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Info sull'Opera
Autore:
Emilio Salgari
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

LA TIGRE DELLA MALESIA ( Capitoli XXVIII - XXIX - XXX)

di Emilio Salgari

Il bombardamento di Mompracem

All'indomani il delirio si era impadronito dei pirati. Non erano più uomini, erano titani che lavoravano con energia sovrumana per fortificare la loro isola minacciata, titani che s'affannavano attorno alle batterie e alle trincee, che battevano furiosamente le rupi per istaccarne scheggione da far barricate, che scavavano fossati, che rotolavan botti ricolme di sassi, che portavan sacchi zeppi di terra, che mettevano in batteria cannoni, mortai e spingarde, che preparavano mine per ogni dove, che empivano gabbioni di rottami e che abbattevano alberi per elevare palizzate lungo la costa, che affilavano armi e che fondevano palle e bombe a migliaia.
La regina di Mompracem, bella e scintillante d'oro e di perle come la sera precedente era là per animarli. Incoraggiava gli uni, con un sorriso che li faceva delirare vieppiù, stimolava gli altri colla voce, saliva intrepida sulle batterie a puntare ella stessa assieme a Ladgia i cannoni e portava con quelle sue manine delicate le bombe dando l'esempio a tutti.
Sandokan vi era pure, e lavorava con un'attività febbrile che pareva pazzia. Altro che titano! La Tigre della Malesia movevasi rapida come un lampo accorrendo ovunque, facendo il lavoro che dieci uomini non sarebbero stati capaci di fare, demolendo i fianchi delle rupi, sollevando pietroni enormi e trascinando da solo e cannoni colossali e alberi spropositati. Faceva l'impossibile, e non meno di lui faceva il Portoghese le cui forze si erano centuplicate.
Nessuno perdeva un sol istante di tempo che era preziosissimo. La cannoniera fumava sempre al medesimo luogo spiando i loro lavori e ciò bastava per mettere il fuoco nelle loro vene, ben sapendo che aspettava l'arrivo di nuove navi per cominciare l'attacco.
Verso il mezzodì giunse al villaggio una metà dei pirati che avevano condotti i prahos sulla costa occidentale, e le notizie che essi portarono non furono inquietanti. Una cannoniera spagnola era stata veduta al sud dell'isola in rotta a quanto pareva per le Romades, ma non si era arrischiata a gettarsi sui loro legni; in quanto alle coste occidentali erano perfettamente sgombre da qualsiasi nemico, e in caso di ritirata si poteva prendere il largo senza grandi pericoli.
- Tuttavia - disse uno di essi a Sandokan che l'interrogava - vi sono traccie evidenti della comparsa degl'Inglesi. Gl'indigeni me ne hanno parlato, e pare che sieno sbarcati più di una volta tentando aver relazioni con essi.
- E gl'indigeni che pensano delle giacche rosse? - domandò Sandokan. - Hanno avuto abboccamenti con essi?
- È difficile saperlo da quei dannati rettili, capitano. Mi hanno assicurato che li odiano, che non vogliono saperne di visi bianchi, e udendo come essi tentino un colpo di mano sull'isola, il Nano mi parlava di portarci aiuti.
- Non fidiamoci troppo di loro - disse il Portoghese entrando in discorso. - Sono traditori belli e buoni, quei furfanti.
- Tuttavia una trentina d'indigeni potrebbero esserci di grande aiuto - mormorò Sandokan. - Non siamo che trentanove o quaranta, un piccolo numero dinanzi alla spedizione inglese che immagino sarà formidabile. È bensì vero che siamo quaranta tigri, che tutti abbiamo giurato di difendere Marianna e Mompracem, ma chi sa? Ti ricordi, Yanez, che ti dissi di leggere nell'avvenire? Ebbene: vedo ancora tutto oscuro, quantunque io sia ancor ritornato la Tigre!
- Eh! Bisogna bene che sieno forti le giacche rosse per cozzar contro le nostre batterie o sfondare le nostre trincee - disse il Portoghese. - Non vedi, Sandokan, che abbiamo fatto di questo villaggio una rocca che crederei inespugnabile?
- Lo vedo, ma il nemico può esser pur egli forte. To'! Guarda, Yanez, mi sembra vedere delle colonne grigie laggiù all'oriente, senza dubbio colonne di fumo. Ecco la cannoniera che se ne va; essa deve aver scorto gli aiuti che aspetta da tanto tempo.
- Il nemico! - esclamarono Giro Batoë e due o tre pirati, che si tenevano sull'alto delle batterie.
Sandokan e il Portoghese si precipitarono sui terrapieni dove la giovanetta li aveva preceduti, mentre i pirati davano gli ultimi colpi di zappa a un quarto fossato e mettevano in batteria gli ultimi cannoni e le ultime spingarde.
Delle colonne di fumo e dei punti bianchi si scorgevano allora all'orizzonte, verso i quali si dirigeva a tutto vapore la cannoniera. Nessuno pose in dubbio che fosse il nemico che si avvicinava all'isola per tentare audacemente l'occupazione o almeno la completa distruzione di quel formidabile nido di pirati che per tanti anni aveva scorrazzato i mari.
Non era ancora possibile determinare le sue forze, ma dalle colonne di fumo e dalle vele, era facile a capirsi che doveva essere potente. Piroscafi e velieri non mancavano, e se li vedevano gareggiare di celerità a poca distanza gli uni dagli altri. Balamê che salì sulla gran rupe assicurò essere una vera flotta in mezzo alla quale si trovavano parecchi prahos.
Sandokan, a fianco della giovinetta ritta intrepidamente sulle batterie e circondata dai pirati che avevano in furia abbandonato i lavori, con quegli occhi che sfidavano i più potenti cannocchiali, esaminava e contava attentamente i vascelli che s'avvicinavano rapidamente alle temute coste di Mompracem.
Comprese subito quanto fosse forte il nemico e pur lo compresero i suoi pirati, ma non vi fu alcuno che facesse il minimo segno che dinotasse sorpresa o timore. Erano preparati a tutto; le flotte riunite di Labuan, Borneo e Sarawak non sarebbero state capaci di scuotere il loro ammirabile coraggio. Che valeva se il nemico era sei, dieci, venti volte anche più numeroso quando alla loro testa avevano la Tigre, l'uomo dalle imprese leggendarie, terribile come i tempi passati? Che valeva se il nemico aveva cento cannoni di più quando la regina era con loro ad animarli e quando il loro villaggio era stato reso inespugnabile?
- Tigrotti! - gridò Sandokan con quella voce che affascinava e che scuoteva le fibre. - Ecco il nemico!
I pirati vi risposero alzando le scuri, i moschetti e le scimitarre facendo con questo scudo alla regina che si teneva fieramente ritta a fianco alla Tigre e un solo grido sfuggì da tutti i petti.
- Viva la regina di Mompracem!
- Compagni - continuò Sandokan sguainando la terribile sua scimitarra cento volte tinta nel sangue umano. - Il nemico è forte, forse risoluto ad espugnare i nostri covi e dare un colpo mortale alla nostra Mompracem, alla nostra patria adottiva. Non avrà pietà, non ci darà quartiere che per trascinarci sulle forche di Vittoria, vogliono la nostra regina e me, la Tigre della Malesia che tanta paura a loro cagiona. Mi affido a voi, ai tigrotti di Mompracem.
"Siamo pochi, ma tutti risoluti e prodi e bisogna vincere a qualsiasi costo, vincere per sostenere e rialzare le cadenti sorti della pirateria e della nostra isola. Che nessuno tremi, che nessuno si sgomenti, che nessuno indietreggi: turbini di ferro finché le palle e la polvere non vengono meno, poi innanzi colle scuri e le scimitarre. Io sarò il primo a darne l'esempio.
"Rammentatevi che siamo i tigrotti di Mompracem, che io sono la Tigre e che coloro che furono assassinati sulle coste di Labuan chiedono vendetta. Ovunque rottami, cadaveri e fiumi di sangue! Io lo voglio!...
Non vi voleva che la Tigre per mettere fuoco nei petti di quei pirati, e per cangiare gli uomini in tanti eroi.
- Sì! Sì! Battiamoci! - urlarono ad una voce i pirati. - Morte alle giacche rosse! Vendetta ai nostri compagni!
- Capitano! - esclamò Giro Batoë. - Siamo quaranta tigri che da sedici ore abbiamo fatto dono delle nostre vite a Mompracem, non domandiamo che di provare le nostre forze. Sotto il comando della Tigre saremo quattrocento, sotto gli occhi di milady saremo quattromila.
