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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
O tementi dell'ira ventura,
Cheti e gravi oggi al tempio moviamo, Come gente che pensi a sventura, Che improvviso s'intese annunziar. Non s'aspetti di squilla il richiamo; Nol concede il mestissimo rito: Oual di donna che piange il marito, E la veste del vedovo altar. Cessan gl'inni e i misteri beati, Tra cui scende, per mistica via, Sotto l'ombra de' pani mutati, L'ostia viva di pace e d'amor. S'ode un carme: l'intento Isaia Proferì questo sacro lamento, In quel dì che un divino spavento Gli affannava il fatidico cor. Di chi parli, o Veggente di Giuda? Chi è costui che, davanti all'Eterno Spunterà come tallo da nuda Terra, lunge da fonte vital? Questo fiacco pasciuto di scherno Che la faccia si copre d'un velo Come fosse un percosso dal cielo, Il novissimo d'ogni mortal? Egli è il Giusto che i vili han trafitto, Ma tacente, ma senza tenzone; Egli è il Giusto; e di tutti il delitto Il Signor sul suo capo versò. Egli è il santo, il predetto Sansone Che morendo francheggia Israele; Che volente alla sposa infedele La fortissima chioma lasciò. Quei che siede sui cerchi divini, E d'Adamo si fece figliolo, Né sdegnò coi fratelli tapini Il funesto retaggio partir: Volle l'onte, e nell'anima il duolo, E l'angosce di morte sentire, E il terror che seconda il fallire, Ei che mai non conobbe il fallir. La repulsa al suo prego sommesso, L'abbandono del Padre sostenne: Oh spavento! l'orribile amplesso D'un amico spergiuro soffrì. Ma simìle quell'alma divenne Alla notte dell'uomo omicida: Di quel Sangue sol ode le grida, E s'accorge che Sangue tradì. Oh spavento! lo stuol de' beffardi Baldo insulta a quel volto divino, Ove intender non osan gli sguardi Gl'incolpabili figli del ciel. Come l'ebbro desidera il vino, Nell'offese quell'odio s'irrita; E al maggior dei delitti gl'incita Del delitto la gioia crudel. Ma chi fosse quel tacito reo, Che davanti al suo seggio profano Strascinava il protervo Giudeo, Come vittima innanzi a l'altar, Non lo seppe il superbo Romano; Ma fe' stima il deliro potente, Che giovasse col sangue innocente La sua vil sicurtade comprar. Su nel cielo in sua doglia raccolto Giunse il suono d'un prego esecrato: I celesti copersero il volto: Disse Iddio: Qual chiedete sarà. E quel Sangue dai padri imprecato Sulla misera prole ancor cade, Che mutata d'etade in etade Scosso ancor dal suo capo non l'ha. Ecco appena sul letto nefando Quell'Afflitto depose la fronte, E un altissimo grido levando, Il supremo sospiro mandò: Gli uccisori esultanti sul monte Di Dio l'ira già grande minaccia; Già dall'ardue vedette s'affaccia Quasi accenni: Tra poco verrò. O gran Padre! per Lui che s'immola Cessi alfine quell'ira tremenda; E de' ciechi l'insana parola Volgi in meglio, pietoso Signor. Sì, quel Sangue sovr'essi discenda; Ma sia pioggia di mite lavacro: Tutti errammo; di tutti quel sacro santo Sangue cancelli l'error. E tu, Madre, che immota vedesti Un tal Figlio morir sulla croce, Per noi prega, o regina de' mesti, Che il possiamo in sua gloria veder Che i dolori, onde il secolo atroce Fa de' boni più tristo l'esiglio, Misti al santo patir del tuo Figlio Ci sian pegno d'eterno goder.
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