezzo muta, comincia a favellare dicendo a se stessa: "Or che faccio io trista? Richiederò io per marito qualunche si sia di quelli che io ho disprezzati? Seguirò io le voglie romane? Sì, perché mi sarà utile per averle sovvenute, e per esser cotal gente riconoscitrice dei benefici. Ma chi mi accettarà, se ben volessi andare ne la nave superba? E poi non conosco io gli spergiuri di quei Romani, i quali si farien beffe di me, andando a loro? Oltra questo, debbo io comportare che essi faccino vela e al presente entrino in mare? Deh! mori mori, misera, e col ferro scaccia il tuo dolore. Ma tu, sorella, mi spingesti contra al mio male: tu mi proferisti al mio nimico tu mi facesti tradire la cenera del mio marito e il boto de la mia castitade, disleale e rea femina che io sono".
PIPPA. Che bel lamento.
NANNA. Se ti commovi udendolo raccontar da me, che non ne dico straccio che bene stia e lo scompiglio ne lo raccontarlo pietosamente, che aresti tu fatto udendolo da la sua bocca?
PIPPA. Io mi sarei dileguata dirieto al dolore suo
NANNA. Così sarebbe stato. Ora il barone diede i remi a l'acque: e scarpinando via, si voltava spesso indrieto, parendogli aver tuttavia il suo popolo a le spalle. E spuntando fuora l'alba, la sconsolata, a la quale parse che quella notte fosse rinterzata come le messe di Natale, si fece a la finestra, e vedendo la nave lontana dal suo porto, battendosi il petto, graffiandosi il volto e squarsciandosi i capegli, piglia a dire: "O Iddio, andrassene costui a mio dispetto, e un forestiero spregerà la mia signoria, e le mie forze non hanno a poter nulla seco e nol seguiranno per tutto il mondo? Su, portate arme e fuoco! Ma che dico io? e dove sono? e chi mi toglie la mente dal suo luogo? Ahi, infelice, la tua fortuna crudele è poco lungi: io doveva far ciò quando io poteva, e non ora che non posso. Ecco la fede di costui che ha salvate le reliquie romane, ecco il pietoso de la patria: eccolo là, che mi viene incontra con le spalle, e con quelle mi paga la benivolenza mia e la mia cortesia. Ma perché, tosto che io seppi la sua fellonia, non lo avelenai? o vero, facendolo minuzzare, non mi mangiar la sua carne tremolante e calda? forse che il farlo era dubbioso o con pericolo: e quando pur ci fosse suto, poteva io venire a peggio di quel che son venuta? e avendo a morire, era pur meglio affogargli prima o ardergli insieme con la lor nave". Ciò detto maladisse il seme, il sito, i passati i presenti e gli avvenire di Roma: e pregò il Cielo e lo abisso che facesse nascere, de l'ossa dei suoi, uomini di vendetta e di nimicizia, e poi che ebbe detto quello che le uscì di bocca mandata una sua balia a far non so che servigio, dispose di ammazzarsi.
PIPPA. Come ammazzarsi?
NANNA. Ammazzarsi.
PIPPA. In che modo?
NANNA. Ella, tutta smarrita nel viso, con le gote macchiate del livido de la morte, con gli occhi spruzzati di sangue, se ne entra in camara; e messa in furore da le lusinghe de la disperazione, sfoderò non so che spada donatale dal caino, e volendosi senza dire altro trapassar con essa il petto, le venne inanzi agli occhi tutti rannuvolati alcune veste romane e il letto nel qual giacque col giuda: onde si ritenne alquanto. E ritenendosi per l'ultime parole, fece quasi queste propie, le quali, da che un pedagogo me le insegnò, ho sempre tenute nel cervello come il pane nostrum quotidiano: "Spoglie che fosti dolci quando Iddio e la sorte volsero che voi fosse, pigliate, io ve ne prego, questa anima disciolta dal suo fuoco. Io che ho visso il tempo il qual debbo, me ne vado sotterra con la imagine; io ho fatta cittade di assai gran nome; ho visto i miei edifici, e hommi vendicata contra il fratel del marito che ebbi: onde sarei stata oltra le felici felice, se la nave romana non fosse capitata a le mie rive". Ciò detto scompiglia il letto col capo, e tutta rabbiosa lo calca in giuso; e battendo i denti dice stridendo: "Noi non perdaremo perciò la vita senza vendetta; perché tu, ferro, passandomi il petto, ucciderai quel romano crudo che mi sta vivo nel core: sì che moriamo così, poiché così convien morire". Appena fornita la dirieta parola, che le altre sue compagne viddero fitta in lei la spada micidialissima.
PIPPA. Che disse il barone quando lo seppe?
NANNA. Che era stata una mattacciuola. Ora ella andò a dare una voltarella ne l'altro mo<n>do ne la forgia che hai udito: e ciò le avvenne per i gran piaceri fatti ad altrui. Uomini, ah? uomini, eh? Per Dio che sono un zuccaro gli assassinamenti che facciamo a loro, considerando quelli che fanno a noi. E perché mi si creda, veniamo a la berta che a una tirata puttana fece so ben chi scolare e so ben chi cortigiano.
