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Opere pubblicate: 19993
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Info sull'Opera
Sensualità e universalità
nei versi pulsanti di Giulio Picchi di Luigi La Rosa Il nome di Giulio Picchi non è nuovo ai frequentatori della poesia di oggi, così come la sua collaborazione alla rivista Orizzonti, e in special modo quel suo verso luminoso, plastico, che si anima di sim¬bolismi accesi, magnetici, dando origine a un’immaginazione estre¬mamente vitale e visionaria. È una poesia che nasce direttamente dal corpo, e che si muove attraverso il mistero dei sensi, se già in Parten¬za, la fisicità detiene un ruolo di grande centralità emotiva: «Dalla spalancata finestra vedo che schiarisce il cielo e si tinge d’allegria, io vago ancora sul tuo corpo e cerco di nutrirmi del vigore che c’è in te, lacrime, sudore, cos’altro»... I versi lasciano filtrare la sostanza intellettuale e sentimentale attra¬verso il potere evocativo dello sguardo, uno sguardo che scava, che indaga, che cerca, tra i mirabili segreti dell’universo, le cifre di una consonanza poetica al proprio modo d’essere e al proprio modo d’intendere la vita. Ritroviamo allora, anche se riproposto con for¬me differenti e sicuramente individuali, quel sentimento di piena uni¬versalità che costituisce l’anima “democratica” di uno dei più impor¬tanti poeti americani di ogni tempo: Walt Whitman. Come lui, pure Giulio Picchi si volge al mondo che lo circonda, abolendo con la magia della parola, confini e nazionalità, limiti e defi-nizioni, tratti culturali e pensieri tradizionali: cercando insomma nell’altro nell’uomo altro da sé ciò che alla fine è certo di ritrovare nel perimetro eterno della propria interiorità. Dando spazio, in altri termini, a un cosmo musicale ricco, denso, mutevole, che si traduce in cifra, in espressione, in esigenza di coscienza poetica. Egli stesso lo riconosce in Io, uomo: «Ho camminato per strade polverose in paesi1ontanissimi da qui città sul mare città sulle montagne per ignorare e semmai tradire un mondo ipocrita. Ho conosciuto inesauribili viandanti degni assolutamente di stringere con me benché di lingue sconosciute alleanze inossidabili. Ho parlato con la gente del deserto e quella della jungla ho ascoltato fanciulle dolcissime con fiori lilla tra i capelli vestite di sole e di colore»... È una poesia in continua evoluzione, così come dinamica e itine-rante è la dimensione dell’esistenza in cui il poeta può ritrovare se stesso. Il suo mondo non conosce barriere, misure, geografie, oltre a quelle del cuore, e di lingue sconosciute che gli diventano presto mi-sterio¬samente famigliari. La poesia si fa carne viva, assumendo la sen-suali¬tà dell’esperienza, brillando di colori lontani, facendosi sfumatura di una continua interrogazione all’universo e al futuro. Come i viaggiatori dei secoli scorsi, Giulio Picchi s’inventa un viag¬gio infinito, fatto di sempre nuove partenze e sempre più radicali riflessioni. Il verso è il possente basso continuo che determina e tradu-ce in forma questi bellissimi movimenti dell’interiorità, queste lungi-miranti fughe dalla civiltà della routine. Quei viaggiatori antichi e in-dimenticabili portavano merci. Il nostro poeta torna invece coi taccui-ni e le sue pagine cariche di parole, amabili tavole sulle quali è scolpi-to il fuoco del ricordo. Delle volte, le parole son dettate da una tenue, pascoliana nostal¬gia, in special modo in Le stelle non cadono invano, e più precisamen-te dove: «Stanotte mi ha cercato la luna seriamente guardava dietro oleandri rosa e sotto alberi di ciliegio in fiore e fra gli olivi del Monte Albano e all’ombra livida irreale dei pini di Maremma mi cercava e mi chiamava avrei voluto risponderle dal mio letto di solitudine che non potevo essere là ma ero distratto pensavo a lei voglio che sappia che le stelle non cadono invano»... Altre volte si chiudono in forme più brevi e definite, misure che as-sumono una più martellante esattezza del dettato, ad esempio se: «Per le strade nelle piazze nei giardini sui viali la sera, a mezzanotte all’alba nelle finestre e nei portoni cerco l’immagine perduta di colei che voleva fossi suo e che chiedeva a me molte cose quasi nulla che non ho saputo dare». Dietro questo immenso percorso c’è sempre lo stesso uomo con¬sapevole della propria presenza, del desiderio che accende i giorni, che mette le ali ai passi. Un sentimento che ci fa piangere di dolore se il pallido spicchio di luna sul giardino dell’ultimo inverno è ancora capace di regalarci feri-te, storie, cicatrici d’indimenticabili lontananze.
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