- Lo sapevo di aver dei prodi, abbracciatemi, compagni, e possiate difendere colei che amo più di Mompracem!
I pirati si precipitarno uno a uno fra le braccia del formidabile uomo.
- Milady - disse Balamê. - È d'uopo che il nemico prima di giungere fino a voi passi sul corpo di quaranta tigri. Le nostre artiglierie vi copriranno di fuoco, i nostri petti vi faranno scudo, le nostre scimitarre abbatteranno coloro che alzeranno il braccio contro di voi! Essi non vi avranno: lo vogliamo!
- Grazie, amici miei, e se la sorte arriderà a Mompracem, rimarrò per sempre fra voi - disse la giovanetta.
- Alle armi! Alle armi! - gridò Sandokan, trascinando seco Giro Batoë e la sua banda.
- Viva la regina di Mompracem! Viva Sandokan! - gridarono i pirati e scomparvero dietro le palizzate e le batterie.
I provvedimenti per mettere la giovanetta e la sua compagna fuori di pericolo e i preparativi per una ritirata se questa malgrado la resistenza diventasse necessaria furono presi. Le due donne furono internate nella foresta al riparo di una rete d'alberi sotto la guardia di Inioko, un Dajacco vigoroso e risoluto, capace di far fronte a un intero drappello di soldati. La separazione della giovanetta da Sandokan non fu senza lagrime.
- Marianna - disse il pirata nel momento che stava per dividersi. - Non temere, né il maledetto da Dio, né i suoi ti avranno come non avranno me. Non morrò, poiché le palle che mi hanno rispettato per tanti anni mi rispetteranno pur oggi che pugno in difesa dei miei diritti e anche di una fanciulla. Sì, se io sarò costretto a cedere, cederò e fuggiremo assieme, non sarai più regina di Mompracem, ma sarai egualmente mia. Forse sarebbe meglio così. Va, fra poco, vinto o vincitore, avrai mie nuove.
La giovanetta si sciolse dalle sue braccia piangendo e parti assieme a Ladgia che non era meno commossa di lei dopo la separazione col Portoghese, ed entrarono sotto le foreste guidate da Inioko che dolevasi essere condannato a udir il cannone senza poterlo adoperare. Egli le condusse sul luogo ove eran radunati una trentina di cavalli di già bardati, nel mentre che Giro Batoë, Balamê e una mezza dozzina di pirati invadevano i villaggi indigeni e facevano una razzia dei più valorosi che mandavano frettolosamente al campo.
Al villaggio vi era ora tutto sottosopra. Sandokan e il Portoghese, dopo di aver ricacciate le emozioni nel fondo del cuore, l'uno tornato Tigre e l'altro tigrotto, risoluti a giuocare l'ultima loro carta, e a vendere cara la vita o la libertà, davano gli ultimi colpi di mano alle trincee, alle palizzate, alle batterie, assieme ai loro uomini.
Si caricavano frettolosamente i cannoni, si ponevano in batteria quelli ancor a terra, si accumulavano palle e granate, si aprivano le polveriere, si rafforzavano le barriere, si empivano d'acqua i fossati, deviando il corso dei torrenti, si tiravano a secco i prahos onde non potessero venire presi e servire di fortezza agli assalitori, e si affondavano quelli che non potevansi salvare. Non si tralasciò di porre in opera tutti i mezzi suggeriti dall'arte per rendere inespugnabile il villaggio, né si tralasciò di prendere ogni precauzione suggerita dall'imminente pericolo. Ogni cosa in quei momenti era buona per moltiplicare gli ostacoli contro un possibile assalto degli Inglesi.
I tradimenti non furono neppure essi dimenticati. Si scavarono trabocchetti entro i quali potessero precipitare i nemici, si prepararono mine, si empirono i fossati d'ammassi di rami spinosi e si piantarono nel fondo punte di ferro avvelenate con succo dell'upas.
In venti minuti, prima che le navi giungessero a tre miglia dalla costa, il villaggio era stato cangiato in una vera rocca, difficile a distruggersi e impossibile ad espugnare.
La flotta nemica era più forte e più numerosa di quella che era apparsa in sul principio. Disponeva di potenti mezzi di distruzione, e possedeva numerosi equipaggi, raccozzati fra tre o quattro differenti razze. Si scorgevano Inglesi, distinguibili per le giacche e i berretti rossi e per la flemma con cui manovravano; Olandesi colle azzurre divise; una mano di Spagnuoli montata su di una cannoniera e che vociavano come aquile, dei guerrieri del sultano di Varauni coi loro lunghi scudi, i loro gran turbanti, e armati di picche e di moschettoni a pietra, e certi uomini dai volti feroci, seminudi, dagli atteggiamenti fieri, armati di certe scuri e certe scimitarre di una forma strana, che li davano a conoscere per pirati delle coste del Borneo, rivali accaniti di quelli di Mompracem, che l'oro del baronetto e una certa gelosia li avevano determinati a unirsi alla spedizione.
Era una vera armata per nulla inglese ma guidata da Inglesi, un'armata formidabile contro la quale bisognava ben guardarsi e ben difendersi, superiore di assai a quella di Mompracem che disponeva di valorosi bensì, ma sempre pochi difensori.
- Mille tuoni! - esclamò Yanez, con ira mal celata. - Non avrei mai creduto che quel cane di lord James giungesse a riunire tante navi e tanti uomini.
Egli contò due grandi piroscafi, mercantili per forma, ma meglio armati dei vascelli da guerra, e dietro a essi la cannoniera olandese che da tre giorni spiava Mompracem, una cannoniera spagnuola, un grosso brigantino vecchio di scafo ma zeppo di cannoni, e una mezza dozzina di prahos colla bandiera del sultano di Borneo e altrettanti legni pirateschi. Quantunque fidasse nelle forze della Tigre il bravo Portoghese si sgomentò.
- Che ti pare Sandokan? - chiese egli.
- Meglio così - risposte la Tigre con un sorriso ironico e feroce. - Sono forti, tanto meglio: danzeremo addirittura fra turbini di ferro. È l'ultima lotta che io imprenderò: guardati, o flotta, da Mompracem e da me!...
Giro Batoë e Balamê ritornavano in quel mentre seguiti da una quarantina di indigeni che avevano adescato a furia di oro e di promesse. Il Nano era fra essi e si poteva credere che egli operasse prodigi di valore.
Non erano già pirati, quegli uomini che guidava, non avevano fama di prodi tuttavia avevano acquistato una certa dose di coraggio di cui mancano generalmente quelli della loro razza, e si alleavano facilmente ai loro padroni quando vi era da guadagnare qualche manata d'oro e meglio ancora, se vi era da vuotare una bottiglia di acquavite.
Non resistevano all'urto, ma sapevano tirar moschettate con rara precisione e adoperare i cannoni, manovra che avevano appreso con facilità sotto i loro maestri, quantunque le prime volte avessero provato una paura indiavolata a tanto fracasso.
Sandokan per incoraggiarli vieppiù, fece sfondare un barilotto di arak che fu in un momento vuotato da quei bevitori.
- Nano - diss'egli mentre si dispensavano a essi le armi e si mettevano ai cannoni - io ho bisogno di te, tu lo comprendi; quelli che vedi laggiù vogliono rubarci l'isola, se vi riescono diverranno i padroni, e come hanno reso schiavi tutti i popoli a loro soggetti, renderanno pure schiavi te e la tua tribù. Siamo forti però, riusciremo forse a metterli in fuga, ma siamo pochi; se tu riuscirai a fare ciò che ti domando, venti botti di arak e un vestito rosso saranno il premio della vittoria.
- Arak! Arak! - esclamò il beone fiutando il bariletto con una avidità da macaco. - Ohe! Vi ha dell'arak nell'aria, la Tigre lo promette, cerchiamo di fare qualche cosa. Lo vedrai, capitano, quei gridatori in giacca rossa prenderanno il largo.
La conversazione fu punteggiata dal primo colpo di cannone che partì da uno dei piroscafi, la cui palla fece saltare la terra sulle sponde di un fossato. Sandokan raddrizzò l'alta statura con un gesto di suprema fierezza guardando il piroscafo.
- Vincerai! - esclamò egli dolorosamente portando la mano al cuore. - Lo sento, ma non mi avrai vivo come non avrai Marianna Guillonk! Voglio farti comprendere quanto possa la Tigre prima di abbandonare il suo covo, e di che siano capaci gli ultimi pirati di Mompracem. E ora, fatalità, compi ciò che hai cominciato: io ti aspetto!
