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Info sull'Opera
Autore:
Brunetto Latini
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Il Tesoretto ( dal verso 2427 al verso 2944 )

di Brunetto Latini

2427-2944

La Penetenza

Al fino amico caro,

a cui molto contraro

d'alegrezza e d'afanno

pare venuto ogn'anno:

io Burnetto Latino,

che nessun giorno fino

d'aver gioia e pena

(come Ventura mena

la rot' a falsa parte),

ti mando 'n queste carte

salute e 'ntero amore:

ch'i' non truovo migliore

amico che mi guidi,

né di cui più mi fidi

di dir le mie credenze,

ché troppo ben sentenze,

quando chero consiglio

intra 'l bene e 'l periglio.

Or m'è venuta cosa

ch'i' non poria nascosa

tener, ch'io non ti dica:

pur non ti sia fatica

d'udire infi·la fine,

amico mio, ch'afine

mie parole mondane

ch'io dissi ognora vane.

Per Dio merzé ti mova

la ragione, e la prova

che ciò che dire voglio

da buona parte acoglio.

Non sai tu che lo mondo,

si poria dir non mondo,

considerando quanto

ci ha no·mondezza e piant ?

Che truovi tu che vaglia?

Non vedi tu san' faglia

ch'ogne cosa terrena

porta peccato e pena,

né cosa ci ha sì crera

che non fallisca e pèra?

Or prendi un animale

più forte e che più vale:

dico che 'n poco punto

è disfatto e digiunto.

Ahi om, perché ti vante,

vecchio, mezzano e fante?

Di', che vai tu cercando?

Già non sai l'ora e quando

ven quella che ti porta,

quella che non comporta

oficio o dignitate:

ahi Deo, quante fïate

ne porta le corone

come basse persone!

Giulio Cesar maggiore,

lo primo imperadore,

già non campò di morte,

né Sanson lo più forte

non visse lungiamente;

Alesandro valente,

che conquistò lo mondo,

giace morto in fondo;

Assalon per bellezze,

Ettòr per arditezze,

Salamon per savere,

Attavian per avere

già non camparo un giorno

fora del suo ritorno.

Adunque, omo, che fai?

Già torne tutto in guai,

la mannaia non vedi

c'hai tuttora a li piedi.

Or guarda il mondo tutto:

foglia e fiore e frutto,

augel, bestia né pesce

di morte fuor non esce.

Dunque ben pe·ragione

provao Salamone

ch'ogne cosa mondana

è vanitate vana.

Amico, or movi guerra

e va' per ogne terra

e va' ventando il mare,

dona robe e mangiare,

guadagna argento ed oro,

amassa gran tesoro:

tutto questo che monta?

Ira, fatica ed onta

hai messo a l'aquistare,

poi non sai tanto fare

che non perde in un motto

te e l'aquisto tutto.

Ond' io, di ciò pensando

e fra me ragionando

quant' io aggio fallato

e come sono istato

omo reo peccatore,

sl ch'al mio Crëatore

non ebbi provedenza,

e nulla reverenza

portai a Santa Chiesa,

anzi l'ho pur offesa

di parole e di fatto,

ora mi tegno matto,

ch'i' veggio ed ho saputo

ch'i' son dal mal perduto.

E poi ch'io veggio e sento

ch'io vado a perdimento,

seria ben for di senso

s'i' non proveggio e penso

come per lo ben campi,

che lo mal non m'avampi.

Così tutto pensoso

un giorno di nascoso

entrai in Mompuslieri,

e con questi pensieri

me n'andai a li frati,

e tutti mie' peccati

contai di motto in motto.

Ahi lasso, che corrotto

feci quand' ebbi inteso

com' io era compreso

di smisurati mali

oltre che criminali!

ch'io pensava tal cosa

che non fosse gravosa,

ched è peccato forte

più quasi che di morte.

Ond' io tutto a scoverto

al frate mi converto

che m'ha penitenziato;

e poi ch'i' son mutato,

ragion è che tu muti,

ché sai che sén tenuti

un poco mondanetti:

però vo' che t'afretti

di gire ai frati santi.

Ma pènsati davanti

se per modo d'orgoglio

enfiaste unque lo scoglio,

sì che 'l tuo Crëatore

non amassi di core

e non fossi ubidenti

a' Suoi comandamenti;

e se ti se' vantato

di ciò c'hai operato

in bene o in follia;

o per ipocresia

mostrave di ben fare

quando volei fallare;

o se tra le persone

vai movendo tencione

di fatto o di minacce,

tanto ch'oltraggio facce;

o se t'insuperbisti

o in greco salisti

per caldo di ricchezza

o per tua gentilezza

o per grandi parenti

o perché da le genti

ti par esser laudato;

o se ti se' sforzato

di parer per le vie

miglior che tu non sie;

o s'hai tenuto a schifo

la gente, o torto 'l grifo,

per tua grammatesia;

o se per leggiadria

ti se' solo seduto

quando non hai veduto

compagno che ti piaccia;

o s'hai mostrato faccia

crucciata per superba,

e la parola acerba,

vedendo altrui fallare,

e te stesso peccare;

o se ti se' vantato

o detto in alcun lato

d'aver ciò che non hai,

o saver che non sai.

