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Info sull'Opera
Autore:
Francesco Petrarca
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

LXXII

di Francesco Petrarca

Gentil mia donna, i’ veggio
nel mover de’ vostr’occhi un dolce lume
che mi mostra la via ch’al ciel conduce;
e per lungo costume
dentro là dove sol con amor seggio,
quasi visibilmente il cor traluce.
Questa è la vista ch’a ben far m’induce,
e che mi scorge al glorioso fine;
questa sola dal vulgo m’allontana.
Né già mai lingua umana
contar porìa quel che le due divine
luci sentir mi fanno,
e quando ’l verno sparge le pruine,
e quando poi ringiovenisce l’anno
qual era al tempo del mio primo affanno.
Io penso: se là suso,
onde ’l motor eterno de le stelle
degnò mostrar del suo lavoro in terra,
son l’altr’opre sì belle,
aprasi la pregione, ov’io son chiuso,
e che ’l camino a tal vita mi serra.
Poi mi rivolgo a la mia usata guerra,
ringraziando Natura e ’l dì ch’io nacqui
che reservato m’hanno a tanto bene,
e lei ch’a tanta spene
alzò il mio cor; ché ’n sin allor io giacqui
a me noioso e grave,
da quel dì inanzi a me medesmo piacqui,
empiendo d’un pensier alto e soave
quel core ond’hanno i begli occhi la chiave.

Né mai stato gioioso
Amor o la volubile Fortuna
chieder a chi più fôr nel mondo amici
ch’’no ’l cangiassi ad una
rivolta d’occhi, ond’ogni mio riposo
vien come ogni arbor vien da sue radici.
Vaghe faville, angeliche, beatrici
de la mia vita, ove ’l piacer s’accende,
che dolcemente mi consuma e strugge;
come sparisce e fugge
ogni altro lume dove ’l vostro splende,
così de lo mio core,
quando tanta dolcezza in lui discende,
ogni altra cosa, ogni penser va fòre,
e solo ivi con voi rimanse Amore.
Quanta dolcezza unquanco
fu in cor d’aventurosi amanti, accolta
tutta in un loco, a quel ch’i’ sento, è nulla,
quando voi alcuna volta
soavemente tra ’l bel nero e ’l bianco
volgete il lume in cui Amor si trastulla:
e credo, da le fasce e da la culla
al mio imperfetto, a la Fortuna adversa
questo rimedio provedesse il cielo.
Torto mi face il velo
e la man che sì spesso s’atraversa
fra ’l mio sommo diletto
e gli occhi, onde dì e notte si rinversa
il gran desio per isfogare il petto,
che forma tien dal variato aspetto.

Perch’io veggio, e mi spiace,
che natural mia dote a me non vale
né mi fa degno d’un sì caro sguardo,
sforzomi d’esser tale
qual a l’alta speranza si conface,
et al foco gentil ond’io tutto ardo.
S’al ben veloce, et al contrario tardo,
dispregiator di quanto ’l mondo brama
per solicito studio posso farme,
porrebbe forse aitarme
nel benigno iudicio una tal fama.
Certo il fin de’ miei pianti,
che non altronde il cor doglioso chiama,
vèn da’ begli occhi al fin dolce tremanti
ultima speme de’ cortesi amanti.
Canzon, l’una sorella è poco inanzi,
e l’altra sento in quel medesmo albergo
apparecchiarsi; ond’io più carta vergo.
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