Il pirata gettò uno sguardo all'intorno come volesse imprimersi per l'ultima volta nel cuore quei luoghi che una voce interna diceva che non avrebbe veduto mai più, e sospirò. Qualche cosa di umido comparve sui suoi occhi, non già una lagrima poiché quell'uomo non sapeva piangere, ma che forse era più che fosse una lagrima, e si diresse alle batterie.
La flotta, dopo di aver tirato il primo colpo, era andata avvicinandosi mantenendosi su di una linea che comprendeva la larghezza della costa occupata dal villaggio. Vedendo che i pirati non rispondevano cercava di abbreviare e di tentar forse lo sbarco fidente nelle proprie forze.
Sandokan la lasciò avvicinarsi fino a ottocento passi, poi saltò su uno dei più grossi cannoni della batteria centrale, alzando la scimitarra.
- Compagni, ai vostri pezzi - gridò egli con voce tonante. - Non vi trattengo più; sbarazzatemi il mare da questi prepotenti. Fuoco!
Trentasei cannoni e una dozzina di spingarde difendevano il villaggio. Al comando della Tigre i terrapieni, le trincee, le palizzate avvamparono su tutta la linea formando una sola denotazione capace di essere udita alle Romades. Sembrò che il villaggio intiero saltasse in aria e la terra fremette fino alle spiaggie. Nubi di fumo avvolsero le batterie, ingigantendo sotto nuovi colpi, che si succedevano furiosamente distendendosi sulla sinistra ove tiravan le spingarde manovrate dagli indigeni.
La flotta qua e là danneggiata non istette molto a rispondere. Piroscafi e cannoniere, brigantino e prahos si coprirono alla loro volta di fumo, presentando i fianchi al villaggio. I loro colpi si succedevano non meno rapidi di quelli dei pirati, con una precisione che sgomentava, tempestando le opere di difesa, avanzandosi obliquamente a piccolo vapore e con qualche vela, sostenuti da un violento fuoco di moschetteria, che se non riusciva contro le batterie, molestava e non poco i difensori.
Non si perdeva un colpo né da una parte né dall'altra, si gareggiava di celerità e di precisione, s'infuriava da ambe le parti, risoluti a esterminarsi da lontano e più tardi da vicino. La flotta aveva la supremazia del numero dei combattenti, aveva la supremazia delle bocche da fuoco che non la cedevano né in numero, né in portata a quelle del villaggio, e aveva di più il vantaggio di spandersi, isolarsi e muoversi, facendo spesso andar a vuoto i colpi del nemico.
Ma con tutto ciò non guadagnavano. Era bello vedere quel villaggio difeso da un pugno di prodi, che avvampava da tutti i lati rispondendo colpo per colpo, vomitando bombe e torrenti di mitraglia che fracassavano madieri, struggevano manovre, sventravano uomini. Aveva ferro per tutti, ruggiva più forte che non ruggissero i cannoni uniti della flotta, puniva i bravacci che venivano a sfidarlo a poche centinaia di metri dalle formidabili coste demattandoli degli alberi, faceva indietreggiare i più audaci che tentavano uno sbarco, e per tre miglia intorno faceva saltar le acque del mare.
La Tigre era in mezzo ai suoi, cogli occhi in fiamme, ritto dietro un grosso cannone da 24, che scatenava dalla sua fumigante gola uragani di ferro ad ogni istante senza mancare una sola volta. Il formidabile uomo a ogni denotazione del suo mostro di bronzo, che fracassava i fianchi al più grosso dei piroscafi, urlava:
- Fuoco! Fuoco! Spazzatemi questo mare, sventratemi queste navi, struggetemi questi uomini che sono ancor bambini!
E la sua voce non andava perduta. I pirati conservando un ammirabile sangue freddo, determinati a restare al loro posto finché vi era una trincea in piedi e a morire sui loro pezzi anziché retrocedere, aiutati dagli indigeni che vi si prestavano vigorosamente, infuriavano a ogni comando della Tigre. Senza badare alla tempesta di ferro che ruggiva attorno ad essi, che lacerava le palizzate, che faceva saltare terrapieni, che sfondava gabbioni, che schiantava le loro capanne, se li vedevano salire intrepidamente sulle opere danneggiate e puntare le loro artiglierie.
Un prahos piratesco fu fatto saltare dopo averlo incendiato con una bomba nel mentre che cercava con una insolente bravata di approdare appié della rupe. I suoi rottami giunsero fino alle prime palizzate del villaggio e i tre o quattro uomini che erano scampati all'esplosione furono fulminati dalla mitraglia ancor prima che potessero approdare.
Un secondo prahos che cercava imitare l'audace manovra del primo fu compiutamente demattato ammazzandogli mezzo equipaggio e sarebbe colato a picco senza l'aiuto della cannoniera olandese che tirando furiosamente col suo grosso pezzo di poppa, fece tacere per un istante il fuoco diretto su esso, e lo trasse a rimorchio al largo.
- Venite a sbarcare! - gridò Sandokan puntando il suo cannone sulla cannoniera. - Voglio vedervi! Venite a misurarvi cogli ultimi pirati di Mompracem! Voi siete fanciulli e noi siamo giganti!
- Tuoni di Dio! - urlava dal canto suo il Portoghese dando fuoco al suo cannone. - Bisogna proprio fare un massacro di quei cani là prima d'indurli a battere in ritirata? Aspettate un po', giovanotti miei, che vi faccia assaggiare una porzione di mitraglia rovente. Tuoni di Dio! Faccio una marmellata di tutti voi!...
E si continuava a tuonare gagliardamente, vomitando bombe e mitraglia contro la flotta che invano sforzavasi avvicinarsi alle coste della terribile isola.
Tutte le navi qua e là danneggiate, andavano e venivano a tratti, tentando ogni sorta d'astuzie, avanzando obliquamente e rompendo bruscamente la rotta, facendosi sotto le scogliere fino a soli 200 metri dal villaggio, scagliando torrenti di bombe per far saltar le trincee e avventando turbini di ferraccio per fulminare gli artiglieri, ma terminando sempre col torcere cammino e tornare ad allontanarsi semi-sventrate.
Era da vedersi che finché i bastioni tenevano saldo, le polveri non venivano meno e gli uomini non cadevano, sarebbe stato impossibile tentare uno sbarco.
La flotta dovette pur comprenderlo, poiché desistette improvvisamente dall'avvicinarsi e si portò al largo, dividendosi per non offrire troppi punti di mira, movendosi rapida e concentrando tutti i suoi colpi sui cannoni per ismontarli.
Questa ritirata fu terribile pei pirati. La flotta cominciò in breve ad infuriare con maggior lena del villaggio, battendo furiosamente in breccia contro le batterie più deboli scacciandone a viva forza gli artiglieri che si sentivano incapaci di far fronte a tanta pioggia di ferro.
Centinaia e centinaia di bombe cadevano fitte fitte dinanzi ai terrapieni che, sconquassati dalle terribili esplosioni che si succedevano senza posa, ruinavano nei fossati, schiantando con formidabili scrosci le palizzate, trascinando seco e gabbionate, e cannoni ed artiglieri, che venivano subito dopo fulminati da terribili scariche di moschetteria. Non meno danno faceva la mitraglia che le cannoniere scagliavano incessantemente.
Scrosciava maledettamente sulle opere di difesa frantumando gli alberi e sollevando i sassi e le pietre, si cacciava fischiando nelle feritoie, fulminando i pirati che invano cercavano di ripararsi da tanta grandine di ferro.
In meno di dieci minuti la prima linea di bastioni fu sfasciata. I fossati s'empirono di rottami, sei cannoni saltarono e tre delle più grosse spingarde dovettero essere abbandonate in mezzo a una decina di cadaveri. Un istante dopo i bastioni di destra non rispondevano che a rari intervalli e a gran fatica, e la seconda fila di trincee cominciava pur essa a ruinare sotto il crescente turbine di ferro che avventava furiosamente la flotta.
La Tigre della Malesia tuttavia non si smarrì. Egli fece drizzare tutti i cannoni su uno dei due piroscafi che maggiormente arrecava danno alle trincee, il quale fu costretto a rispondere alle batterie di sinistra e del centro, lasciando così tempo agli artiglieri di quello di destra di ritirarsi dietro la seconda linea di fortificazione trasportando seco i cannoni.