PIPPA. Voi non mi avete insegnato come io ho a vivere con gli scolari e con i cortigiani.
NANNA. Queste due ribaldarie te lo insegnaranno per me: e fà che da un solo scolare e da un solo cortigiano tu impari tutte le cose.
PIPPA. Benissimo, ma fermatevi ancora, fermatevi.
NANNA. A che effetto?
PIPPA. Io feci istanotte due sogni, e hovvene conto uno.
NANNA. Io non viddi mai fanciulla, che avesse più de la bambina di te: e perciò esci del manico per dir la tua.
PIPPA. Udite quel che io sognai doppo la camera parata.
NANNA. Dillo, che sarà mai?
PIPPA. Mi pareva che tutta Roma gridasse a la strangolata: "Pippa, o Pippa, tua madre ladroncella ha furato il Quarto di Vergilio, e vassene facendo bella".
NANNA. Ah! ah! ah! Un gocciol gocciolo più ti faceva trasandare più oltre. Che domin so io chi cotestui si sia? Ma senza intendere altro, egli debbe essere un badalone, lasciandosi tòrre il quarto di se stesso: e pò securamente gittar il resto ai cani, se così è.
PIPPA. A lo scolare e al cortigiano.
NANNA. Uno scolare afinato ne le capestrarie più che nei libri, astuto, sagace, vivo, soiatore e cattivo superlativo grado, se ne va a Vinegia, e statoci sopiattoni tanti dì che gli bastarono a informarsi de le più ladre e più ricche puttane che vi sieno, chiama in secreto un coglione che lo alloggiava in casa, al quale aveva dato ad intendere come egli era nipote di un cardinale, e venuto ivi in mascara per darsi piacere un mese e per comprar gioie e drappi a suo modo; e chiamatolo gli dice: "Fratello, io desidero di dormir con la tal signora: và a lei e dille chi io sono; ma con giuramento che ella non mi scopra: e ciò facendo vedrà la bellezza del mio animo". Il nunzio trotta via; e giunto a la sua porta, con un ticche tocche tacche fa comparir la massara al balcone (dicano elleno): e conosciuto il sensale de la mercatantia de la padrona, tira la corda senza farne altrimenti imbasciata; ed egli, raguagliata l'amica del tutto, conduce in isteccato il nipote posticcio di monsignore reverendissimo: il quale va salendo le scale con maestà pretina. E la signora, fattasigli incontra, prima squadra come egli signoreggia bene in campo accotonato, e in giubbone di raso nero, e in berretta, e in scarpe di terziopelo (spagnolescamente parlando); e poi gli porge la mano e la bocca con la più onesta puttanaria che si possa fare; ed entrato a parlar seco, in ogni proposito gli udiva adattar "monsignor mio zio": egli dimenava la testa con certi cadimenti oltra il signorile signorili, e pareva che ogni cosa gli puzzasse, e parlava adagio, soave, onesto; e con alcuni sputi fatti al torno, si ascoltava se medesimo.
PIPPA. Io lo veggo con la fantasia.
NANNA. Che vai tu carendo? La viniziana stava a l'erta, e a ogni laude che il ribaldo gli dava, rispondeva "moia", "basta", "fazende". Io non ti so dir tante ciance: il dormire insieme si concluse; onde lo scolare accenna colui che n'è mezzano, e gli dà due zecchini, con dire "spendi" e "fà tu"; il ser bestia va, spendacchia, e spendacchiando trafuga marchetti, soldi, marcelli, e manda le cose da vivere per un facchino a casa de la diva.
PIPPA. Par che voi ci siate stata, in modo favellate di facchino e di cesto.
NANNA. Nol sai tu, se io ci sono stata?
PIPPA. Sì, sì.
NANNA. La cosa venne a lo andarsene a letto: e spogliandosi il dottore avvenire, doppo il "non voglio" e il "non fate", soggiugnendo "Vostra Signoria è troppo cortese", lasciò aiutarsi a trar di dosso un giacchetto di tela marcia, greve e sconcio bontà del peso che facevano duemila dei ducati che intenderai.
PIPPA. Stà pure a vedere.
