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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
Italia mia, ben che ’l parlar sia indarno
a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sì spesse veggio, piacemi almen che ’ miei sospir sian quali spera ’l Tevero e l’Arno, e ’l Po, dove doglioso e grave or seggio. Rettor del cielo, io cheggio che la pietà che ti condusse in terra ti volga al tuo diletto almo paese: vedi, segnor cortese, di che lievi cagion che crudel guerra; e i cor, che ’ndura e serra Marte superbo e fero, apri tu, padre, e ’ntenerisci e snoda; ivi fa che ’l tuo vero, qual io mi sia, per la mia lingua s’oda. Voi, cui fortuna ha posto in mano il freno de le belle contrade, di che nulla pietà par che vi stringa, che fan qui tante pellegrine spade? perché ’l verde terreno del barbarico sangue si depinga? Vano error vi lusinga; poco vedete, e parvi veder molto, ché ’n cor venale amor cercate o fede. Qual più gente possede colui è più da’ suoi nemici avolto. O diluvio raccolto di che deserti strani per inondar i nostri dolci campi! Se da le proprie mani questo n’avène, or chi fia che ne scampi? Ben provide natura al nostro stato, quando de l’Alpi schermo pose fra noi e la tedesca rabbia; ma ’l desir cieco, e ’n contr’al suo ben fermo, s’è poi tanto ingegnato, ch’al corpo sano ha procurato scabbia. Or dentro ad una gabbia fiere selvagge e mansuete gregge s’annidan sì che sempre il miglior geme: et è questo del seme, per più dolor, del popol senza legge, al qual, come si legge, Mario aperse sì ’l fianco, che memoria de l’opra anco non langue, quando, assetato e stanco, non più bevve del fiume acqua che sangue. Cesare taccio che per ogni piaggia fece l’erbe sanguigne di lor véne, ove ’l nostro ferro mise. Or par, non so per che stelle maligne, che ’l cielo in odio n’aggia: vostra mercé, cui tanto si commise: vostre voglie divise guastan del mondo la più bella parte. Qual colpa, qual giudicio, o qual destino fastidire il vicino povero, e le fortune afflitte e sparte perseguire, e ’n disparte cercar gente, e gradire, che sparga ’l sangue e venda l’alma a prezzo? Io parlo per ver dire, non per odio d’altrui né per disprezzo. Né v’accorgete ancor per tante prove del bavarico inganno ch’alzando il dito, colla morte scherza? Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno: ma ’l vostro sangue piove più largamente: ch’altr’ira vi sferza. Da la matina a terza di voi pensate, e vederete come tien caro altrui chi tien sé così vile. Latin sangue gentile, sgombra da te queste dannose some; non far idolo un nome vano senza soggetto; ché ’l furor de lassù, gente ritrosa, vincerne d’intelletto, peccato è nostro, e non natural cosa. Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria? non è questo il mio nido ove nudrito fui sì dolcemente? non è questa la patria in ch’io mi fido, madre benigna e pia, che copre l’un e l’altro mio parente? Per Dio, questo la mente talor vi mova, e con pietà guardate le lagrime del popol doloroso, che sol da voi riposo dopo Dio spera; e pur che voi mostriate segno alcun di pietate, vertù contra furore prenderà l’arme; e fia ’l combatter corto, ché l’antiquo valore ne l’italici cor non è ancor morto. Signor, mirate come ’l tempo vola, e sì come la vita fugge, e la morte n’è sovra le spalle: voi siete or qui; pensate a la partita: ché l’alma ignuda e sola conven ch’arrive a quel dubbioso calle. Al passar questa valle, piacciavi porre giù l’odio e lo sdegno, vènti contrari a la vita serena; e quel che ’n altrui pena tempo si spende, in qualche atto più degno o di mano o d’ingegno, in qualche bella lode, in qualche onesto studio si converta: così qua giù si gode, e la strada del ciel si trova aperta. Canzone, io t’ammonisco che la tua ragion cortesemente dica; perché fra gente altèra ir ti convene e le voglie son piene già de l’usanza pessima et antica, del ver sempre nemica. Proverai tua ventura fra magnanimi pochi a chi ’l ben piace: di’ lor: Chi m’assicura? I’ vo gridando: "Pace, pace, pace!"
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