Per mezz'ora il legno dovette sostenere quel terribile cannoneggiamento, che gli spezzava le murate, che gli frantumava alberi e pennoni, che lo forava in tutti i versi e che gli struggeva l'equipaggio.
- Fuoco su di lui! Fuoco! - urlava incessantemente la Tigre. - Sventratelo, spezzategli le ali, fatemelo saltare!
Il legno tutto sconquassato, tutto sdruscito, quasi senza uomini, senza cannoni, senza alberi, cominciò ad affondare. Una bomba di otto pollici, del peso di 21 chilogrammi che fornisce voluminose scheggie, lanciatagli da Giro Batoë con uno dei mortai, determinò la sua sorte. Una falla enorme s'aprì a prua, per la quale si precipitarono in massa le acque. L'attenzione degli altri legni si volse allora a salvar i naufraghi. Numerose imbarcazioni solcarono i flutti, ma pochi scamparono al fuoco terribile dei pirati che per così dire le polverizzava. In dieci minuti il piroscafo affondò seco trascinando gli uomini che ancor rimanevano in coperta proprio nel momento che uno dei prahos saltava per lo scoppio della Santa Barbara. Il fuoco per poco fu sospeso dalla flotta, le cui sorti volgevano alla peggio, ma in breve ricominciò e con maggior furia di prima. Le batterie di destra furono nuovamente ridotte al silenzio e i pirati per la seconda volta dovettero sgombrarle e ritirarsi dietro i secondi terrapieni, e quindi costretti a ripiegarsi dietro ai terzi di già mezzo rovinati.
Le batterie del centro, oppresse alla loro volta, distrutte sotto le bombe che si succedevano senza intervalli, ne seguirono l'esempio e non rimase che la trincea di sinistra, la più forte e la meglio armata, esposta al tiro di tutti i legni.
Sandokan cercava rianimare i combattenti colla sua presenza, puntando egli stesso i pezzi o facendo fuoco alla testa dei più abili tiragliatori, ma doveva pur egli convincersi che il momento della ritirata non sarebbe stato lontano. Ruggiva in cuore all'idea di dover perdere la sua isola, ma forse in fondo benediva la flotta che poneva fine alla pirateria.
Non era più la Tigre, lo sapeva, non era più il medesimo uomo di un tempo ora che amava.
Si avrebbe detto che, pur facendo prodigi di valore, dando esempio ai deboli e ai forti, mancasse di quella pazza temerità per cui andava tanto famoso.
- È il destino - mormorò egli, tergendo la fronte madida di sudore nel mentre che Giro Batoë rotolava al suo fianco col petto fracassato da una palla di cannone. - Lo sapeva, era destino!
Una delle polveriere del villaggio saltò pochi minuti dopo con terribile violenza. Sei indigeni e tre pirati, fra i quali Balamê, furono seppelliti sotto le macerie, e dalla scossa i terrapieni franarono, mentre i legni infuriavano con maggiore energia. La prima trincea si dovette abbandonare assieme a mezze artiglierie, ridotte inservibili, e a ben venti cadaveri.
Fu tentato l'ultimo sforzo per arrestare il nemico che si avanzava verso la costa. Si diresse ancora una volta il fuoco contro l'altro piroscafo, cercando di mandarlo a picco, ma non vi riuscirono. I cannoni erano troppo pochi per pensare a lui solo e le difese troppo ruinanti per sopportare il fuoco degli altri legni.
La seconda trincea saltò assieme alla seconda barriera che seppellì il Nano con una decina dei suoi uomini.
- Sandokan! - esclamò Yanez, precipitandosi verso di lui col volto annerito dalla polvere. - La posizione è insostenibile.
- Lo so - rispose il pirata, dando fuoco a un mortaio colla speranza di frantumare le ruote del piroscafo.
- Se noi rimaniamo ancora, nessun di noi sfuggirà alle loro bombe. Sandokan emise una bestemmia. Gettò uno sguardo disperato sui superstiti ridotti a soli ventisei pirati, e una ventina d'indigeni, che continuavano freddamente il loro dovere. Contò le artiglierie che rimanevano: non erano che sette pezzi.
La flotta andava avvicinandosi formando un semi-cerchio attorno le cadenti batterie opprimendoli sotto un turbine di ferro, mentre le truppe da sbarco si affollavano nelle imbarcazioni galleggianti ai fianchi dei legni. Uno dei prahos aveva di già gettato l'âncora presso le prime scogliere e i suoi uomini si apparecchiavano a prendere posizione.
La partita era irreparabilmente perduta. Fra pochi momenti gli assalitori, venti volte forse più numerosi, doveano sbarcare e attaccare alla baionetta le cadenti batterie e sterminare gli ultimi pirati, affranti, feriti, decimati.
Per un istante Sandokan ebbe la pazza idea di voler contrastare lo sbarco all'arma bianca con un pugno di prodi, ma fu un lampo. Le ultime batterie ruinarono sotto i piedi dei difensori che rimasero allo scoperto esposti al fuoco della flotta. Un ritardo di pochi istanti poteva diventare funesto; le prime scariche di mitraglia cominciavano a decimare quei prodi che ancor non sapevano decidersi ad abbandonare quei luoghi. Bisognava ritirarsi.
E Sandokan, sacrificando l'isola, la sua potenza e persino il suo nome, anziché sacrificare gli ultimi avanzi dei suoi tigrotti, raccogliendo tutte le sue forze per pronunciare quella parola giammai uscita dalle labbra della Tigre, con una voce che pareva il ruggito di una belva, comandò la ritirata. Nel momento che i tigrotti colle lagrime agli occhi, il cuore straziato evacuavano le fumanti batterie, salvandosi nei boschi, il nemico sbarcava massacrando gli agonizzanti a colpi di baionetta.
La stella di Mompracem s'era estinta per sempre!...


Sul mare

La ritirata, dolorosa parola per ogni coraggioso e doppiamente dolorosa per quei pirati che mai l'avevano udita pronunciare in tanti e tanti anni di battaglia, effettuavasi ordinata e rapidamente.
Era pure straziante per quegli uomini l'abbandonare quei cari luoghi testimoni della loro potenza e grandezza; era atroce per quegli eroi evacuare quell'isola che avevano chiamato propria ed evacuarla lasciandola in mano al nemico, eppur non potevano far altrimenti.
Spenti i più prodi campioni della pirateria, arsi i loro legni, arse le loro capanne, le loro batterie, abbattuta la loro bandiera, vinta e domata la terribile Tigre della Malesia, senza forze e senza mezzi, non rimaneva altro che emigrare ed abbandonare quelle temute coste prima che il nemico avesse a spegnere totalmente i superstiti.
Ridotti a un drappello di soli ventidue uomini, la maggior parte feriti, ma ancora validi, ancora assetati di sangue, ancora anelanti di vendetta, colla morte nel cuore, colle lagrime agli occhi, essi continuavano la ritirata senza scambiar una parola seguendo la Tigre che marciava alla loro testa ai fianchi di Yanez.
Quest'uomo veramente strano e terribile che si faceva chiamare Tigre della Malesia, quantunque sconfitto, quantunque avesse perduto la sua isola che egli chiamava carne delle proprie membra, quantunque avesse perduto il suo mare che chiamava sangue delle sue vene, quantunque in un sol colpo avesse perduto e la sua potenza, e la sua gloria e fors'anco il suo nome un dì cotanto formidabile, conservava in quella ritirata una calma veramente ammirabile. Si avrebbe quasi detto che egli, che ci teneva tanto un tempo alla sua fama, fosse quasi quasi contento, e chi sa, forse in fondo in fondo poteva essere vero.
Era da tanto tempo che aveva preveduto la decadenza della sua isola, che vi si era a poco a poco rassegnato. Del resto sentivasi egli stesso impotente di lottare con quelli di Labuan ormai troppo forti, e sentiva di non poter essere più la Tigre di una volta dalle pazze imprese, ora che aveva dietro di sé una giovanetta che amava alla follia, ora che era stato affascinato dalla Perla di Labuan.
Nondimeno era inquieto e sul suo volto si scorgevano traccie evidenti di una commozione forte che non riusciva interamente a nascondere.
- Venite, tigrotti - diss'egli nel momento che questi si arrestavano quasi saltasse loro in mente di ritornare ai loro distrutti lari. - Chi rimane su questa terra che non è più nostra, è morto. A che adunque arrestarsi, a che adunque sperare, quando il nostro villaggio e i nostri bastioni non sono più là a porgerci un rifugio, quando i cannoni sono diventati muti, quando i prahos furono infranti, quando le nostre armi sono spezzate?