NANNA. Quando la puttana sente cadersi giù la mano dai cusciti-nel-vestitello, parse un mariuolo che adocchia uno di quei moccoloni che si lasciano tòr la borsa da canto al pinco: e posatelo su la tavola, fa vista di non si accorgere di nulla, attendendo ad accecarlo con le carezze e con i basci, e con il fargli pala, sendo colcata seco, de le mele e del finocchio. Vien la mattina, e il ragazzo del traforello entra in camera con inchini nuovi; e lo scolar maladetto gli avventa la borsa, la qual cadendo in terra fece poco rimore, con dir: "Và per malvagìa e marzapani"; né stette molto che i marzapani e la malvagìa vengano, e uova fresche appresso. Si desina pur per via del comprator de la cena; e ridormesi e rilevasi cinque notti e cinque mattine a la fila: e fà conto che il malandrino ci stesse a un .XV. scudi vel circa; e così fece uno amorazzo e una amicizia da buon senno, e tuttavia lo scolar cattivo-di-nido alzava le voci dicendo: "Perché non ingravido io la Signoria vostra d'un maschio, che gli rinunziarei il priorato, la pieve e la badia?", ed ella: "Magari". "Ora non bisogna perder tempo", disse il falla-a-chi-le-fa; e che fece egli? Si cavò il giacco, e tenendolo in mano, vede là una cassa ferrata e serrata diabolicamente; onde la pregò che le piacesse riponerci drento i denari i quali aveva confitti e appiattati per buon rispetto: ella gli chiude e dà la chiave a lui, pensando certissimamente di averne avere almeno uno o due centinaia. Intanto il mala-lana e la trista spezie dice: "Io vorrei comperare una catena da donna di un centocinquanta pezzi d'oro di valore; e perché io non son pratico, fatemela portar qui oggi o domane, che la comprarò subito". La corre-in-posta, credendosi che il presente avesse a toccare a lei, finse di mandare per il tale, anzi per il cotale, e fece venir catene e catenelle di minor prezzo; e non si accordando, tolse la sua che pesava ducento ducati d'oro larghi, e fecela portare, ivi a poco, da un che pareva orafo, a sua Altezza; e mostrategliene con dirgli "Che fin oro, e che manifattura miracolosa", fece sì che si venne al mercato. E serrossi la compra a .CCXXV.: e la signora allegra, dicendo fra se stessa: "Oltra che sarà mia, io avanzarò i .XXV. de la fattura".
PIPPA. Io la veggo e non la veggo.
NANNA. Lo scozzonato, tenendo la collana in mano, la lodava non altrimenti che l'avesse a vendere ad altri, e mentre la mirava e maneggiava, disse: "Signora, quando me ne facciate sicurtà, io darò quella cosa che vi ho data in serbo qui al mastro: perché vo' andare a mostrarla a un mio amico; e poi levarò la somma, che io debbo per il lavoro, di donde mi manda questa lettera di cambio"; e fattale vedere una scrittuccia, fece correre la non-insalata-a-fatto.
PIPPA. Come correre?
NANNA. Ella, per non si lasciare uscir de la cassa il giacco tempestato di ducati d'ottone, disse: "Portatela pure, che, la Dio grazia, io ho credito per maggior quantità"; e voltatasi al suo secretario, lo mandò via con un cenno: e lo scolare tolse su i mazzi e sbucò di casa. Vien la sera, ed ei non appare; vien la mattina, e non ci capita; passa tutto il dì, e non se ne ode novella; manda per colui che lo alloggiava, ed egli si stringe ne le spalle e accusa un paio di bisacce con una camiscia sudicia e un cappello rimastegli in camera, di suo: ed ella, ne lo udir ciò, si fece di quel colore del quale si imbiancano le facce di chi si accorge che il suo famiglio l'ha fatto rimanere in zero; e fatta sfracassare la cassa, fin coi denti squarciò il giacco: e trovatolo zeppo di fiorini da fare i conti, non si impiccò perché fu tenuta.
PIPPA. Che diavolo fanno i bargelli per le mondora?
NANNA. Nulla, nulla, né ci è più giustizia per la ragion de le puttane, e non ci veggo la grascia che ci viddi già: ed era pur un bel mondo il nostro, al buon tempo. E me ne diede un galante essempio il mio buono compare Motta, egli mi disse: "Nanna, le puttane d'oggidì si simigliano ai cortigiani dal dì d'oggi che per la divizia di loro stessi bisogna mariolare: altrimenti si moiano di stento, e per un che abbia pane in l'arca, ci son gli stuoli di accatta-tozzi. Ma il male sta nel gusto che hanno mutato i gran maestri: così sieno squartati i capretti e i caproni che ne son cagione".
PIPPA. Che sta a fare il fuoco? Che, balocca egli?
NANNA. Il fuoco si sta scaldando i forni, e menasi l'agresto intorno agli arosti: sai tu perché?
PIPPA. Non io.
NANNA. Perché il gaglioffo se ne diletta anche egli: e perciò dà miglior sapore ai quarti dirieto arostendogli, che a quei dinanzi essandogli.
PIPPA. Che sia arso.
NANNA. Qualcosa sarà, se ben non aviamo il manico da impregnargli come i ragazzacci, famigliacci, poltronacci. Ascolta del cortigiano: o santa, dolce e cara Vinegia, tu sei pur divina, tu sei pur miracolosa, tu sei pur gentile; ma se non fosse mai per altro, io vo' digiunar per te due quaresime intere solo perché tu chiami i ghiotti, gli sviati, i ladroncelli, gli sbricchi e simili tagliaborse, "cortigiani"; e perché? Per i ribaldi effetti che escano dei loro andamenti.
PIPPA. Adunque le cortigiane ancora sono peccatrici come loro.
