|
Opere pubblicate: 19994
|
Info sull'Opera
Al valente segnore
di cui non so migliore sulla terra trovare: ché non avete pare né 'n pace né in guerra; sì ch'a voi tutta terra che 'l sole gira il giorno e 'l mar batte d'intorno san' faglia si convene, ponendo mente al bene che fate per usaggio, ed a l'alto legnaggio donde voi sete nato; e poi da l'altro lato potén tanto vedere in voi senno e savere a ogne condizione, un altro Salamone pare in voi rivenuto; e bene avén veduto in duro convenente, ove ogn'altro semente, che voi pur migliorate e tuttora afinate; il vostro cuor valente poggia sì altamente in ogne benananza che tutta la sembianza d'Alesandro tenete, ché per neente avete terra, oro ed argento; sì alto intendimento avete d'ogne canto, che voi corona e manto portate di franchezza e di fina prodezza, sì ch'Achilès lo prode, ch'aquistò tante lode, e 'l buono Ettòr troiano, Lancelotto e Tristano non valse me' di voe, quando bisogno fue; e poi, quando venite che voi parole dite o 'n consiglio o 'n aringa, par ch'aggiate la lingua del buon Tulio romano che fu in dir sovrano: sì buon cominciamento e mezzo e finimento sapete ognora fare, e parole acordare secondo la matera, ciascuna in sua manera; apresso tutta fiata avete acompagnata l'adorna costumanza, che 'n voi fa per usanza sì ricco portamento e sì bel reggimento ch'avanzate a ragione e Senica e Catone; e posso dire insomma che 'n voi, segnor, s'asomma e compie ogne bontate, e 'n voi solo asembiate son sì compiutamente che non falla neente, se non com' auro fino: io Burnetto Latino, che vostro in ogne guisa mi son sanza divisa, a voi mi racomando. Poi vi presento e mando questo ricco Tesoro, che vale argento ed oro: sì ch'io non ho trovato omo di carne nato che sia degno d'avere, né quasi di vedere, lo scritto ch'io vi mostro i·llettere d'inchiostro. Ad ogn'altro lo nego, ed a voi faccio priego che lo tegnate caro, e che ne siate avaro: ch'i' ho visto sovente viltenere a la gente molto valente cose; e pietre prezïose son già cadute i·lloco che son grandite poco. Ben conosco che 'l bene assai val men, chi 'l tene del tutto in sé celato, che quel ch'è palesato, sì come la candela luce men, chi la cela. Ma i' ho già trovato in prosa ed in rimato cose di grande assetto, e poi per gran sagretto l'ho date a caro amico: poi, con dolor lo dico, lu' vidi in man d'i fanti, e rasemprati tanti che si ruppe la bolla e rimase per nulla. S'aven così di questo, si dico che sia pesto, e di carta in quaderno sia gittato in inferno. Lo Tesoro comenza. Al tempo che Fiorenza froria, e fece frutto, sì ch'ell'era del tutto la donna di Toscana (ancora che lontana ne fosse l'una parte, rimossa in altra parte, quella d'i ghibellini, per guerra d'i vicini), esso Comune saggio mi fece suo messaggio all'alto re di Spagna, ch'or è re de la Magna e la corona atende, se Dio no·llil contende: ché già sotto la luna non si truova persona che, per gentil legnaggio né per altro barnaggio, tanto degno ne fosse com' esto re Nanfosse. E io presi campagna e andai in Ispagna e feci l'ambasciata che mi fue ordinata; e poi sanza soggiorno ripresi mio ritorno, tanto che nel paese di terra navarrese, venendo per la calle del pian di Runcisvalle, incontrai uno scolaio su 'n un muletto vaio, che venia da Bologna, e sanza dir menzogna molt' era savio e prode: ma lascio star le lode, che sarebbono assai. Io lo pur dimandai novelle di Toscana in dolce lingua e piana; ed e' cortesemente mi disee immantenente che guelfi di Firenza per mala provedenza e per forza di guerra eran fuor de la terra, e 'l dannaggio era forte di pregioni e di morte. Ed io, ponendo cura, tornai a la natura ch'audivi dir che tene ogn'om ch'al mondo vene: nasce prim[er]amente al padre e a' parenti, e poi al suo Comuno; ond' io non so nessuno ch'io volesse vedere la mia cittade avere del tutto a la sua guisa, né che fosse in divisa; ma