"Volete farvi assassinare dalle baionette dei vigliacchi che ci assalirono cento volte più numerosi di noi? Volete che essi abbiano a mietere gli ultimi fiori di Mompracem che forse un dì potranno rifiorire? Venite, perdio, venite! Abbiamo ancora da pugnare e chi sa, forse da pugnare terribilmente. Si udivano in lontananza le grida dei vincitori che davano il sacco al villaggio, che bruciava assieme alle batterie. Sandokan raddoppiò il passo, traendosi dietro con un gesto energico i suoi uomini e si diresse verso un torrente disseccato sulle cui rive si aggirava Inioko.
- Marianna dov'è? - domandò il pirata cercandola collo sguardo.
- Sono laggiù tutte e due, vi aspettano ansiosamente - rispose Inioko. - E che ne fu?... Abbiamo noi vinto, capitano?
Sandokan non rispose che crollando ripetutamente il capo, poi attraversato il letto del torrente, si diresse rapidamente verso le due donne che gli movevano incontro. La giovanetta nel vederlo gettò un grido di gioia; il pirata l'accolse fra le sue braccia senza dir verbo e la strinse contro il suo petto. Ella, compresa di ciò che era successo al villaggio, indovinò la rotta.
- Povero Sandokan, poveri pirati! - esclamò ella con sincero cordoglio. - Io cominciava ad amare di già Mompracem.
- Sì, amor mio, siamo stati battuti - rispose Sandokan. - I forti hanno vinto schiacciando i prodi. La fatalità fu inesorabile.
- E ora che facciamo noi? - domandò Ladgia volgendosi verso il Portoghese.
- Si emigra - rispose Yanez. - Sandokan, il nemico ci è alle spalle, non perdiamo minuti che sono preziosi.
I pirati giungevano l'un dietro l'altro conducendo i cavalli. Non mancava che salire in sella.
- Amici - disse Sandokan, volgendosi verso i suoi uomini. - Diamo un ultimo addio a questi luoghi e partiamo. Nessuno rimprovererà gli ultimi pirati di aver ceduto il campo senza averlo contrastato. È inutile rimanere, emigriamo finché la via è libera, cerchiamo salvarci prima che i vincitori abbiano ad assassinare fino all'ultimo i tigrotti di Mompracem. Coraggio miei poveri compagni. Voi siete stati testimoni dei miei sforzi per arrestare l'invasore; nessuno di voi potrà rimproverare la Tigre, non è vero?
- No, no - risposero in coro i pirati. - Non ti rimprovereranno mai!
- Lo sapeva io che i miei uomini erano ancora gli stessi dopo la sconfitta - disse Sandokan commosso. - Era scritto lassù che Mompracem dovesse cadere, che la Tigre finisse di ruggire, che i pirati scomparissero. Siamo stati vinti, ma non domati, ci hanno scacciati da questi luoghi che erano nostri, ma ci siamo ben difesi. Compagni! Gli è doloroso emigrare, finire la vostra gloriosa carriera in terra straniera, ma il destino l'ha voluto. Seguiamolo, espatriamo giacché non abbiamo più forze per lottare col prepotente nemico che ci ha vinti, la Tigre ne dà l'esempio, e voi lo seguirete. A quale scopo farsi assassinare quando ogni generoso sforzo riescirà inutile? Voi piangete, e io credete che non abbia il cuore che sanguini?
"In terra straniera avrete ancora forze sufficienti per ritornare pirati. Vi sono ancora delle isole nella Malesia per offrirvi rifugio. Andatevi, consolidatevi, create una nuova società con una nuova Tigre; chi sa? Forse un dì potrete ritornare a Mompracem e far tremare ancora i leoni di Labuan.
- Ma voi, ove andate? - domandarono i pirati che alle parole di Sandokan singhiozzavano.
- Io non sono più la Tigre - rispose amaramente Sandokan. - Non contate più su di me che appartengo corpo e anima all'avvenire. Vi guiderò finché vi sarà bisogno, vi difenderò coll'antico valore di cui andava orgoglioso, poi, quando non avrete più bisogno di me, vi scioglierò da ogni impegno. Non so più ruggire, non ho più il braccio armato, non saprei vivere su di un'altra isola come pirata. Ho bisogno di riposo, la mia carriera è finita.
Dei singhiozzi gli montavano alla gola, mentre i pirati e la giovanetta piangevano come fanciulli. Era pur commovente veder le lagrime solcare le brunite gote di quei prodi, e i singhiozzi sollevare quei petti di ferro. Lo stesso Portoghese, il filosofo, non sapeva rattener le lagrime e piangeva come un fanciullo accanto a Ladgia.
- Non piangete - continuò Sandokan. - Se gli Inglesi vedessero le lagrime solcar le gote degli eroici tigrotti di Mompracem, riderebbero, essi che tremavano dinanzi alla nostra potenza, essi che impallidivano dinanzi al nostro valore.
"Vi comprendo, amici miei, è atroce abbandonare e perdere ogni cosa ed essere stati per di più vinti. Ma chi sa, che un giorno guidati da un altro capo valente, non abbiate a ricambiare queste lagrime in fiume di sangue. Io allora non sarò più fra voi, ma...
Egli s'interruppe. Un nodo gli serrò la gola.
- Capitano! Capitano!... - esclamarono i pirati, circondandolo. - Perché non rimanete fra noi, voi, sì valoroso? Non siamo più adunque noi i figli della Tigre?
- Non tentatemi, amici, non lo posso, è impossibile, l'antica Tigre è condannata a morire lontana dalla sua isola e dal suo trono... Amici, non parliamone più, avrei ora a chiedere un favore ai miei tigrotti. Me lo accorderete voi, in memoria dei servigi che vi resi?
Vi rispose una voce sola:
- Parlate! Parlate! Il nostro sangue e le nostre vite son sempre vostre.
- Bene - disse Sandokan prendendo per mano Marianna e conducendola in mezzo ad essi. - Voi ieri l'avevate gridata regina di Mompracem: la sconfitta l'abbatté col suo trono. È d'uopo che essa abbia ad uscire dall'isola sana e salva. La difenderete voi?
- Sì! Sì! - urlarono i pirati sguainando le scimitarre e i kriss. - Viva lady Marianna! Viva la moglie della Tigre!
- Grazie, miei buoni amici - disse la giovanetta commossa. - Mi ricorderò di voi e di Mompracem fino all'ultimo respiro.
- Grazie, tigrotti - ripeté Sandokan, tendendo le mani verso di loro. - E ora, a cavallo, miei prodi, a cavallo! Bisogna abbandonare le coste prima che il nemico abbia a tagliarci la ritirata.
Era passato anche troppo tempo. Sandokan aiutò la giovanetta a salire a cavallo nel mentre che Yanez faceva altrettanto colla Dajacca e diede il segnale della partenza.
I cavalli spronati a sangue partirono alla carriera, seguendo un sentieruzzo aperto fra immense boscaglie che menava alle spiaggie occidentali. Sandokan apriva la via, allontanando i rami e recidendo colla scimitarra le liane che attraversavano il sentiero e dietro a lui veniva Marianna. Yanez, Ladgia e i pirati galoppavano in coda colle armi in pugno per essere pronti a qualsiasi attacco.
A mezzanotte essi giunsero in vista dei fuochi accesi nel villaggio degli indigeni, presso al quale dovevano trovarsi i tre prahos speditivi due giorni innanzi.
Ognuno nel vederli respirò.
- È il mare questo che mugge? - chiese la giovanetta a Sandokan.
- Sì, Marianna, è il mare - rispose il pirata sospirando. - Non avrai paura a seguirmi sul mare, non è vero, anima mia?
- No, non avrò paura quando tu verrai con me. Tu sei forte e basterai a difendermi contro ogni pericolo.
- Sì, Marianna, la mia scimitarra ti difenderà e il mio petto ti farà scudo, e spunterà le armi dei maledetti. Non ti toccheranno finché avrò una goccia di sangue nelle vene e un tigrotto sui prahos. Te lo giuro!
La giovanetta lo guardò con occhi lagrimosi.
Sandokan la comprese e avvicinando il suo cavallo a quello di lei:
- Non avranno né l'uno né l'altro. - Poi, cangiando tono: - ho mille risorse, che tutti ignorano. La Tigre non morrà mai.
