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Opere pubblicate: 19994
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Info sull'Opera
La mattutina pioggia, allor che l'ale
Battendo esulta nella chiusa stanza La gallinella, ed al balcon s'affaccia L'abitator de' campi, e il Sol che nasce I suoi tremuli rai fra le cadenti Stille saetta, alla capanna mia Dolcemente picchiando, mi risveglia; E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo Degli augelli susurro, e l'aura fresca. E le ridenti piagge benedico: Poichè voi, cittadine infauste mura, Vidi e conobbi assai, là dove segue Odio al dolor compagno; e doloroso Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna Benchè scarsa pietà pur mi dimostra Natura in questi lochi, un giorno oh quanto Verso me più cortese! E tu pur volgi Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando Le sciagure e gli affanni, alla reina Felicità servi, o natura. In cielo, In terra amico agl'infelici alcuno E rifugio non resta altro che il ferro. Talor m'assido in solitaria parte, Sovra un rialto, al margine d'un lago Di taciturne piante incoronato. Ivi, quando il meriggio in ciel si volve, La sua tranquilla imago il Sol dipinge, Ed erba o foglia non si crolla al vento, E non onda incresparsi, e non cicala Strider, nè batter penna augello in ramo, Nè farfalla ronzar, nè voce o moto Da presso nè da lunge odi nè vedi. Tien quelle rive altissima quiete; Ond'io quasi me stesso e il mondo obblio Sedendo immoto; e già mi par che sciolte Giaccian le membra mie, nè spirto o senso Più le commova, e lor quiete antica Co' silenzi del loco si confonda. Amore, amore, assai lungi volasti Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, Anzi rovente. Con sua fredda mano Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo Che mi scendesti in seno. Era quel dolce E irrevocabil tempo, allor che s'apre Al guardo giovanil questa infelice Scena del mondo, e gli sorride in vista Di paradiso. Al garzoncello il core Di vergine speranza e di desio Balza nel petto; e già s'accinge all'opra Di questa vita come a danza o gioco Il misero mortal. Ma non sì tosto, Amor, di te m'accorsi, e il viver mio Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi Non altro convenia che il pianger sempre. Pur se talvolta per le piagge apriche, Su la tacita aurora o quando al sole Brillano i tetti e i poggi e le campagne, Scontro di vaga donzelletta il viso; O qualor nella placida quiete D'estiva notte, il vagabondo passo Di rincontro alle ville soffermando, L'erma terra contemplo, e di fanciulla Che all'opre di sua man la notte aggiunge Odo sonar nelle romite stanze L'arguto canto; a palpitar si move Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano Ogni moto soave al petto mio. O cara luna, al cui tranquillo raggio Danzan le lepri nelle selve; e duolsi Alla mattina il cacciator, che trova L'orme intricate e false, e dai covili Error vario lo svia; salve, o benigna Delle notti reina. Infesto scende Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro A deserti edifici, in su l'acciaro Del pallido ladron ch'a teso orecchio Il fragor delle rote e de' cavalli Da lungi osserva o il calpestio de' piedi Su la tacita via; poscia improvviso Col suon dell'armi e con la rauca voce E col funereo ceffo il core agghiaccia Al passegger, cui semivivo e nudo Lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre Per le contrade cittadine il bianco Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi Va radendo le mura e la secreta Ombra seguendo, e resta, e si spaura Delle ardenti lucerne e degli aperti Balconi. Infesto alle malvage menti, A me sempre benigno il tuo cospetto Sarà per queste piagge, ove non altro Che lieti colli e spaziosi campi M'apri alla vista. Ed ancor io soleva, Bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso Raggio accusar negli abitati lochi, Quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando Scopriva umani aspetti al guardo mio. Or sempre loderollo, o ch'io ti miri Veleggiar tra le nubi, o che serena Dominatrice dell'etereo campo, Questa flebil riguardi umana sede. Me spesso rivedrai solingo e muto Errar pe' boschi e per le verdi rive, O seder sovra l'erbe, assai contento Se core e lena a sospirar m'avanza.
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