Amico, e ben ti membra

se tu per belle membra

o per bel vestimento

hai preso orgogliamento:

queste cose contate

son di superbia nate,

di cui il savio dice

ched è capo e radice

del male e del peccato.

E 'l frate m'ha contato,

sed io ben mi ramento,

che per orgogliamento

fallio l'angel matto

ed Eva ruppe 'l patto,

e la morte d'Abèl

e la torre Babel

e la guerra di Troia:

così convien che muoia

superbia per soperchio

che spezza ogne coperchio.

Amico, or ti provedi,

ché tu conosci e vedi

che d'orgogliose pruove

invidia nasce e muove,

ch'è fuoco de la mente.

Vedi se se' dolente

dell'altrui beninanza;

o s'avesti allegranza

dell'altrui turbamento;

o per tuo trattamento

hai ordinata cosa

che sia altrui gravosa;

e se sotto mantello

hai orlato il cappello

ad alcun tu' vicino

per metterlo al dichino;

o se lo 'ncolpi a torto;

o se tu dài conforto

di male a' suo' guerreri,

e quando se' dirieri

ne parle laido male.

Ben mostri che ti cale

di metterlo in mal nome,

ma tu non pensi come

lo spregio ch'è levato

sì possa esser lavato,

né pur che mai s'amorti

lo blasmo, chi chi 'l porti:

ché tale il mal dire ode

che poi no·llo disode.

Invidia è gran peccato;

e ho scritto trovato

che prima coce e dole

a colui che la vuole.

E certo, chi ben mira,

d'invidia nasce l'ira:

ché, quando tu non puoi

diservire a colui

né metterlo al disotto,

lo cor s'imbrascia tutto

d'ira e di maltalento,

e tutto 'l pensamento

si gira di mal fare

e di villan parlare,

sì che batte e percuote

e fa 'l peggio che puote.

Perciò, amico, penza

se 'n tanta malvoglienza

ver' Cristo ti crucciasti,

o se Lo biastimiasti,

o se battesti padre

od afendesti a madre

o cherico sagrato

o segnore o parlato:

cui l'ira dà di piglio,

perde senno e consiglio.

In ira nasce e posa

accidia nighittosa:

ché, chi non puote in fretta

fornir la sua vendetta

néd afender cui vole,

l'odio fa come suole,

che sempre monta e cresce

né di mente non li esce;

ed è 'n tanto tormento

che non ha pensamento

di neun ben che sia,

ma tanto si disvia

che non sa megliorare

né già ben cominciare;

ma croio e neghittoso

e ver' Dio grorïoso.

Questi non va a messa,

né sa qual che si' essa,

né dicer paternostro

in chiesa né nel chiostro.

Così per mal' usanza

si gitta in disperanza

del peccato c'ha fatto,

ed è sì stolto e matto

che di suo mal non crede

trovare in Dio merzede;

o per falsa cagione

apiglia presenzione,

che 'l mette in mala via

di non creder che sia

per ben né per peccato

omo salv' o dannato;

e dice a tutte l'ore

che già giusto Segnore

no·ll'avrebbe crëato

perch' e' fosse dannato

ed un altro prosciolto.

Questi si scosta molto

da la verace fede:

forse che non s'avede

che 'l Misericordioso,

tutto che sia pietoso,

sentenza per giustizia

intra 'l bene e le vizia,

e dà merito e pene

secondo che s'aviene?

Or pens', amico mio,

se tu al vero Dio

rendesti grazia o grato

del ben che t'ha donato:

ché troppo pecca forte

ed è degno di morte

chi non conosce 'l bene

di là donde li viene.

E guarda s'hai speranza

di trovar perdonanza.

Hai alcun mal commesso?

Se non ne se' confesso,

peccato hai malamente

ver' l'alto Dio potente.

Di negghienza m'avisa

che nasce covitisa:

ché, quand' om per negghienza

non si trova potenza

di fornir sua dispensa,

immantenente pensa

come potesse avere

sì de l'altrui avere

che fornisca suo porto

a diritto ed a torto.

Ma colui c'ha divizia

sì cade in avarizia,

ché l'avere non spende

e già l'altrui non rende,

anz' ha paura forte

ch'anzi che vegna a morte

l'aver gli vegna meno,

e pu·ristringe freno.

Così rapisce e fura,

e dà mala misura

e peso frodolente

e novero fallente;

e non teme peccato

d'anstar suo mercato

né di cometter frode,

anzi 'l si tene i·llode;

di nasconderlo sòle,

e per bianche parole

inganna altrui sovente,

e molto largamente

promette di donare

quando no'l crede fare.