tutti per comune tirassero una fune di pace e di benfare, ché già non può scampare terra rotta di parte. Certo lo cor mi parte di cotanto dolore, pensando il grande onore e la ricca potenza che suole aver Fiorenza quasi nel mondo tutto; e io, in tal corrotto pensando a capo chino, perdei il gran cammino, e tenni a la traversa d'una selva diversa. Ma tornando a la mente, mi volsi e posi mente intorno a la montagna; e vidi turba magna di diversi animali, che non so ben dir quali: ma omini e moglieri, bestie, serpent' e fiere, e pesci a grandi schiere, e di molte maniere ucelli voladori, ed erbi e frutti e fiori, e pietre e margarite che son molto gradite, e altre cose tante che null'omo parlante le porria nominare né 'n parte divisare. Ma tanto ne so dire: ch'io le vidi ubidire, finire e cominciare, morire e 'ngenerare e prender lor natura, sì come una figura ch'i vidi, comandava. Ed ella mi sembrava come fosse incarnata: talora isfigurata; talor toccava il cielo, sì che parea su' velo, e talor lo mutava, e talor lo turbava (al suo comandamento movëa il fermamento); e talor si spandea, sì che 'l mondo parea tutto nelle sue braccia; or le ride la faccia, un'ora cruccia e duole, poi torna come sòle. E io, ponendo mente a l'alto convenente e a la gran potenza ch'avea, e la licenza, uscìo de·rreo pensiero ch'io avëa primero, e fe' proponimento di fare un ardimento per gire in sua presenza con degna reverenza, in guisa ch'io vedere la potessi, e savere certanza di suo stato. E poi ch'i' l'ei pensato, n'andai davanti lei e drizzai gli occhi miei a mirar suo corsaggio. E tanto vi diraggio, che troppo era gran festa li capel de la testa, si ch'io credea che 'l crino fosse d'un oro fino partito sanza trezze; e l'altre gran bellezze ch'al volto son congiunte sotto la bianca fronte, li belli occhi e le ciglia e le labbra vermiglia e lo naso afilato e lo dente argentato, la gola biancicante e l'altre biltà tante composte ed asettate e 'n su' loco ordinate, lascio che no·lle dica, né certo per fatica né per altra paura: ma lingua né scrittura non seria soficente a dir compiutamente le bellezze ch'avea, né quant' ella potea in aria e in terra e in mare e 'n fare e in disfare e 'n generar di nuovo, o di congetto o d'ovo o d'altra incomincianza, ciascuna in sua sembianza. E vidi in sua fattura ched ogne creatura ch'avea cominciamento, venï' a finimento. Ma puoi ch'ella mi vide, la sua cera che ride inver' di me si volse, e puoi a sé m'acolse molto covertamente, e disse immantenente: "Io sono la Natura, e sono una fattura de lo sovran Fattore. Elli è mio creatore: io son da Lui creata e fui incominciata; ma la Sua gran possanza fue sanza comincianza. E' non fina né more; ma tutto mio labore, quanto che io l'alumi, convien che si consumi. Esso è onipotente; ma io non pos' neente se non quanto concede. Esso tanto provede e è in ogne lato e sa ciò ch'è passato e 'l futuro e 'l presente; ma io non son saccente se non di quel che vuole: mostrami, come suole, quello che vuol ch'i' faccia e che vol ch'io disfaccia, ond'io son Sua ovrera di ciò ch'Esso m'impera. Così in terra e in aria m'ha fatta sua vicaria: Esso dispose il mondo, e io poscia secondo lo Suo comandamento lo guido a Suo talento. A te dico, che m'odi, che quattro so·lli modi che Colui che governa lo secolo in eterna, mise ['n] operamento a lo componimento di tutte quante cose son, palese e nascose. L'una, ch'eternalmente fue in divina mente immagine e figura di tutta Sua fattura; e fue questa sembianza lo mondo in somiglianza. Di poi, al Suo parvente sì creò di neente una grossa matera, che non avea manera né figura né forma, ma sì fu di tal norma, che ne potea ritrare ciò che volea formare. Poi, lo Suo intendimento mettendo a compimento, sì lo produsse in fatto; ma non fece sì ratto, né non ci fu sì pronto, ch'Elli in un solo punto lo volessi compiére, com' Elli avea il