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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
I’ vo pensando, e nel penser m’assale
una pietà sí forte di me stesso che mi conduce spesso ad altro lagrimar ch’i’ non soleva; ché, vedendo ogni giorno il fin più presso, mille fiate ho chieste a Dio quell’ale co le quai del mortale carcer nostro intelletto al ciel si leva; ma in fin a qui niente mi releva prego, o sospiro, o lagrimar ch’io faccia; e cosí per ragion conven che sia, ché chi possendo star, cadde tra via, degno è che mal suo grado a terra giaccia. Quelle pietose braccia, in ch’io mi fido, veggio aperte ancóra; ma temenza m’accora per gli altrui essempli, e del mio stato tremo; ch’altri mi sprona, e son forse a l’estremo L’un pensèr parla co la mente, e dice: "Che pur agogni? Onde soccorso attendi? Misera, non intendi con quanto tuo disnore il tempo passa? Prendi partito accortamente, prendi; e del cor tuo divelli ogni radice del piacer, che felice no ’l po’ mai fare, e respirar no ’l lassa. Se già è gran tempo fastidita e lassa se’ di quel falso dolce fugitivo che ’l mondo traditor può dare altrui, a che ripon più la speranza in lui, che d’ogni pace e di fermezza è privo? Mentre che ’l corpo è vivo, hai tu ’l freno in bailía de’ pensèr tuoi. Deh, stringilo or che pòi, ché dubbioso è ’l tardar, come tu sai, e ’l cominciar non fia per tempo omai. Già sai tu ben quanta dolcezza porse a gli occhi tuoi la vista di colei la qual anco vorrei ch’a nascer fosse per più nostra pace. Ben ti ricordi, e ricordar ten dèi, de l’imagine sua, quand’ella corse al cor, là dove forse non potea fiamma intrar per altrui face: ella l’accense; e se l’ardor fallace durò molt’anni in aspettando un giorno, che per nostra salute unqua non vène, or ti solleva a più beata spene, mirando ’l ciel, che ti solve intorno immortal et addorno: ché dove, del mal suo qua giù sí lieta, vostra vaghezza acqueta un mover d’occhi, un ragionar, un canto, quanto fia quel piacer, se questo è tanto?" Da l’altra parte un pensier dolce et agro, con faticosa, e dilettevol salma sedendosi entro l’alma, preme ’l cor di desío, di speme il pasce; che sol per fama gloriosa et alma non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro, s’i’ son sí pallido o magro; e s’io l’occido, più forte rinasce. Questo d’allor ch’i’ m’addormiva in fasce venuto è di dí in dí crescendo meco; e temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda. Poi che fia l’alma da le membra ignuda, non po’ questo desio più venir seco. Ma se ’l latino e ’l greco parlan di me dopo la morte, è un vento; ond’io, perché pavento adunar sempre quel ch’un’ora sgombre, vorre’ ’l ver abbracciar, lassando l’ombre. Ma quell’altro voler, di ch’i’ son pieno, quanti press’a lui nascon par ch’adugge; e parte il tempo fugge, che scrivendo d’altrui, di me non calme; e ’l lume de’ begli occhi che mi strugge soavemente al suo caldo sereno, mi ritien come un freno contra cui nullo ingegno o forza valme. Che giova dunque perché tutta spalme la mia barchetta, poi che ’n fra li scogli è ritenuta ancor da ta’ duo nodi? Tu che da gli altri, che ’n diversi modi legano ’l mondo, in tutto mi disciogli, Signor mio, ché non togli omai dal vólto mio questa vergogna? Ché ’n guisa d’uom che sogna, aver la morte inanzi gli occhi parme; e vorrei far difesa, e non ho l’arme. Quel ch’i’ fo, veggio, e non m’inganna il vero mal conosciuto, anzi mi sforza Amore, che la strada d’onore mai no ’l lassa languir chi troppo il crede; e sento ad ora ad or venirmi al core un leggiadro disdegno, aspro e severo, ch’ogni occulto pensero tira in mezzo la fronte, ov’altri ’l vede; ché mortal cosa amar con tanta fede, quanta a Dio sol per debito convensi, più si disdice a chi più pregio brama. E questo ad alta voce anco richiama la ragione sviata dietro a i sensi: ma perch’ell’oda, e pensi tornare, il mal costume oltre la spigne, et a gli occhi depigne quella che sol per farmi morir nacque, perch’a me troppo, et a se stessa piacque. Né so che spazio mi si désse il cielo quando novellamente io venni in terra a soffrir l’aspra guerra che ’n contr’a me medesmo seppi ordire, né posso il giorno che la vita serra antiveder per lo corporeo velo; ma varïarsi il pelo veggio, e dentro cangiarsi ogni desire. Or ch’i’ mi credo al tempo del partire esser vicino, o non molto da lunge, come chi ’l perder face accorto e saggio, vo ripensando ov’io lassai ’l viaggio da la man destra, ch’a buon porto aggiunge; e da l’un lato punge vergogna e duol, che ’n dietro mi rivolve; dall’altro non m’assolve un piacer per usanza in me sí forte ch’a patteggiar n’ardisce co la morte. Canzon, qui sono; ed ho ’l cor via più freddo de la paura che gelata neve, sentendomi perir senz’alcun dubbio; ché pur deliberando ho volto al subbio gran parte omai de la mia tela breve; né mai peso fu greve quanto quel ch’i’ sostengo in tale stato; ché co la morte a lato cerco del viver mio novo consiglio, e veggio ’l meglio et al peggior m’appiglio.
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