E un altro per impiezza

a la zara s'avezza

e giuoca con inganno,

e per far l'altrui danno

sovente pigna 'l dado,

e non vi guarda guado;

e ben presta a unzino

e mette mal fiorino;

e se perdesse un poco,

ben udiresti loco

biastemiare Dio e' santi

e que' che son davanti.

E un altr' è, che non cura

di Dio e di Natura,

sì doventa usoriere

e in molte maniere

ravolge suo' danari,

che li son molto cari;

non guarda dìe né festa,

né per pasqua non resta,

e non par che li 'ncresca,

pur che moneta cresca.

Altro per semonia

si getta in mala via

e Dio e' santi afende

e vende le profende

e' santi sagramenti,

e mette 'nfra le genti

esempro di malfare;

ma questo lascio stare,

ché tocca a ta' persone,

che non è mia ragione

di dirne lungiamente.

Ma dico apertamente

che l'om ch'è troppo scarso

credo c'ha 'l cor tutt' arso,

ché 'n puovere persone

e 'n on che si' in pregione

non ha nulla pietade:

tutto in inferno cade.

Per iscarsezza sola

vien peccato di gola,

ch'om chiama ghiottornia:

ché, quando l'om si svia

sì che monti i·rrichezza,

la gola sì s'avezza

a le dolce vivande

e far cocine grande

e mangiare anzi l'ora.

E molto ben divora

chi mangia più sovente

che non fa l'altra gente;

e talor mangia tanto

che pur da qualche canto

li duole corpo e fianco,

e stanne lasso e stanco;

e inebrïa di vino,

sì ch'ogne suo vicino

se ne ride d'intorno

e mettelo in iscorno:

ben è tenuto bacco

chi fa del corpo sacco

e mette tanto in epa

che talora ne crepa.

Certo per ghiottornia

s'aparecchia la via

in commetter lusura:

chi mangia a dismisura,

la lussura s'acende,

sì ch'altro non intende

se non a quel peccato,

e cerca d'ogne lato

come possa compiére

quel suo laido volere.

E vecchio che s'impaccia

di così laida taccia,

fa ben doppio peccato

ed è troppo blasmato.

Ben è gran vituperio

commettere avolterio

con donne o con donzelle,

quanto che paian belle;

ma chi 'l fa con parente,

pecca più agramente.

Ma tra questi peccati

son vie più condannati

que' che son soddomiti:

deh, come son periti

que' che contra natura

brigan cotal lusura!

Or vedi, caro amico,

e 'ntende ciò ch'i' dico:

vedi quanti peccati

io t'aggio nominati,

e tutti son mortali;

e sai che ci ha di tali

che ne curiamo poco.

Vedi che non è gioco

di cadere in peccato:

e però da buon lato

consiglio che ti guardi

che 'l mondo non t'imbardi.

Ora a Dio t'acomando,

ch'io non so l'or' né quando

ti debbia ritrovare:

ch'io credo pur andare

la via ch'io m'era messo;

ché ciò che m'e promesso

di veder le sett' arti

ed altre molte parti,

io le vo' pur vedere,

imparar e sapere;

ché, poi che del peccato

mi son penitenzato,

e sonne ben confesso

e prosciolto e dimesso,

io metto poca cura

d'andar a la Ventura.



Così un dì di festa

tornai a la foresta,

e tanto cavalcai

che io mi ritrovai

una diman per tempo

in sul monte d'Olempo,

di sopra in su la cima.

E qui lascio la rima

per dir più chiaramente

ciò ch'i' vidi presente:

ch'io vidi tutto 'l mondo,

sì com'egli è ritondo,

e tutta terra e mare,

e 'l fuoco sopra l'ãre;

ciò son quattro aulimenti,

che son sostenimenti

di tutte crëature

secondo lor nature.

Or mi volsi da canto,

e vidi un bianco manto

così da la sinestra

dopp' una gran ginestra;

e io guatai più fiso,

e vidi un bianco viso

con una barba grande

che sul petto si spande.

Ond'io m'asicurai,

e 'nanti lui andai

e feci mio saluto

e fui ben ricevuto;

ond'io presi baldanza,

e con dolce contanza

lo domandai del nome,

chi elli era, e come

si stava sì soletto

sanza niuno ricetto.

E tanto 'l domandai

che nel suo dir trovai

che là dove fu nato

fu Tolomeo chiamato,

mastro di storlomia

e di fisolofia;

ed è a Dio piaciuto

che sia tanto vivuto,

qual che sia la cagione.

E io 'l misi a ragione

di que' quattro aulimenti

e di lor fondamenti,

e come son formati

e insieme legati.

E ei con belle risa

rispuose in questa guisa.

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