Spronò un'ultima volta il suo cavallo e rizzandosi in sella mandò un lungo fischio che era un segnale. Due fischi simili vi risposero e i fuochi del villaggio si spensero subitamente.
- Orsù - gridò egli volgendosi verso coloro che lo seguivano. - La fortuna è ancora con noi: i prahos sono all'âncora.
I ventiquattro cavalieri entrarono alla carriera nel villaggio, schiamazzando.
Sandokan balzò d'arcione, aiutò Marianna a discendere e mosse assieme ai suoi compagni verso gli uomini dei prahos.
- Il nemico? - chiese brevemente egli gettando uno sguardo ai tre legni che sonnecchiavano in una piccola baia.
- Non fu veduto su queste coste - rispose uno dei marinai. - Ma... non si è forse mostrato dinanzi al villaggio, capitano?
- Sì, puoi ben comprendere l'esito della pugna - disse il pirata sordamente. - Vinto, la fatalità ci spinge di più a emigrare; la fatalità ci spinge ad abbandonare la nostra Mompracem. Fa armare i tuoi legni, bisogna affrettarsi.
Tenendo per mano Marianna, egli si spinse fino alla spiaggia e scrutò con un colpo d'occhio il mare sepolto fra le tenebre.
- Tu lo vedi, Marianna - disse il pirata dopo essersi assicurato che alcun lume brillava sul fosco orizzonte. - Noi abbandoneremo senza essere visti queste care coste un dì tanto potenti e or vinte e domani saremo lontani, fuori dai pericoli che ci minacciano oggi, tanto lontani da far perdere ai leoni, che hanno vinto le tigri e che agognano la loro regina, ogni speranza di raggiungerci. Io questa notte perderò la mia isola che ho tanto amato, il mio nome terror dei forti e del quale andava orgoglioso, tu perderai quel trono che sarebbe stato potente, tanto da schiacciare col suo peso Labuan e Borneo uniti, quella grandezza alla quale ti avevano innalzato i pirati di Mompracem. I miei uomini perderanno la Tigre e la speranza di ritornare un giorno a questi luoghi e rifiorire. Mi seguirai tu malgrado tante perdite dove io ti condurrò?
- Sì, Sandokan, io ti seguirò ove tu vorrai - rispose la giovanetta passandogli amorosamente le braccia attorno al collo. - Ti seguirò oggi, domani, sempre. Che importa se non rivedrò più né Labuan, né Mompracem? Che importa se io perdo quel trono che mi avevi dato, quando tu sei ancora mio? Non è forse tu che io amava sopra ogni cosa?
- Sì, lo so, Marianna - mormorò il pirata stringendola appassionatamente fra le braccia. - Vedi, tu non sai ciò che io perdo in questa notte maledetta, non potrai giammai comprendere i dolori che straziano il cuore di un pirata che si vede strappare la sua isola, vera carne delle sue membra, dopo di aver assistito all'assassinio di tanti prodi che chiamava suoi figli. Tu non indovini i timori che agitano la mia anima che era di ferro. Se non avessi te, io sarei capace di rimanere, di disputare palmo a palmo il terreno all'invasore, di seguire nella morte coloro che mi hanno preceduto, e non lo faccio perché non posso farlo, perché io voglio vivere per te, perché voglio difenderti contro i leoni che ti minacciano, e dissipare le inquietudini che mi agitano.
"Senti, Marianna, non ho mai avuto paura, e si direbbe che in questa notte, dopo la sconfitta, io ho paura!
- Non lo crederò, mio valoroso, tu sei ancora la Tigre. Essi hanno ancora paura di te, tremano.
- La Tigre! - esclamò il pirata con accento doloroso. - Essa è morta, Marianna, o se non lo è del tutto è moribonda; io lo sento, il mio braccio non possiede più l'antico vigore, l'anima non è più di ferro, il cuore è incatenato, il ruggito si è spento sotto i soffi della fatalità e sotto l'ardente alito di una fanciulla divina che amo. Io sento che non tornerò più a Mompracem, per ritornare a farla brillare, sento che sono morto.
"E sia, non mi lamenterò giammai che tu abbia incatenato la belva, che tu l'abbia domata; era scritto lassù che così dovesse accadere, che Sandokan non morrebbe sul mare né sulla sua isola, ma fra le braccia di una fanciulla. Il pirata sospirò, poi, cangiando bruscamente tono e discorso:
- Marianna - diss'egli, - partiamo. Partiamo prima che l'uragano che ci minaccia si scateni, prima che la Tigre nel momento supremo del sacrificio abbia a risvegliarsi, prima che i tigrotti abbiano tempo di pentirsene.
Il mare è libero, i prahos ci aspettano pronti a prendere il largo, il vento è propizio. Partiamo prima che l'alba dissipi le tenebre.
- Partiamo, Sandokan, e quando noi avremo varcato la crociera, su qual terra pianteremo il nido?
- Sulla terra che tu vorrai, amor mio, su di una terra ove la Perla di Labuan possa ritrovare i suoi boschi e i suoi fiori, senza rimpiangere la sua lontana patria. Tu sceglierai, io ti seguirò ovunque, purché il grido di Mompracem non lo possa udire mai più.
I prahos erano stati accostati alla spiaggia e avevano salpate le âncore e spiegate le enormi loro vele, che si gonfiavano di già sotto i soffi della tramontana. I pirati, cupi e taciturni, non aspettavano che il segnale dell'antico capo per imbarcarsi.
Sandokan, tenendo per mano la fanciulla, li raggiunse. Egli si arrestò in mezzo a essi e additò i tre prahos.
- Amici - diss'egli con voce che si sforzava di rendere calma, - il momento di partire è giunto. Un ultimo addio alla nostra isola, che tornerà ad addormentarsi sul mare come dormiva prima che noi vi piantassimo le nostre capanne, e poi prendiamo il largo. Il destino lo vuole.
Attraversò i suoi uomini con passo fermo, mentre i più vecchi singhiozzavano e i più giovani lagrimavano e salì risolutamente a bordo del prahos più grosso. Dieci dei più forti della banda lo seguirono. Il Portoghese con Ladgia con altrettanti pirati prese posto nel secondo prahos che portava tutti i tesori di Sandokan e Inioko cogli ultimi che rimanevano occupò il terzo, il minore dei tre e il meno armato, ma nondimeno capace di tener fronte a una cannoniera.
Il segnale venne dato un momento dopo, e i tre legni sotto il vento settentrionale, taciti e protetti dalle ombre della notte, presero il largo portando seco gli ultimi superstiti della formidabile banda di Mompracem. Sandokan, a fianco della giovanetta che appoggiava il capo sul suo petto, era in piedi a poppa, per vedere un'ultima volta quelle coste che non doveva riveder più mai. I suoi uomini gli facevano corona, cogli occhi fissi su quelle vette che a poco a poco si perdevano fra le tenebre, testimoni della passata grandezza dei pirati in quei mari. I più vecchi campioni della pirateria piangevano come fanciulli, tendendo le robuste braccia verso la loro isola con gesto disperato.
- Compagni! - disse Sandokan, alzando le braccia sopra di essi. - Diamo un ultimo addio a questi luoghi, e cerchiamo seppellire il passato sperando nell'avvenire, che una voce interna mi dice sarà ridente per entrambi. Oggi perdiamo l'isola, oggi perdiamo il mare, la nostra potenza, la nostra patria, domani forse la riconquisterete, facendo pagar cara l'audacia dei potenti che hanno schiacciato i deboli: i fiori che muoiono oggi, potranno rifiorire domani.
"Chi dice che non ritornerete a Mompracem, e che non abbiano a ritornare ancora i tempi della Tigre? Chi dice che oggi io fuggiasco, senza artigli e senza forza per ruggire, non abbia a guidarvi ancora di vittoria in vittoria? Chi sa, potrebbe forse venire un giorno che l'addormentato avesse svegliarsi e ritornare il pirata?
"Emigriamo oggi che siamo deboli, salviamoci dai colpi di un nemico senza pietà, e dimentichiamo il passato. Via queste lagrime che non sono degne di un pirata di Mompracem! Vedete, io non piango, eppur soffro egualmente la perdita del mio mare, della mia isola che amava sopra ogni cosa, dei miei compagni che formavano la mia potenza e che amava come fossero miei figli, e di più il nome che non udrò forse più mai!...
