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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
Qual più diversa e nova
cosa fu mai in qualche stranio clima, quella, se ben s’estima, più mi rasembra; a tal son giunto, Amore. Là, onde il dì vèn fòre, vola un augel, che sol, senza consorte, di volontaria morte rinasce, e tutto a viver si rinova. Così sol si ritrova lo mio voler, e così in su la cima de’ suoi alti pensieri al sol si volve, e così si rivolse, e così torna al suo stato di prima; arde, e more, e riprende i nervi suoi, e vive poi con la fenice a prova. Una petra è sì ardita là per l’ìndico mar, che da natura tragge a sé il ferro, e ’l fura, dal legno, in guisa che ’ navigi affonde. Questo prov’io fra l’onde d’amaro pianto; ché quel bello scoglio ha sul suo duro argoglio condutta ove affondar conven mia vita: così l’alm’ha sfornita (furando ’l cor, che fu già cosa dura, e me tenne un, ch’or son diviso e sparso) un sasso a trar più scarso carne che ferro. O cruda mia ventura, che ’n carne essendo, veggio trarmi a riva ad una viva dolce calamita. Ne l’estremo occidente una fera è soave e queta tanto che nulla più; ma pianto e doglia, e morte, dentro a gli occhi porta: molto convene accorta esser qual vista mai vèr’ lei si giri; pur che gli occhi non miri, l’altro puossi veder securamente. Ma io incauto, dolente, corro sempre al mio male; e so ben quanto n’ho sofferto, e n’aspetto; ma l’engordo voler, ch’è cieco e sordo, sì mi trasporta, che ’l bel viso santo e gli occhi vaghi, fìen cagion ch’io pèra, di questa sfera angelica innocente. se nel mezzo giorno una fontana, e tien nome dal sole; che per natura sòle bollir le notti, e ’n sul giorno esser fredda; e tanto si raffredda quanto ’l Sol monta, e quanto è più da presso. Così avèn a me stesso, che son fonte di lagrime, e soggiorno: quando ’l bel lume adorno, ch’è ’l mio sol, s’allontana, e triste e sole son le mie luci, e notte oscura è loro, ardo allor; ma se l’oro e i rai veggio apparir del vivo sole, tutto dentro e di fòr sento cangiarme, e ghiaccio farme;così freddo torno. Un’altra fonte ha Epiro di cui si scrive, ch’essendo fredda ella, ogni spenta facella accende, e spegne qual trovasse accesa. L’anima mia, ch’offesa ancor non era d’amoroso foco, appressandosi un poco a quella fredda, ch’io sempre sospiro, arse tutta; e martìro simil già mai né sol vide, né stella, ch’ un cor di marmo a pietà mosso avrebbe: poi che ’nfiammata l’ebbe, rispensela vertù gelata e bella. Così più volte ha ’l cor racceso e spento: i’ ’l so che ’l sento,e spesso me n’adiro. Fuor tutti i nostri lidi, ne l’isole famose di Fortuna, due fonti ha: chi de l’una bee, mor ridendo; e chi de l’altra, scampa. Simil fortuna stampa mia vita, che morir porìa ridendo, del gran piacer, ch’io prendo, se no ’l temprassen dolorosi stridi. Amor, ch’ancor mi guidi pur a l’ombra di fama occulta e bruna, tacerem questa fonte, ch’ogni or piena, ma con più larga vena veggiam, quando col Tauro il sol s’aduna: così gli occhi miei piangon d’ogni tempo, ma più nel tempo che madonna vidi. Chi spiasse, canzone, quel ch’i’ fo, tu pòi dir: sotto un gran sasso in una chiusa valle, ond’esce Sorga, si sta; né chi lo scorga v’è, se no Amor, che mai no ’l lascia un passo, e l’imagine d’una, che lo strugge; ch’e’ per sé fugge tutt’altre persone
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