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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
Poi che per mio destino
a dir mi sforza quell’accesa voglia che m’ha sforzato a sospirar mai sempre, Amor, ch’a ciò m’invoglia, sia la mia scorta, e ’nsignimi ’l camino, e col desio le mie rime contempre; ma non in guisa che lo cor si stempre di soverchia dolcezza, com’io temo, per quel ch’i’ sento ov’occhio altrui non giugne; ché ’l dir m’infiamma e pugne, né per mi ’ngegno, ond’io pavento e tremo, sì come talor sòle, trovo ’l gran foco de la mente scemo; anzi mi struggo al suon de le parole, pur com’io fusse un uom di ghiaccio al sole. Nel cominciar credìa trovar parlando al mio ardente desire qualche breve riposo e qualche triegua. Questa speranza ardire mi porse a ragionar quel ch’i’ sentia; or m’abbandona al tempo, e si dilegua. Ma pur conven che l’alta impresa segua continuando l’amorose note, sì possente è ’l voler che mi trasporta; e la ragione è morta, che tenea ’l freno, e contrastar no ’l pôte. Mostrimi almen ch’io dica Amor in guisa che se mai percote gli orecchi de la dolce mia nemica, non mia, ma di pietà la faccia amica. Dico: se ’n quella etate ch’al vero onor fôr gli animi sì accesi, l’industria d’alquanti uomini s’avolse per diversi paesi, poggi et onde passando, e l’onorate cose cercando el più bel fior ne colse, poi che Dio e Natura et Amor volse locar compitamente ogni virtute in quei be’ lumi, ond’io gioioso vivo, questo e quell’altro rivo non conven ch’i’ trapasse e terra mute. A llor sempre ricorro, come a fontana d’ogni mia salute; e quando a morte disiando corro, sol di lor vista al mio stato soccorro. Come a forza di vènti stanco nocchier di notte alza la testa a’ duo lumi c’ha sempre il nostro polo, così ne la tempesta ch’i’ sostengo d’amor, gli occhi lucenti sono il mio segno e ’l mio conforto solo. Lasso!, ma troppo è più quel ch’io ne ’nvolo or quinci, or quindi, come Amor m’informa, che quel che vèn da grazioso dono; e quel poco ch’i’ sono mi fa di loro una una perpetua norma. Poi ch’io li vidi in prima, senza lor a ben far non mossi un’orma; così gli ho di me posti in su la cima che ’l mio valor per sé falso s’estima. I’ non porìa già mai imaginar, non che narrar gli effetti, che nel mio cor gli occhi soavi fanno: tutti gli altri diletti di questa vita ho per minori assai, e tutte altre bellezze in dietro vanno. Pace tranquilla, senza alcuno affanno, simile a quella ch’è nel ciel eterna, move da lor inamorato riso. Così vedess’io fiso come Amor dolcemente gli governa, sol un giorno da presso, senza voler già mai rota superna, né pensasse d’altrui né di me stesso, e ’l batter gli occhi miei non fosse spesso. Lasso!, che disiando vo quel ch’esser non puote in alcun modo; e vivo nel desir fuor di speranza. Solamente quel nodo ch’Amor cerconda a la mia lingua, quando l’umana vista il troppo lume avanza, fosse disciolto, i’ prenderei baldanza di dir parole in quel punto sì nove, che farian lagrimar chi le ’ntendesse. Ma le ferite impresse valgon per forza il cor piagato altrove; ond’io divento smorto, e ’l sangue si nasconde, i’ non so dove, né rimango qual era; e sommi accorto che questo è ’l colpo di che Amor m’ha morto. Canzone, i’ sento già stancar la penna del lungo e dolce ragionar co llei, ma non di parlar meco i pensier mei.
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