podere: ma sei giorni durao, il settimo posao. Apresso il quarto modo è questo ond' io godo, ch'ad ogne crëatura dispuose per misura secondo il convenente suo corso e sua semente; e a questa quarta parte ha loco la mi' arte, sì che cosa che sia non ha nulla balìa di far né più né meno se non a questo freno. Ben dico veramente che Dio onnipotente, Quello ch'è capo e fine, per gran forze divine pò in ogne figura alterar la natura e far Suo movimento di tutto ordinamento: sì come déi savere, quando degnò venire la Maestà sovrana a prender carne umana nella Virgo Maria, che contra l'arte mia fu 'l suo ingeneramento e lo Suo nascimento, ché davanti e da puoi, sì come savén noi, fue netta e casta tutta, vergine non corrotta. Poi volse Idio morire per voi gente guerire e per vostro soccorso; allor tutto mio corso mutò per tutto 'l mondo dal cielo infi·l profondo, ché 'l sole iscurao, la terra termentao: tutto questo avenia chè 'l mio Segnor patia. E perciò che 'l me' dire io lo voglio ischiarire, sì ch'io non dica motto che tu non sappie 'n tutto la verace ragione e la condizïone, farò mio detto piano, che pur un solo grano non sia che tu non sacci: ma vo' che tanto facci, che lo mio dire aprendi, sì che tutto lo 'ntendi; e s'io parlassi iscuro, ben ti faccio sicuro di dicerlo in aperto, sì che ne sie ben certo. Ma perciò che la rima si stringe a una lima di concordar parole come la rima vuole, sì che molte fiate le parole rimate ascondon la sentenza e mutan la 'ntendenza, quando vorrò trattare di cose che rimare tenesse oscuritate, con bella brevetate ti parlerò per prosa, e disporrò la cosa parlandoti in volgare, che tu intende ed apare. Omai a ciò ritorno, che Dio fece lo giorno e la luce gioconda e cielo e terra ed onda, e l'aire crëao e li angeli fermao, ciascun partitamente: e tutto di neente. Poi la seconda dia per la Sua gran balìa stabilìo 'l fermamento e 'l suo ordinamento. Il terzo, ciò mi pare, ispecificò 'l mare e la terra divise e 'n ella fece e mise ogne cosa barbata che 'n terra e radicata. Al quarto dì presente fece compiutamente tutte le luminare, stelle diverse e vare. Nella quinta giornata sì fu da Lui crëata ciascuna crëatura che nota in acqua pura. Lo sesto dì fu tale, che fece ogn'animale, e fece Adamo ed Eva, che puoi ruppe la treva del Suo comandamento. Per quel trapassamento mantenente fu miso fòra di Paradiso, dov'era ogne diletto, sanza neuno espetto di fredo o di calore, d'ira né di dolore; e per quello peccato lo loco fue vietato mai sempre a tutta gente. Così fu l'uom perdente: d'esto peccato tale divenne l'om mortale, e ha lo male e 'l danno e l'agravoso afanno qui e nell'altro mondo. Di questo greve pondo son gli uomini gravati e venuti em peccati, perché 'l serpente antico, che è nostro nemico, sodusse a rea maniera quella primaia mogliera. Ma per lo mio sermone intendi la ragione perché fu ella fatta e de la costa tratta: prima, che l'uomo atasse; poi, che multipricasse, e ciascun si guardasse con altra non fallasse. Omai il coninciamento e 'l primo nascimento di tutte crëature t'ho detto, se me cure. Ma sacce che 'n due guise lo Fattor lo devise: ché l'une veramente son fatte di neente, ciò son l'anim' e 'l mondo, e li angeli secondo; ma tutte l'altre cose, quantunque dicere ose, son d'alcuna matera fatte per lor manera". vv.503-1062 E poi che l'ebbe detto, davanti al suo cospetto mi parve ch'io vedesse che gente s'acogliesse di tutte le nature (sì come le figure son tutte divisate e diversificate), per domandar da essa ch'a ciascun sia permessa sua bisogna compiére; ed essa, ch'al ver dire ad ognuna rendea ciò ched ella sapea che 'l suo stato richiede, così in tutto provede. E io, sol per mirare lo suo nobile affare, quasi tutto smarrìo; ma tant' era 'l disio, ch'io avea, di sapere tutte le cose vere di ciò ch'ella dicea, ch'ognora mi parea maggior che tutto 'l giorno: sì ch'io non