NANNA. Se eglino ci hanno dato il nome, è di necessità che ci abbino anco dato il viso: verbo et opere dice il Confitebor. Ma eccomi a lui. Un messere signore-vive-in-tinello-e-more-in-paglia, un certo sputa-in-cantone, un cotal porta-berretta-in-torto, un mena-culo, un va-di-portante, il più aguzzo e il più bel civettino che alzasse mai portiera, o portasse piatti, o votassi orinale, il suo pugnal col fiocco, i suoi drappi forbiti intorno, e in ogni suo movimento fraschetta cicaluzza e poltroncino: frappò tanto ne le orecchie d'una disgraziata, che ella si cosse al fume de le sue chiacchiare ben bene. Egli durò un quattro mesi a donarle alcune coselline: come saria a dire anelluzzi, pianellette di raso e di velluto frusto, guanti ingarofanati, velaregli, scuffiette e, una volta in dieci, un paio di capponi magri, una filza di tordi, un baril di corso e cotali presentuzzi da fottiventi: e ci spese, fa conto, venti scudi in tutto il tempo che la maneggiò come gli parve. Ella che era accommodata al par d'ogni altra, non si curando se non de la sua grazia pidocchiosa, si lasciò uscir di sotto quanti amici che aveva; e solo attendendo al cortigiano, tanto ringrandiva quanto il vedeva grandeggiare.
PIPPA. A che modo grandeggiava egli?
NANNA. Del cardinal suo, la reverendissima Signoria del quale lo teneva in collo ogni dì due volte, né mangiava cosa che non la partissi seco, e tutti i suoi secreti gli sgoluppava; e come aveva anfanato di regressi, conserve e spettative, mostrando avvisi di Spagna, di Francia e de la Magna, si dava a biscantare con voce di campana fessa:

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,

e
Sì è debile il filo, oh,

avendo sempre piena la sacchetta del saio e il seno di madricali di mano dei poeti, i nomi dei quali contava nel modo che raccontano le feste i preti di contado: e il Calendario non le sa sì appuntino come gli sapeva già io; e gli imparai per cagion d'una certa comedia, e basta; e mi fecero utile, e basta, e feci credere a uno che io fosse poetessa, e basta.
PIPPA. Insegnatemegli anche a me: che, accadendomi di far quel che voi faceste, io possa farlo.
NANNA. Coi nomi puoi tu ben praticare, ma con le persone no.
PIPPA. Perché co' nomi, e non con le persone?
NANNA. Perché i lor denari hanno la croce di legno, e pagano di gloria patri, e sono, perdonimi loro, una gabbia di pazzi, e come ti dissi ieri, aprigli, accarezzagli, mettegli in capo di tavola: ma non gliene dare, se non te ne vuoi pentirte. E per tornare al cortigiano profumatino, mongrellino, anebbiatino, eccolo una sera picchiar l'uscio a la sua signora; e messo il piè drento, spicca un te deum laudamus su le grazie; e salite le scale con quella sollecitudine che le sale un che porta buone novelle, bascia lei che gli è venuta incontra, e basciatala le dice: "Il diavolo ha pur voluto che io esca di povertà al dispetto de le corti e de le lunghe, le quali danno a chi serve i reverendi schiericati". La corriva tutta si scuote al suo parlare, e come colei che pensa di avergli dato a usura i piaceri fatti, con una sforgiata baldezza gli dice: "Che cosa hai tu di buono?"; "Egli è morto quel mio zio riccone, il qual non aveva figliuoli né figliuole, né altro nipote che me", "Ah, ah" disse, "la Signoria vostra parla del vecchio misero che mi ha conto più volte", "Così è" rispose egli. Ella, da cattiva, gli cominciò a dare del signor nel ceffo, tosto che intese de la redità; ed egli si arrischiò a darle del tu, pare<n>dogli che tale arte bastasse per farle credere la sua nuova grandezza.
PIPPA. Vedi ghiottarelli.
NANNA. La cosa andò dove il cortigiano pose la mira, ciurmandola di sorte che la fece andare sopra le vette de l'alboro. Egli le favellò tali chiacchiare: "Padrona mia, io non ho fin qui potuto mostrarvi con gli effetti l'amore che io vi porto, per avere speso l'anima in servigio di monsignore: spettando pure che la discrezione venisse da lui. Ora Iddio ha voluto col tirare a sé il fratello di mio padre, farmi conoscere che egli è, son suto per dire, tanto misericordioso quanto sono ingrati i ladroni. Quello che io ti vo' dire è che io sono ereditario di cinquantamilia ducati tra case, possessioni argenti e contanti, e non ho padre, né madre, né fratelli, né sirocchie: per la qual cosa io eleggo te per legittima sposa, e perché io ti voglio remunerare, e perché io mi voglio contentare", e ciò detto, il veramente degno famigliare d'un prete la basciò: e cavatosi uno anelletto di dito lo mise nel suo. Or pensa tu se la trama la fece diventar lieta e rossa e si, abbracciandolo, le lagrime stettero ferme a le mosse: ella voleva ringraziarlo, e non poteva. Intanto il traforello spiega la lettera de lo avviso fatto di suo inchiostro e a suo modo; e postosi a sedere, le disse: "Ecco la carta che canta"; e spianolle il tutto.
