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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
Chi è fermato di menar sua vita
su per l’onde fallaci e per li scogli scevro da morte con un picciol legno non po’ molto lontan esser dal fine; però sarrebbe da ritrarsi in porto mentre al governo ancor crede la vela. L’aura soave, a cui governo e vela commisi entrando a l’amorosa vita e sperando venire a miglior porto, poi mi condusse in più di mille scogli; e le cagion del mio doglioso fine non pur d’intorno avea, ma dentro al legno. Chiuso gran tempo in questo cieco legno errai, senza levar occhio a la vela ch’anzi al mio dì mi trasportava al fine; poi piacque a lui che mi produsse in vita chiamarme tanto in dietro da li scogli ch’almen da lunge m’apparisse il porto. Come lume di notte in alcun porto vide mai d’alto mar nave né legno, se non gliel tolse o tempestate o scogli, così di su da la gonfiata vela vid’io le ’nsegne di quell’altra vita, et allor sospirai verso ’l mio fine. Non perch’io sia securo ancor del fine; ché volendo col giorno esser a porto è gran viaggio in così poca vita; poi temo, ché mi veggio in fraile legno, e più che non vorrei piena la vela del vento che mi pinse in questi scogli. S’io èsca vivo de’ dubbiosi scogli, et arrive il mio essilio ad un bel fine, ch’i’ sarei vago di voltar la vela, e l’ancore gittar in qualche porto! Se non ch’i’ ardo come acceso legno, sì m’è duro lassar l’usata vita. Signor de la mia fine e de la vita, prima ch’i’ fiacchi il legno tra li scogli, drizza a buon porto l’affannata vela.
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