volsi torno, anzi m'inginocchiai e merzé le chiamai per Dio, che le piacesse ched ella m'acompiesse tutta la grande storia ond'ella fa memoria. Ella disse esavia: "Amico, io ben vorria che ciò che vuoli intendere tu lo potessi imprendere, e sì sotile ingegno e tanto buon ritegno avessi, che certanza d'ognuna sottiglianza ch'io volessi ritrare, tu potessi aparare e ritenere a mente a tutto 'l tuo vivente. E comincio da prima al sommo ed a la cima de le cose crëate, di ragione informate d'angelica sustanza, che Dio a Sua sembianza crëò a la primera. Di sì ricca manera li fece in tutte guise che 'n esse furo assise tutte le buone cose valenti e prezïose e tutte le vertute ed eternal salute; e diede lor bellezza di membra e di clarezza, sì ch'ogne cosa avanza biltate e beninanza; e fece lor vantaggio tal chent' io diraggio: che non possen morire né unquema' finire. E quando Lucifero si vide così clero e in sì grande stato grandito ed innorato, di ciò s'insuperbio, e 'ncontro al vero Dio, Quello che l'avea fatto, pensao d'un maltratto, credendo Elli esser pare. Così volse locare sua sedia in aquilone, ma la sua pensagione li venne sì falluta che fu tutt' abattuta sua folle sorcudanza, in sì gran malenanza che, s'io voglio 'l ver dire, chi lo volse seguire o tenersi con esso de regno for fu messo, e piovvero in inferno e 'n fuoco sempiterno. Apresso imprimamente in guisa di serpente ingannò collo ramo Eva, e poi Adamo; e chi chi neghi o dica, tutta la gran fatica, la doglia e 'l marrimento, lo danno e 'l pensamento e l'angoscia e le pene che la gente sostene, lo giorno e 'l mese e l'anno, venne da quello inganno; e·lado ingenerare e lo grave portare e 'l parto doloroso e 'l nudrir faticoso che voi ci sofferite, tutto per ciò l'avete; lavorero di terra, astio, invidia e guerra, omicidio a peccato di ciò fue coninciato: ché 'nanti questo tutto facea la terra frutto sanza nulla semente o briga d'on vivente. Ma questa sottiltate tocc' a Divinitate, ed io non m'intrametto di punto così stretto, e non aggio talento di sì gran fondamento trattar con omo nato. Ma quello che m'è dato, io lo faccio sovente: che se tu poni mente, ben vedi li animali ch'io no·lli faccio iguali né d'una concordanza in vista né in sembianza; erbe e fiori e frutti, così gli albori tutti: vedi che son divisi le natur' e li visi. Acciò che t'ho contato che l'omo fu plasmato posci' ogne crëatura, se ci ponessi cura, vedrai palesemente che Dio onnipotente volse tutto labore finir nello migliore: ca chi ben inconinza audivi per sentenza ched ha bon mezzo fatto; ma guardi, puoi dal tratto, ca di reo compimento aven dibassamento di tutto 'l convenente; ma chi orratamente fina suo coninciato, da la gente è laudato, sì come dice un motto: "La fine loda tutto". E tutto ciò ch'on face, pensa o parla o tace, a tutte guise intende a la fine ch'atende: dunqu' è più grazìosa la fine d'ogne cosa che tutto l'altro fatto. Però ad ogne patto dé omo accivire ciò che porria seguire di quella che conenza, ch'aia bella partenza. E l'om, se Dio mi vaglia, crëato fu san' faglia la più nobile cosa e degna e prezïosa di tutte crëature: così Que' ch'è 'n alture li diede segnoria d'ogne cosa che sia in terra figurata; ver' è ch'è 'nvizïata de lo primo peccato dond' è 'l mondo turbato. Vedi ch'ogn'animale per forza naturale la testa e 'l viso bassa verso la terra bassa, per far significanza de la grande bassanza di lor condizïone, che son sanza ragione e seguon lor volere sanza misura avere: ma l'omo ha d'alta guisa sua natura divisa per vantaggio d'onore, che 'n alto a tutte l'ore mira per dimostrare lo suo nobile affare, ched ha per conoscenza e ragione e scienza. Dell'anima dell'uomo io ti diraggio como è tanto degna e cara e nobile e preclara che pote a compimento aver conoscimento di ciò ch'è ordinato (sol se·nno fue servato in divina potenza): però sanza fallenza fue