PIPPA. Al verbo de lo al-quia (disse la Betta).
NANNA. La signora, doppo il tirarselo a dosso un trattuccio, gli diede licenzia che egli andasse a mettersi a ordine di partir seco come le aveva intestata; e non fu sì tosto fuor de l'uscio, che ella apre una cassetta dove, fra gioie, denari, collane e bacini, era il valor di più di trenta centinaia di scudi; e le sue vesti e massarizie passavano milleducento. E spalancato ogni cosa là, eccolo a casa; ed ella a lui: "Consorte mio, questa è la povertà mia e non ve la do per dota, ma per un segno d'amorevolezza". Il traditoraccio prese le cose di valuta, e riposele nel luogo dove stavano e chiusele di man sua. La matta spacciata, che non sapeva che via trovarsi da ficcarsigli in grazia, volse che la chiave stesse appresso di lui; e mandati per i Giudei, fece oro di qualunche robba e massarizia che aveva. Ed egli con i denari de la vendita si vestì da paladino; e comperati in Campo di Fiore due chinee da camino, senza far motto, vestitela da uomo la menò via: né volse in lor compagnia se non le gioie e l'altre importanzie de la cassetta. E avviatosi inverso Napoli...
PIPPA. Pur là, mariuoli.
NANNA. ...per due o tre alloggiamenti la trattò da marchesana: e la notte la teneva in braccio con le maggior cacarie del mondo. A la fine egli la volse stroncare: e dandole non so che opio, che portò da Roma, nel vino, nel più bello del ronfare la piantò nel letto de l'oste cortigianescamente; e tolto il suo cavallo, ci fe' montar suso un ragazzo, che appunto ne lo spuntar de l'osteria vidde apparire: dandola per le peste di così fatta maniera, che non si seppe mai più dove si fosse.
PIPPA. Che fece la sventurata, desta che fu?
NANNA. Messi a rimore tutto quel paese, e corsa a la stalla, prese la cavezza de la sua chinea, appiccossi a la rastelliera de la mangiatoia: e si disse che l'oste, per guadagnare i panni, si stette a vedere.
PIPPA. Chi è menchiona, suo danno.
NANNA. Un di quelli che fa sacrificio giuntando una puttana: come le puttane avessero a esser tutte sante Nafisse; e non altrimenti che le puttane non pagassero pigion di casa, né comprassero pan né vino né legne né olio né candele né carne né polli né uova né cascio né acqua e fin entro al sole, e andassero ignude o, vestendo, i fondachi le donassero panni, sete, velluti e broccati, e di che hanno elleno a vivere, di spirito santo? e perché hanno esse a darsi in preda a ognuno in dono? I soldati vogliono la paga da chi gli manda in campo; i dottori dicano de le parole per la lite bontà dei soldi, i cortigiani avelenano i lor padroni s'egli non gli provede di benefizi; i palafrenieri hanno il suo salario e la sua colazione, e perciò trottano a la staffa: e si ogni esercizio faticando è sodisfatto, perché doviam noi entrar sotto a chi ci richiede per nonnulla? Belle gentilezze, bei discorsi, bei trovati: al sacramento mio che ella è mal fatta, e doveria il governatore mandare un bando "a la pena del fuoco" a chi ci rubassi o piantasse.
PIPPA. Forse che lo mandaranno.
NANNA. A lor posta. Dico che fu uno di cotali truffa-femine, il quale si stava in casa come un signorotto: mangiava a la franciosa, beeva a la todesca, e in una sua credenzietta faceva mostra di un bacino e un boccale d'ariento molto bello e grande: e il bacino e il boccale stava in mezzo di quattro tazzoni pur d'ariento, di due confettiere e tre saliere. Costui saria morto se ogni stomana non avesse mutato puttana: e aveva trovata, per chiavar senza costo, la più nuova tresca e la più bella ragia che se pensasse mai da forca e da capestro che viva. Il poltrone in questo, ne l'altre cose persona da bene, aveva una veste di raso cremesi senza busti, e subito che menava una signora a dormir seco, nel fin de la cena entrava a dirle: "Vostra Signoria ha forse inteso il piantone che mi ha dato la tale: al corpo, al sangue, che non si fa così, e meritaria altro che parole", e non era mo' ver nulla di ciò che diceva. La buona donna, dando ragione al frappatore, si sforzava tuttavia di fargli credere di non esser di quelle; e giurando di non aver mai promesso cosa che non avesse osservata, il galante uomo le teneva la mano dicendo: "Non giurate, che io ve lo credo e so che sète una di coloro che non si trovano". A la fine, chiamato un suo famiglio che era, figliuola mia, ti-so-dire, faceva cavar del forziere la sopradetta vesta, e levatosi da tavola, la provava a la signora, dandole ad intendere che voleva donargliene a ogni modo. La vesta, per non aver i busti, stava dipinta in sul dosso d'ognuna: e perciò si confece benissimo a quello de la puttana che io dico; onde il fàlla-a-tutte grida rigogliosamente al famiglio con dir: "Trotta per il mio sarto, e digli che porti da tòr la misura a la signora; e che venga mo' mo', perché io sono stracco di i suoi "testé testé"". Il ragazzon vola, non pur trotta: e in men che non si sciuga una caccia, torna col maestro, il quale era secretario de le burle de la vesta; e salito la scala con quello ansciare che fa chi ha corso, dice con una sberrettatina: "Che comanda vostra Signoria?".