- Non ditelo, non ditelo! - esclamarono i pirati. - Oh! sì, lo udremo ancora. Non é vero che ritornerete fra noi? Non è vero che tornerete la terribile Tigre dei tempi passati?
La Tigre scosse il capo con gesto disperato.
- Non lo posso, ve lo dissi ancora, noti sono più libero, non ho più forze, non so più ruggire. Ho delle catene che mi legano e che non posso spezzare; ho paura che non ci rivedremo più mai. Poveri compagni! Poveri tigrotti di Mompracem!...
Il pirata trasse a sé Marianna, e spense un singhiozzo che salivagli alla gola in un bacio sulle sue labbra.
- Essa mi ha domato - diss'egli mostrandola ai pirati con gesto appassionato. - Sono suo!
Alzò il capo, e guardò il mare con inquietudine. Egli trasalì nello scorgere due punti luminosi che solcavano l'orizzonte.
Emise un ruggito soffocato: si volse verso i suoi uomini come una belva rabbiosa.
- Voi mi parlavate poco fa di vendetta, di sangue, di pugne - diss'egli con voce arrangolata, serrandosi fortemente al petto Marianna quasi che temesse che gli venisse strappata. - Ebbene, ecco laggiù due leoni, che aspettano il momento opportuno per gettarsi sulla Tigre e sui suoi figli. Su, su, tigrotti! Impugnate le armi! Io divento ancora una volta la Tigre della Malesia assetata di sangue e di vendetta!
Un urlo di furore s'alzò fra i suoi uomini, al quale risposero quelli degli altri prahos che avevano egualmente scorto il nemico, che s'avanzava tacitamente. Ogni braccio alzò la scimitarra, minacciando i due prepotenti che venivano a sfidarli persino sul mare.
- Anche sul mio mare, adunque, vieni a inseguirmi? - muggì Sandokan con terribile accento. - Oh! non mi avrai finché mi rimarrà la forza d'alzare il braccio e stringere un'arma, non mi vincerai per due volte di seguito. Maledetto da Dio! Su, tigrotti, su, tutti colle armi in pugno! La Tigre della Malesia vi guida e la vostra regina vi addita la vittoria!
Non ci voleva di più per animare i pirati, che ardevano di vendetta e che sognavano con un disperato combattimento di riacquistare la perduta Mompracem. Tuttavia non bisognava commettere pazzie e gettarsi perdutamente contro i due vascelli che potevano essere cinquanta volte più forti di loro. Sandokan lo comprese pel primo e s'accorse che una seconda pugna sarebbe stata più che pericolosa pei suoi uomini, prodi ma pochi, per sé e per Marianna. Dominando la smania di vendicarsi e l'ira che bollivagli in petto, anziché muovere incontro ai due vascelli ordinò di volgere la prua all'oriente.
- Compagni - diss'egli, intimando silenzio a coloro che chiamavano il nemico. - Prima di cimentarsi in un ultimo combattimento che potrebbe rinnovare la sconfitta di oggi, tentiamo d'ingannare coloro che c'inseguono. Quando suonerà il momento di dare l'abbordaggio o d'ingaggiare la battaglia, colla sicurezza di vincere, ne darò il segnale primo di tutti. Non compromettiamo inutilmente gli ultimi avanzi della pirateria, che potrebbero un giorno risorgere.
L'oscurità favoriva la fuga; nulla di meglio che effettuarla, finché rimaneva il tempo. I pirati, ubbidienti alle parole dell'antico capo, paventando una seconda sconfitta, si appigliarono al suo proposto partito.
I tre prahos che un momento prima veleggiavano al sud, virarono di bordo e senza essere stati scorti, si diedero alla fuga verso l'ovest lasciandosi alle spalle l'isola.
Il vento era anche propizio, non troppo forte per poter intraprendere una gara di celerità coi legni nemici che erano forniti di macchina, ma sufficiente per frapporre una rispettabile distanza prima che l'alba avesse a dissipare le tenebre e metterli allo scoperto. Sandokan sperò di poter isfuggire al nemico che non sospettava sicuramente la presenza dei prahos.
- Marianna - diss'egli, volgendosi verso la giovanetta pallida bensì ma fiduciosa al pari di lui. - Il nemico è là, ma non ci ha scorti; non temere di nulla, noi ti difenderemo fino all'estremo. Prima che i maledetti abbiano a porre la mano su di te per trascinarti ancora nella loro isola, bisognerà che mi abbiano ad uccidere.
- Non tremo, Sandokan, tu lo vedi - rispose la giovanetta che ad onta di ciò si sentiva assalita da funeste inquietudini. - Lo so che tu e i tuoi mi difenderanno, lo so che i pirati sono ancora forti. Io non ho paura come non ne ebbi ieri.
- Sì, non hai paura, io so che tu sei coraggiosa. Eppure... no, non ti avranno, io rispondo della tua difesa.
I tre prahos, a una distanza di cinquanta passi l'un dall'altro, continuavano la fuga passando a poche miglia dai due fanali che parevano avvicinarsi come eseguissero una perlustrazione in quel tratto di mare. Tutti i pirati, armati sino ai denti, caricati i cannoni, manovravano in silenzio sui ponti, senza perderli di vista, cercando indovinare la manovra senza dubbio un po' strana delle due navi. Si avrebbe detto che senza rumori, eccetto quelli delle macchine che rantolavano e le battute delle ruote che mordevano le acque, cercassero di avvicinarsi ai tre legni, che sfilavano come ombre confuse tra le tenebre, verso l'ovest.
- Che ci avessero di già scoperti? - mormorò Sandokan, che sentiva l'inquietudine di nuovo assalirlo.
- Ohe! - gridò d'un tratto una voce che fu conosciuta per quella del Portoghese. - Non vedete che ci danno la caccia?
I due legni nemici, un piroscafo e una cannoniera, quegli stessi che avevano preso parte al bombardamento, descrivendo un brusco angolo avevano cangiato via. Essi mossero arditamente quanto inaspettatamente verso i tre prahos lontani allora mezzo miglio; i loro camini eruttavano nubi di fumo dai riflessi rossastri e le ruote mordevano precipitosamente le acque.
- Ah! miserabili! - esclamò Sandokan mentre i pirati gettavano un urlo di furore correndo ai cannoni.
- Dio mio, io sono perduta! - mormorò la giovanetta appoggiandosi al braccio di Sandokan, che la sosteneva.
- Non ancora, non ancora! - rispose il pirata. - Marianna, raggiungi la tua cabina, e lascia a me la forza per ischiacciarli.
Un colpo di cannone partì dal piroscafo che giungeva a tutto vapore cercando separare i tre prahos. La palla fischiò alle orecchie di Sandokan, mentre una seconda palla partita dalla cannoniera che già cercava di abbordare il legno del Portoghese, smussava l'albero di maistra. Inioko aprì subito dopo il fuoco, imitato dagli artiglieri degli altri prahos.
- Nella cabina, anima mia! - esclamò Sandokan, commosso. - Bisogna che io sia completamente libero perché ritorni la Tigre della Malesia.
Afferrò fra le vigorose braccia la giovanetta e mentre che la mitraglia fischiava a lui d'intorno frantumando con orrendi scrosci gli attrezzi, si precipitò nella cabina. Marianna si aggrappò disperatamente al suo collo nel momento che pigliava lo slancio per risalire la scala.
- Sandokan! Sandokan! - esclamò ella con voce tremante. - Non lasciarmi così, non allontanarti dal mio fianco... Ah! Sandokan, ho paura... ho paura, ho sinistri presentimenti.
Il pirata se la staccò con dolce violenza.
- Non tremare, amor mio - le disse. - Lascia che io salga in coperta, lascia ch'io provi ancora una volta le emozioni che provavo quando ero Tigre, lascia che io oda ancora una volta il ruggito dei cannoni e il sibilo delle bombe e le urla dei morenti, che io veda ancora sangue e cadaveri. Bisogna che io ti difenda.
- Ah! Se tu sapessi quali sinistri timori mi assalgono! - mormorò la giovanetta. - Rimani presso di me e io ti difenderò dalle armi dei miei compatrioti. Sandokan! Sandokan!...
Il cannone tuonava furiosamente in coperta e si udivano le urla terribili dei combattenti e i gemiti strazianti dei feriti. Sandokan si svincolò dalla giovanetta e si scagliò come un forsennato verso la scala urlando:
- Sangue! Sangue! La Tigre della Malesia ha sete! Guai chi tocca mia moglie! Io la difendo!...