l'anima locata e messa e consolata ne lo più degno loco, ancor che sïa poco, ched è chiamato core. Ma 'l capo n'è segnore, ch'è molto degno membro; e s'io ben mi rimembro, esso è lume e corona di tutta la persona. Ben è vero che 'l nome è divisato, come la forza e la scïenza: ché l'anima in parvenza si divide e si parte e ovra in prusor parte. Che se tu poni cura quando la crïatura vede vivificata, è anima chiamata; ma la voglia e l'ardire usa la gente dire: "Quest' è l'animo mio, questo voglio e disio"; e l'om savio e saccente dicon c'ha buona mente; e chi sa giudicare e per certo trïare lo falso dal diritto, ragione è nome detto; e chi saputamente un grave punto sente in fatt' o in dett' o in cenno, quelli è chiamato senno; e quando l'omo spira, l'alena manda e tira, è spirito chiarnato. Così t'aggio contato che 'n queste sei partute si parte la vertute ch'all'anima fu data, e così consolata. Nel capo son tre çelle, e io dirò di quelle. Davanti è lo ricetto di tutto lo 'ntelletto e la forza d'aprendere quello che puoi intendere; in mezzo è la ragione e la discrezïone, che cerne ben da male, e lo torto e l'iguale; di dietro sta con gloria la valente memoria, che ricorda e ritene quello che 'n esso avene. Così, se tu ti pensi, son fatti cinque sensi, d'i quai ti voglio dire: lo vedere e l'udire, l'odorare e 'l gostare, e dapoi lo toccare; questi hanno per ofizio che lo bene e lo vizio, li fatti e le favelle ritornano a le zelle ch'i' v'aggio nominate, e loco son pesate. Ancor son quattro omori di diversi colori, che per la lor cagione fanno la compressione d'ogne cosa formare e sovente mutare, sì come l'una avanza le altre in sua possanza: ché l'una è 'n segnoria de la malinconia, la quale è freda e secca, certo di lada tecca; un'altr' è in podere di sangue, al mio parere, ch'è caldo ed omoroso e fresco e gioioso; frema in alto monta, ch'umido e fredo pont' à, e par che sia pesante quell'omo, e più pensante; poi la collera vene, che caldo e secco tene, e fa l'omo leggiero, presto e talor fero. E queste quattro cose, così contrarïose e tanto disiguali, in tutti l'animali mi convene acordare ed i·lor temperare, e rinfrenar ciascuno, si ch'io li torni a uno, si ch'ogne corpo nato ne sia compressionato; e sacce ch'altremente non si faria neente. Altresì tutto 'l mondo dal ciel fin lo profondo è di quattro aulimenti fatto ordinatamenti: d'aria, d'acqua e di foco e di terra in suo loco; ché, per fermarlo bene, sottilmente convene lo fredo per calore e 'l secco per l'omore e tutti per ciascuno sì rinfrenar a uno che la lor discordanza ritorni in iguaglianza: ché ciascuno è contrario a l'altro ch'è disvario. Ogn'omo ha sua natura e diversa fattura, e son talor dispàri: ma io li faccio pari, e tutta lor discordia ritorno in tal concordia, che io per lo·ritegno lo mondo e lo sostegno, salva la volontade de la Divinitade. Ben dico veramente che Dio onnipotente fece sette pianete, ciascuna in sua parete, e dodici segnali (io ti dirò ben quali); e fue il Suo volere di donar lor podere in tutte crëature secondo lor nature. Ma sanza fallimento sotto meo reggimento è tutta la loro arte, sicché nesun si parte dal corso che li ho dato, a ciascun misurato. E dicendo lo vero, cotal è lor mistiero, che metton forza e cura in dar fredo e calura e piova e neve e vento, sereno e turbamento. E s'altra provedenza fue messa i·llor parvenza, no 'nde farò menzione, ché picciola cagione ti porria far errare: ché tu déi pur pensare che le cose future, e l'aperte e le scure, la somma Maestate ritenne in potestate. Ma se di storlomia vorrai saper la via, de la luna e del sole come saper si vuole, e di tutte pianete, qua 'nanzi l'udirete, andando in quelle parte dove son le sette arte. Ben so che lungiamente intorno al convenente aggioti ragionato, sl ch'io t'aggio contato una lunga matera certo in breve manera. E se m'hai bene inteso, nel mio dire