PIPPA. Odi baia.
NANNA. "Voglio" risponde egli, "che tu trovi tanto raso cremesi che faccia i busti a questa": e mostragli la roba anco indosso de la cacozza; il sarto mastica un dire: "Sarà fatiga a trovar di cotal raso; ma vo' servirvi, e credo far tanto che aremo di quel proprio che è avanzato a le pianete di monsignore, le quali ha fatto per dar in gola ai suoi peccati, e quando pur pure non si potessi aver di quello, arò del taglio dei cappelli dei cardinali da le quattro tempora che vengano". "Maestro, vi sarò schiava se lo farete", sfodera vezzeggiando madonna-da-lagonnella-di-verde-indugio; ed egli, lasciandola con uno "non dubitate", finge di portar la vesta a bottega, e vassene via. Ed ella rimane a stuccare de le sue frutta il baionaccio: la ciancia del quale, tenutola quanto gli pare con la speranza di "Istasera l'arete: se non, domattina senza niun fallo", piglia il tratto inanzi e corrucciasi con seco fuor di tutti i propositi; e fingendo collera grande: "Presto" dice al garzone, "rimenala a casa a questa forgia, ah?" e serratosi in camera, può gracchiare lo scusarsi di lei, che non ci si dà udienza.
PIPPA. La mia secchia non atigne anco di questa acqua.
NANNA. Mandala giuso ne la fonte, e l'empirai del sapere come egli faceva provare la veste e venire il detto sarto per tutte le puttane malmenate da lui in casa sua; e godutele lesse e aroste, veniva con loro in corruccio a posta e le rimandava via senza dargli nulla: parendogli aver fatto assai a pagarle de la speranza de la veste, che a ognuna promesse e a niuna diede.
PIPPA. Che razza!
NANNA. Propio razza da non volerne poledro. Io ti vado toccando ciancette in qua e in là, perché le tristizie degli sputa-inferni e mangia-paradisi sono tali che non le ritrovarebbono le negromanzie, le quali ritrovano gli spiriti: oh che pericolose bestie, oh che mèle-in-bocca-e-rasoio-in-manica! Noi donne, se ben siamo astute, cattive, tenaci, ladre e sfeducciate, non usciamo di donnarie; e chi ci pon mente a le mani, ci conosce meglio che non conoscano i pratichi pel mondo gli ascondaregli di coloro che giocano di bicchieri e di pallottole di sugaro. E poi è da metterci la scusa: perché siamo avare per amor de la viltà de la natura nostra, e ci crediamo tuttavia morirci di fame, e perciò trafughiamo, chiediamo, tentiamo; e ogni piccola cosetta ci s'ataglia, e le formiche non procacciano come procacciamo noi: e così così ci va ella busa, de le cento volte, le novantanove. Ma gli uomini, che fanno miracoli con le lor vertù e diventano, di un pochetto di esser che gli è dato "illustri" e "illustrissimi", "reverendi" e "reverendissimi", son sì disonesti che non si vergognano di furare per le nostre camere libri, specchi, pettini, sciugatoi, vasetti, una palla di sapone un paio di forbicine, due dita di nastro e s'altro gli dà ne le dita che vaglia meno.
PIPPA. Dite voi da vero?
NANNA. Da verissimo. E quale è più gran vituperio che scorgere una meschina che ha solamente la ricchezza d'una botta scudaia, la qual si porta il suo avere a dosso: e doppo lo averle lograto e l'orlo del pozzo e de la citerna, pagarla di un diamantino falso, di quattro giuli dorati e di una collanuzza d'ottone; e sperar poi, nel vantarsene, di avere a essere gonfaloniere di Gerusalemme? Che crudeltà è egli a sentire uno salito in bigoncia sopra il fatto nostro, trovando cose che mai furono né nate né poste; essi dicano: "Io fui due dì fa a toccar la tale: oh che slandra, oh che solenne sudicia! Ella ha le groppe punteggiate come l'oca, un fiato di morto, un sudor di piei una valigia di corpo, un pantano dinanzi e un profondo dirieto da far tornar casto non so chi"; saltano poi in quella altra dicendo: "Che rozza, che vacca, che ladra, che troia: ella lo vuol tutto nel tondo, e ci fa suso scaramucce stupende; e nel cavarlo fuora lo lecca, lo palmeggia e lo netta in un modo non più pensato né visto"; e quanto più si veggano gente a torno più alzano le boci: e la "coreggera", e la "fratiera", e la "bandiera". E quando gli facciamo qualche sbarleffo ne lo andar giù per le nostre scale, non si ricordano di quelli che fanno a noi ne lo scendere giù per le loro: e bisogna ben che noi siamo tradite e assassinate, a trapassare il segno in dirne male; e quando ci scappa di bocca "Egli è un misero e uno ingrato" o vero, infiammate da una gran ragione, "un traditore", non si pò andar più suso; e se gli togliamo alcuna cosa, lo facciamo per fornirci di pagare: perché non pagaria l'onestà che ci tolgano, il tesoro dei tesori.
