|
Opere pubblicate: 19990
|
Info sull'Opera
Ai caduti di Sorbo (L’Aquila) Muto bronzo “vivissimo” il pianto ascondi, seppur del dolore sordo che ti colma il seno tutto lo strazio urli, nel silenzio profondo della dura materia. Avvolti in disperato, eterno abbraccio, fusi due corpi in unico respiro mostri. Come nei lunghi mesi di trepidante attesa, serra la Madre dell’amato bene la giovin vita che non le sfugga prìa che giunga al “suo Verno”! E sulla vanga dell’usata fatica il pugno pigia a trarre forza dalla terra amica: “simbol di Vita” e… - brivido le corre addosso…! - “culla della morte”! Chino il suo capo sulla forte spalla - ch’or l’è più cara - cocenti lacrime nel mutismo ingoia nell’appressarsi dell’atroce strappo! Le femminili membra fremono e saldi i piedi sul terriccio preme ché non le venga meno quell’immane, disperata forza e giù non crolli pel troppo strazio: infonder dee coraggio alla creatura amata “carne della sua carne”!, che fu quel bimbo che nutrìa al suo seno e, allor, ridea lieto e rosato, simil a rorida pesca! Or, divenuto fante, pur nella dignità dell’uniforme, conscio del “suo dover”, cova penoso strazio che dal bel volto fugge e infinita tenerezza emana, presago d’un destin, ch’è sì crudele, e che, sovente, falcia i virgulti colmi di linfa prìa che giunga Estate. Là, nell’ameno, modestissimo spazio - che pur evoca gloria - sotto l’azzurro terso, le due presenze vive l’occhio carpiscono del passeggero estraneo e, subitaneamente l’animo ‘l sconvolgono, e nello strazio del “muto bronzo vivissimo” anche la sua persona tacitamente attraggono: Ei vorrebbe con esse fondersi in eterno abbraccio, nella certezza che per quel fante non vi fu ritorno.
|