La cannoniera si batteva disperatamente contro il prahos del Portoghese che le faceva saltar i suoi uomini e che le frantumava le ruote, le murate e gli alberi, a meno di mezzo miglio di distanza. Il piroscafo assaliva invece con vantaggio il prahos di Sandokan e quello del Dajacco coprendoli di ferro, fracassando i loro fianchi, smontando le artiglierie e sventrando i marinai.
La comparsa della Tigre rianimò i pirati che si sentivano impotenti dinanzi a tanta pioggia di bombe e di mitraglia. Il terribile uomo si mise in persona a uno dei cannoni, urlando sempre ferocemente.
- Ho sete! Ho sete! Venite a prenderla se avete sangue nelle vene. La Tigre della Malesia difende la Perla di Labuan!
Ma, ad onta che le sue palle tempestassero il gran vascello con matematica precisione, le sorti volgevano alla peggio pei pirati.
La pioggia di ferro continuava a cadere più fitta che mai sdruscendo e rasando come pontoni i due poveri legni. Era da vedersi che fra pochi minuti tutto sarebbe stato finito. La Tigre della Malesia gettò un urlo disperato.
Egli fece imbarcare tutti gli uomini dell'altro prahos sul suo legno, poi traendo la scimitarra comandò risolutamente l'assalto.
- Su, miei prodi tigrotti - tuonò egli cercando dominare il crescente fracasso delle artiglierie. - All'abbordaggio! All'abbordaggio!
La disperazione centuplicava le sue forze come quelle dei compagni. Rispondendo coi due cannoni che rimanevano ai venti del piroscafo, i tredici pirati, manovrando ai remi, spinsero lo sdruscito legno sotto le tambure del vapore, assordando l'aria colle loro grida minacciando il nemico che non sostava un sol minuto dal mitragliarli per arrestarli.
- Non aver paura Marianna, io vengo! - urlò un'ultima volta Sandokan, mentre la giovanetta lo invocava.
Poi alla testa dei suoi uomini, intanto che il prahos del Portoghese più fortunato metteva la cannoniera fuor di combattimento, colla scimitarra in pugno e il kriss fra i denti, diede l'abbordaggio inerpicandosi sulle tambure, sciabolando i primi uomini che cercavano contrastare il passo. Egli si precipitò in coperta come un toro ferito.
- Sono la Tigre! Sono la Tigre! - urlò egli, facendo balzi da belva. - Guai chi mi tocca!
Dieci uomini lo seguivano con Inioko. Essi andarono a cozzare furiosamente contro i marinai, che correvano a loro incontro colle scuri alzate e si mescolarono assieme a loro, pugnalando i più vicini e sciabolando i più lontani.
Sandokan che si trovava fra i primi, sospinto dall'onda dei combattenti si trovò di fronte al comandante, che riconobbe subito.
- Dov'è Marianna? - chiese questi parando un colpo di scimitarra che sarebbe stato capace di fendere una rupe.
- Ah, sei tu, William! - urlò il pirata sprofondando il kriss nel ventre di un soldato che rotolò ai suoi piedi.
Fece un salto di tre metri sopra le armi del nemico, che l'incalzava, e piombò come una tigre sul baronetto che non ebbe il tempo di parare l'urto. La scimitarra gli spaccò il cranio e lo rovesciò fra i combattenti.
- Ammazza! Ammazza! - urlò il pirata, cercando aprirsi il varco fra i soldati a colpi di scimitarra.
Non vi riuscì. Sdrucciolò, cercò rialzarsi e tornò a sdrucciolare. Quel momento bastò. Ricevette una mazzata sul capo col rovescio di una scure e cadde mezzo morto fra i cadaveri che ingombravano il ponte.


I prigionieri

Quando tornò in sé, ancora stordito dal terribile colpo ricevuto in mezzo al cranio, la Tigre della Malesia si trovò incatenata nella stiva del vascello nella impossibilità di muoversi.
In sulle prime si credette in preda a un terribile sogno, ma il dolore che gli martoriava il capo, le carni straziate qua e là dalle punte delle baionette e delle sciabole, le vesti lacerate e le catene che gli serravano i polsi e i piedi, lo richiamarono in breve alla realtà.
Nondimeno non volle credersi prigioniero e si rizzò, scuotendo furiosamente le catene che mandarono un suono lugubre. Si guardò d'attorno con occhi smarriti, ma non vide che le umide pareti della stiva e botti accavallate le une sulle altre che gemevano sotto il rollio lento e misurato della nave. Cercò il suo fedele kriss e la sua scimitarra, ma non trovò né l'uno né l'altra. Egli batté la testa addolorata contro le botti, come volesse svegliarsi. Fu allora che s'accorse di essere proprio sveglio e di essere prigioniero nel fondo del vascello. Emise un ruggito d'ira, di dolore e di vergogna.
- Marianna! Marianna! - mugghiò lo sventurato pirata con accento disperato. - Dove sei tu, fanciulla divina, rispondi anima mia, dove sei?...
La Tigre della Malesia che non aveva mai saputo cosa fosse paura ebbe in quel terribile momento a provarla. Sentì smarrirsi la ragione, confondersi, si sentì alfine impotente; un eccesso di tremendo furore lo prese.
Si gettò a terra, contorcendosi disperatamente colla spuma alle labbra, gli occhi fuori dall'orbite. Ruggì, urlò, bestemmiò, maledì, invocò, supplicò.
- Marianna! Marianna! - ripeteva egli fuori di sé scuotendo i ferri e cercando di spezzarli. - Marianna! Dove sei tu, amor mio, anima mia, fanciulla adorata, mia felicità? Dove sei tu? Rispondi, rispondi al tuo Sandokan, alla sventurata Tigre della Malesia.
"Mompracem, mia isola, carne delle mie membra, mia patria, dove sei, che è avvenuto di te? Yanez, mio buon fratello, compagni, tigrotti miei, siete adunque tutti morti, proprio tutti? Oh! Non è possibile: non lo voglio credere... Io son pazzo!
Per dieci minuti, si rotolò per terra, empiendo la stiva delle sue urla disperate, poi si sollevò e cercò precipitarsi verso la scala che metteva capo al boccaporto, ma i ceppi lo fecero cadere sulle ginocchia. Mandò un gemito.
Tornò a guardarsi attorno con ispavento, col volto orribilmente contraffatto.
- Ma dove sono? - si chiese egli. - Che è successo dopo che caddi sul ponte del legno nemico?
"Che è accaduto di Marianna che abbandonai senza difesa sullo sdruscito e affondante prahos? È morta? È viva?... Che è avvenuto degli ultimi tigrotti di Mompracem! Sono io solo rimasto vivo fra tanti e per essere trascinato sul patibolo di Labuan?
"Ah! Ironia del destino!... Tutti morti! Morta la mia fidanzata, morto Yanez, morti i miei prodi, morto persino l'eroico Inioko? Fatalità, quanto sei terribile contro di me!
Egli s'arrestò di botto, sorpreso nell'udire una voce uscire dal vano lasciato fra due imbarcazioni rovesciate.
- Inioko! - diceva quella voce. - E chi dice che io son morto? Sandokan trasalì. Non era dunque solo in quella prigione?
Si rizzò, scuotendo le catene. Un analogo fragore rispose a poca distanza e la medesima voce di prima, riprese:
- E chi dice che io sia morto? Ho forse l'aspetto di un morto? Possibile che sia nel ventre di un vascello subissato?
- Inioko! - esclamò Sandokan che riconobbe la voce del bravo Dajacco. - Inioko!
Inioko colla testa fasciata, apparve fra le due imbarcazioni. Egli sbarrò tanto di occhi.
- Un altro morto! - diss'egli con profondo terrore. - Oh!... La Tigre della Malesia!... Capitano! Capitano!...
Il Dajacco vacillò come un ubbriaco, poi facendo salti da kanguro si precipitò verso di lui.
- Non è vero che siete morto, mio capitano? - esclamò egli, toccandolo. - La Tigre non può essere morta, era invulnerabile.
- No - rispose Sandokan curvandosi su di lui. - Non sono morto, la sola anima credo che abbia finito di vivere.
- Lo sapevo io che la Tigre l'avrei riveduta. Vi ho veduto cadere dopo di aver fatto macello di quelle canaglie, ma non potevano avervi ancora ucciso. Ah! mio capitano, io piango dalla gioia nel trovarvi qui vivo.
- Ah! tu mi hai visto cadere! Tu ti battevi ancora adunq
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