PIPPA. Voi mi impaurite con le lor tristizie.
NANNA. Io ti impaurisco perché tu impaurisca loro con le saviezze che io ti ho insegnate: e chi paragonasse le finzioni, le bugie i pianti, i giuramenti, le promesse e le bestemmie, le quali usano per corsaletti nel volerci vincere, con le doppiezze, con le soie, con le lagrime, con gli spergiuri, col dargli la fede e con le maladizioni che gli esercitiamo contra, conoscerebbe chi sa meglio ingannare. Un gentiluomo (cancaro a le gentilezze) credo piamontese o savoino (salvo il vero) un certo volto-di-lanterna, aveva, giocando, vinta una lettiera di noce profilata d'oro, molto bella; e come entrava in parlamento con alcuna signora, faceva tornare a proposito la sua beata lettiera, e doppo il lodarla e stimarla i cinquanta ducati, la proferiva: e con simile ragia veniva a dormir seco. E datole in premio la lettiera, godeva di lei una decina di notti, e saziatosene a bello agio pareva uno di questi sbriccarelli i quali vorrebbono acquistar nome di bivilacqui stando tuttavia in volere attaccarsi a quistione con le mosche: dico che si attaccava fin nel tagliar del pane per volerla rompere con lei: e venendogli fatta, si leva su con un "Deserta, lendinosa, dammi la robba mia: se non, io ti farò la più malcontenta bordelliera, dammela, rendemela", e sfoderando una coltella non atta a fare un rigagnolo di sangue fra mille pecore, l'abbarbagliava talmente, che le pareva aver .XXX. soldi per lira a non sentire altro che dischiodarla e riportarla altrove.
PIPPA. Bella cosa il dare e ritorre come i fanciulli.
NANNA. A una sessantina la donò e ritolse nel modo che io ti ho detto; e non se gli è mai levato il nome del "gentiluomo da la lettiera"; e tutte le puttane il mostrano a dito, come fanno anco a quello da la vesta senza busti: e Pontesisto non gli daria un bascio se credesse perdere la infamia che egli ha.
PIPPA. Io gli vorrei così conoscere.
NANNA. Di cotesto non mi curo io: e sappi che, tra il nome di gentiluomo e la presenzia de la lor cera, farebbero star forte me che ti insegno, non che tu che impari.
PIPPA. Potria essere.
NANNA. Te ne vo' dire una bella, ma non per chi l'ebbe a l'uscio. Stavasi là dal Popolo madonna nol-vo'-dire, una soda tacca di femmina grandona, bellona, morbidona al possibile; e se puttana pò essere di buona natura, ella era di quelle: sollazzevole, tratenetrice, con ognun motteggiava e con tutti si afaceva con quella graziosa grazia che si porta da la culla. Costei fu invitata a cena a la vigna e a mangiar la fogliata romanesca; e quelli che la invitarono non la pregàr molto, perché ella tanto sguazzava quanto si faceva dei compiacimenti di chi le pareva da bene: come le parvero gli sciagurati i quali, in su le .XXII. ore, in groppa d'una mula, la condussero a la maladetta vigna. Certamente la cena andò a piè pari: capretti, mongara, vaccina, starne, torte, guazzetti e ogni convenevolità di frutti; ma fecero il mal pro' a la troppo troppo servente madonna.
PIPPA. Che, la tagliarono a pezzi?
NANNA. A pezzi no, ma a quarti, nel modo che tu udirai. Era appunto il primo tocco de l'avemaria quando ella chiede in dono ai signori coi quali cenò che le dessero licenzia, perché voleva andare a dormire con colui che la manteneva. I briachi, i matti, i cattivi le fecero rispondere a uno buffon da scoreggiate, e dirle: "Signora, questa notte è obligata a noi e ai nostri famigli di stalla, e vogliamo che siate contenta di far sì che i trentuni ugnoli diventin doppi, e così, mercé vostra, si chiamaranno arcitrentuni, onde sarà tra loro la differenzia che è tra i vescovi e gli arcivescovi, e se non sarete trattata secondo il merito scusate il luogo". Non disse altro lo scribo, ma pigliata la tempella in mano venne via cantando:

La vedovella quando dorme sola
lamentasi di sé:
di me non ha ragione.

