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Info sull'Opera
Autore:
Francesco Petrarca
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

CCCXXXII

di Francesco Petrarca

Mia benigna fortuna, e ’l viver lieto,
i chiari giorni, e le tranquille notti,
e i soavi sospiri, e ’l dolce stile
che solea resonare in versi e ’n rime,
vòlti subitamente in doglia e ’n pianto,
odiar vita mi fanno e bramar morte.
Crudele, acerba, inesorabil Morte,
cagion mi dà di mai non esser lieto,
ma di menar tutta mia vita in pianto,
e i giorni oscuri e le dogliose notti.
I miei gravi sospir non vanno in rime,
e ’l mio duro martir vince ogni stile.
Ove è condutto il mio amoroso stile?
A parlar d’ira, a ragionar di morte.
U’ sono i versi, u’ son giunte le rime,
che gentil cor udia pensoso, e lieto?
ov’è ’l favoleggiar d’amor le notti?
Or non parl’io, né penso altro che pianto.
Già mi fu col desir sí dolce il pianto,
che condìa di dolcezza ogni agro stile,
e vegghiar mi facea tutte le notti;
or m’è ’l pianger amaro più che morte,
non sperando mai ’l guardo onesto e lieto,
alto sogetto a le mie basse rime.
Chiaro segno Amor pose a le mie rime
dentro a’ belli occhi; et or l’ha posto in pianto,
con dolor rimembrando il tempo lieto:
ond’io vo col pensèr cangiando stile,
e ripregando te, pallida Morte,
che mi sottragghi a sí penose notti.
Fuggito è ’l sonno a le mie crude notti,
e ’l suono usato a le mie roche rime,
che non sanno trattar altro che morte:
cosí è ’l mio cantar converso in pianto.
Non ha il regno d’Amor sí vario stile,
ch’è tanto or tristo, quanto mai fu lieto.
Nessun visse già mai più di me lieto,
nessun vide più tristo e giorni e notti;
e doppiando ’l dolor, doppia lo stile,
che trae del cor sí lacrimose rime.
Vissi di speme, or vivo pur di pianto,
né contra Morte spero altro che Morte.
Morte m’ha morto; e sola pò far Morte
ch’i’ torni a riveder quel viso lieto,
che piacer mi facea i sospiri e ’l pianto,
l’aura dolce e la pioggia a le mie notti;
quando i penseri eletti tessea in rime,
Amor alzando il mio debile stile.
Or avess’io un sí pietoso stile
che Laura mia potesse tôrre a Morte,
come Euridice Orfeo sua senza rime,
ch’i’ viverei ancor più che mai lieto!
S’esser non pò, qualcuna d’este notti
chiuda omai queste due fonti di pianto.
Amor, i’ ho molti e molt’anni pianto
mio grave danno in doloroso stile,
né da te spero mai men fere notti;
e però mi son mosso a pregar Morte
che mi tolla di qui, per farme lieto,
ove è colei ch’i’ canto, e piango in rime.
Se sí alto pôn gir mie stanche rime,
ch’agiungan lei, ch’è fuor d’ira e di pianto,
e fa ’l ciel or di sue bellezze lieto,
ben riconoscerà ’l mutato stile,
che già forse le piacque, anzi che Morte
chiaro a lei giorno, a me fêsse atre notti.
O voi che sospirate a miglior notti,
ch’ascoltate d’Amore, o dite in rime,
pregate non mi sia più sorda Morte,
porto de le miserie e fin del pianto;
muti una volta quel suo antiquo stile,
ch’ogni uom rattrista, e me pò far sí lieto.
Far mi pò lieto in una o ’n poche notti;
e ’n aspro stile, e ’n angosciose rime,
prego che ’l pianto mio finisca Morte.
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