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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
Quando il soave mio fido conforto,
per dar riposo a la mia vita stanca, ponsi del letto in su la sponda manca, con quel suo dolce ragionare accorto, tutto di pièta e di paura smorto, dico: <<Onde vien tu ora, o felice alma?>> Un ramoscel di palma et un di lauro trae del suo bel seno, e dice: <<Dal sereno ciel empireo, e di quelle sante parti, mi mossi, e vengo sol per consolarti.>> In atto et in parole la ringrazio umilemente, e poi demando: <<Or donde sai tu il mio stato? - Et ella: - Le triste onde del pianto, di che mai tu non se’ sazio, coll’aura de’ sospir, per tanto spazio, passano al cielo, e turban la mia pace. Sí forte ti dispiace che di questa miseria sia partita, e giunta a miglior vita? che piacer ti devria, se tu m’amasti quanto in sembianti e ne’ tuoi dir mostrasti.>> Rispondo: <<Io non piango altro che me stesso che son rimasto in tenebre e ’n martìre, certo sempre del tuo al ciel salire come di cosa ch’uom vede da presso. Come Dio e Natura avrebben messo in un cor giovenil tanta vertute, se l’eterna salute non fusse destinata al tuo ben fare? O de l’anime rare, ch’altamente vivesti qui tra noi, e che subito al ciel volasti poi! Ma io che debbo altro che pianger sempre, misero, e sol, che senza te son nulla? Ch’or fuss’io spento al latte et a la culla, per non provar de l’amorose tempre!>> Et ella: <<A che pur piangi, e ti distempre? Quanto era meglio alzar da terra l’ali, e le cose mortali, e queste dolci tue fallaci ciance, librar con giusta lance, e seguir me, s’è ver che tanto m’ami, cogliendo, omai, qualcun di questi rami!>> <<I’ volea demandar - respond’io allora>> che voglion importar quelle due frondi? Et ella: <<Tu medesmo ti rispondi, tu la cui penna tanto l’una onora: palma è vittoria, et io, giovene ancúra, vinsi il mondo, e me stessa; il lauro segna triumfo, ond’io son degna, mercé di quel Signor, che mi die’ forza. Or tu, s’altri ti sforza, a lui ti volgi, a lui chiedi soccorso; sí che siam seco al fine del tuo corso.>> <<Son questi i capei biondi, e l’aureo nodo, - dich’io - ch’ancor mi stringe, e quei belli occhi che fur mio sol? >>. <<Non errar con li sciocchi, né parlar - dice - o creder a lor modo. Spirito ignudo sono, e ’n ciel mi godo: quel che tu cerchi è terra, già molt’anni; ma per trarti d’affanni, m’è dato a parer tale; et ancor quella sarò, più che mai bella, a te più cara, sí selvaggia e pia, salvando inseme tua salute, e mia.>> I’ piango; et ella il vúlto co le sue man m’asciuga; e poi sospira dolcemente; e s’adira con parole che i sassi romper ponno: e dopo questo, si parte ella, e ’l sonno.
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