La tradita de la sua bontà e da l'altrui tristizia, udendo ciò, parve me quando, ne la selva di Montefiascone, in su l'alba del dì urtai con la spalla nel petto d'uno impiccato: e le venne un dolor così fatto, che non poté scior parola. Intanto il porcaccio la stiracchia fino al ceppo di un mandorlo tagliato, e appoggiatole ivi la testa, le rovescia i panni in capo, e cacciatognele dove gli parve, la ringraziò del servigio con dui sculacciate de le più crudeli che si potesson sentire. E questo fu il cenno che si fece al secondo, il quale la travoltò sul ceppo, e facendolo a buon modo, aveva piacer grande de le punte del legno mal polito le quali le pungevano il sedere: onde ella, a suo dispetto spingeva inverso colui che, nel compire, le fece fare il capotomolo scimiesco; e il gridar che ella fece chiamò il terzo giostrante. Ma son gentilezze lo spasso che egli si pigliò del trarlo e rimetterlo che in ogni buco fece: la morte fu il vedere una mandra di famigliacci, di sottocuochi e di osterie, usciti de la casa de la vigna con quel rimore che escano i cani affamati di catena, e avventarsi al pasto come i frati al bruodo. Figliuola mia, io ti farei piangere se ti contasse minutamente il fargnelo che fecero, e come la scompisciarono per tutto, e in che atto l'arrecava questo e quello, e gli storcimenti e i ramarichi de la malcondotta; e sia certa che tutta quanta la santa notte la tempestarono. E stracchi dal vergognarla a ogni via, la imitriarono di foglie di ficaia, e con un vincastro di salcio la frustarono da ladro senno; e un giorneone ad alta boce lesse il processo da malefizio: e cantò i furti, i maliamenti, le truffe, le sodomitarie, i puttanesimi, le falsità, le crudeltadi e le ribaldarie che si ponno imaginare, mettendo ogni peccato a conto suo.
PIPPA. Io mi trasecolo.
NANNA. Venuta la mattina, cominciarono a darle una baia di fischi, di strida, di petate e di crocchiate, con più strepito che non fanno i contadini vedendo la volpe o il lupo; ed ella, più di là che di qua, con le più dolci e piatose parole che si potessino udire gli pregava a lasciarla ormai stare. I suoi occhi infocati, le sue gote molli, i suoi capegli scompigliati, le sue labbra secche e le sue veste squarciate la facevano simigliare a una di quelle suore maladette dal babbo e da la mamma, date nei piei dei Todeschi ne lo andar a Roma: dove la mandarono pretorum pretarum.
PIPPA. Io le ho compassione.
NANNA. La finì anco peggio che non cominciò: solo perché la rimandarono a casa ne l'ora di Banchi e suso una cavalla da basto, simile a quelle bardellate le quali portano i trecconi al mercato del grano. E sappi che non si scopò mai ladra che avesse la vergogna che ebbe ella, e perdette il credito di sorte, che non fu più dessa: e morì di duolo e di stento. Si che considera che s'essi fanno di cotali scherzi a chi gli serve, quel che farieno a chi gli diserve.
PIPPA. Uomini, ah?
NANNA. Un signor capitano, bravo, famoso, grande e tristo (il dirò pure), venne a Roma per i fatti del soldo, e volse, sera e mattina, seco una cortigiana, non bella bella, ma così fatta che ci si poteva stare: ben vestita, assettatina in casa, tutta sugo e tutta saporita e se bene ella faceva perdita d'amici col non si partir mai né dì né notte da lui, non se ne curava, dicendo seco stessa: "Io guadagno più con questo che io non perdo con quelli". Or egli accade che il capitano dee partirsi il dì seguente a bonissima otta, onde la scempia si credeva che sua Signoria, che la teneva per mano, dicesse a un suo favorito, al quale parlava ne l'orecchia, "Dàlle cento scudi": ed egli ordinò che le fossero legati i drappi in capo, e con due stivali da verno, in mezzo a due torchi accesi, stivalata per Borgo Vecchio e Nuovo, per Ponte e fino a la Chiavica. E così fu grappata e con una cinta di taffettà legate in cima del suo capo l'estremità de la veste da piei, il suo sesso apparve tondo e bianco come la quintadecima: oh egli era sodo! oh egli era ben fatto! né grasso né magro, né grande né piccolo, e lo sostenevano due coscette sopraposte a due gambe afusolate, più galanti che non sono due colonnine di quello alabastro tenero il quale si lavora al torno in Firenze, e le propie vene che ha la pietra che io dico si scorgevano per le coscettine e per le gambettine. E mentre era drento i suoi panni gridava con la medesima boce che esce d uno rinchiuso in qualche cassa, sendo i torchi appicciati e gli stivali a l'ordine i famigli chiamati a lapidarla, stupefatti ne la bellezza del culiseo, vennero in capogirlo, e lasciatosi cader gli stivali di mano, rimasero incantati: onde fur desti da parecchi bastonate di zecca: di modo che gli ripresero, e avviatela fuor de la porta, si diedero a dargnele e tante e tante, che il rosso venne in mostra, e poi il livido, e poi il nero, e poi il sangue; e nel far tuff toff taff degli stivali, la gentaglia e la non gentaglia alzava di quei propi taleni che alzano i fanciulli quando il manigoldo fa il suo debito col frustare i ghiottoni. E così la malcapitata fu posta a casa sua, dove se ne stette un tempo, vituperata e disfatta per la baia datale da ognuno che lo intese.
PIPPA. O pugnali, che state voi a vedere? Perché perdete voi tempo, spade?
NANNA. Io non so dove si venga questo mal nome, che noi abb
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