ho compreso tutto 'l coninciamento e 'l primo nascimento d'ogne cosa mondana e de la gente umana; e hotti detto un poco, come s'avene loco, de la Divinitate; e holle intralasciate, sì come quella cosa ched è sì prezïosa e sì alta e sì degna che non par che s'avegna che mette intendimento in sì gran fondamento: ma tu sempicemente credi veracemente ciò che la Chiesa Santa ne predica e ne canta. Apresso t'ho contato del ciel com' è stellato, ma quando fie stagione udirai la cagione del ciel com' è ritondo e del sido del mondo. Ma non sarà pe·rima, com' e scritto di prima ma per piano volgare ti fie detto l'affare e mostrato in aperto, che ne sarai ben certo. Ond'io ti priego ormai, per la fede che m'hai, che ti piaccia partire: ché mi conviene gire per lo mondo d'intorno, e di notte e di giorno avere studio e cura in ogne crëatura ch'è sotto mio mestero; e faccio a Dio preghiero che ti conduca e guidi en tutte parti, e fidi". Apresso esta parola voltò 'l viso e la gola, e fecemi sembianza che sanza dimoranza volesse visitare e li fiumi e lo mare. E, sanza dir fallenza, ben ha grande potenza, ché, s'io vo' dir lo vero, lo suo alto mistero è una maraviglia: ché 'n un'ora compiglia e cielo e terra e mare compiendo suo affare, ché 'n così poco stando al suo breve comando io vidi apertamente, come fosse presente, i fiumi principali, che son quattro, li quali, secondo il mio aviso, movon di Paradiso, ciò son Tigre e Fisòn, Eofrade e Gïòn. L'un se ne passa a destra e l'altro ver' sinestra, lo terzo corre in zae e 'l quarto va di lae: sì ch'Eufrade passa ver' Babillona cassa i·Mesopotanìa, e mena tuttavia le pietre preziose e gemme dignitose di troppo gran valore per forza e per colore. Gïòn va in Etïopia, e per la grande copia d'acqua che 'n esso abonda, bagna de la sua onda tutta terra d'Egitto e l'amolla a diritto una fiata l'anno e ristora lo danno che lo 'Gitto sostene, che mai pioggia non viene: così serva su' filo ed è chiamato Nilo; d'un su' ramo si dice ched ha nome Calice. Tigre tien altra via, chè corre per Soria sì smisuratamente che non è om vivente che dica che vedesse cosa che sì corresse. Fisòn va più lontano, ed è da noi sì strano che, quando ne ragiono, io non trovo nessuno che l'abbia navicato, né 'n quelle parti andato. E in poca dimora provide per misura le parti del Levante, lì dove sono tante gemme di gran vertute e di molte salute; e sono in quello giro balsime ed ambra e tiro e lo pepe e lo legno aloè, ch'è sì degno, e spigo e cardamomo, gengiov' e cennamomo e altre molte spezie, che ciascuna in sua spezie è migliore e più fina e sana in medicina. Apresso in questo poco mise in asetto loco le tigre e li grifoni e leofanti e leoni, cammelli e drugomene e badalischi e gene e pantere e castoro, le formiche dell'oro e tanti altri animali ch'io non posso dir quali, che son sì divisati e sì dissomigliati di corpo e di fazzone, di sì fera ragîone e di sì strana taglia ch'io non credo, san' faglia, ch'alcuno omo vivente potesse veramente per lingua o per scritture recittar le figure de le bestie ed uccelli, tanto son, laidi e belli. Poi vidi immantenente la regina piagente che stendëa la mano verso 'l mare Ucïano, quel che cinge la terra e che la cerchia e serra, e ha una natura ch'è a veder ben dura, ch'un'ora cresce molto e fa grande timolto, poi torna in dibassanza; così fa per usanza: or prende terra, or lassa, or monta, or dibassa; e la gente per motto dicon c'ha nome fiotto. E io, ponendo mente là oltre nel ponente apresso questo mare, vidi diritto stare gran colonne, le quale vi pose per segnale Ercolès lo potente, per mostrare a la gente che loco sia finata la terra e terminata: ch'egli per forte guerra avea vinta la terra per tutto l'uccidente, e non trova più gente. Ma doppo la Sua morte sì son gente raccorte e sono oltre passati, sì che sono abitati di là, in bel paese e ricco per le spese.
|